Resoconto del seminario organizzato dall’associazione Italiadecide il 24 febbraio 2014.
La conferenza viene aperta dal Presidente dell’Associazione Italiadecide Luciano Violante, che introduce il prof. Udo Di Fabio (già giudice del Tribunale Costituzionale Federale Tedesco) e i discussant Paolo De Ionnna (consigliere di Stato), Cesare Pinelli (professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università “La Sapienza” di Roma), Paolo Ridola (professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università “La Sapienza” di Roma) e Gian Luigi Tosato (professore ordinario di Diritto Internazionale e diritto dell’Unione Europea nell’Università “La Sapienza” di Roma).
Il prof. Udo Di Fabio è il primo a prendere parola. Si rivolge all’uditorio in lingua tedesca (con traduzione simultanea). Il suo intervento ha come oggetto la recente sentenza del Tribunale costituzionale tedesco sulla legittimità del sistema di Outright monetary transactions (OMT).
Il Bundesverfassungsgericht (BVerfG) con ordinanza del 14 gennaio 2014, ha sollevato dinanzi alla CGUE un rinvio pregiudiziale circa la legittimità del meccanismo OMT rispetto al divieto, ex art. 123 TFUE, di finanziamento monetario degli Stati membri, in quanto prevedrebbe l’acquisto illimitato da parte della Bce di titoli di stato di paesi che versano in difficoltà macroeconomiche gravi e accertate, controbilanciato da una stretta condizionalità sui piani nazionali di riforma. Tale decisione rappresenta una tappa fondamentale nel rapporto tra l’ordinamento federale tedesco e l’Ue, poiché si tratta del primo caso in cui il BVerfG interpella la CGUE su una questione di compatibilità; ciò va ad incrementare notevolmente la cooperazione tra le corti costituzionali degli stati membri e la Corte di giustizia dell’Ue.
L’intervento del prof. Di Fabio si concentra nell’esporre le ragioni che hanno condotto i giudici di Karlsruhe ad accogliere i ricorsi contro l’acquisto di titoli di Stato di alcuni membri dell’Eurozona da parte della Bce. La recente ordinanza si va ad aggiungere ai numerosi contributi del Tribunale costituzionale tedesco al processo di integrazione europea aperti con la sentenza del 1993 sulla ratifica del Trattato di Maastricht, proseguiti poi nel 2009 per il Trattato di Lisbona ed infine nel 2012 su Fiscal Compact e Meccanismo europeo di stabilità. L’atteggiamento del BVerfG, spiega l’ex giudice Di Fabio, si è da sempre caratterizzato per un’apertura costruttiva all’instaurazione di un’Unione economica, monetaria e politica. L’approccio ricorrente è quello del ja aber, ovvero del sì ma, collegato all’intento di preservare il principio democratico, così come sancito dall’art. 38 della GG e che portato ad imporre una forte centralità del Bundestag, in quanto organo elettivo rappresentativo di tutti i cittadini. Il diritto al bilancio costituisce il nucleo forte di una democrazia parlamentare, poiché l’affermarsi nella storia delle assemblee elettive è senza dubbio collegato alla nascita delle procedure fiscali e al principio secondo il quale i destinatari della tassazione devono essere rappresentati in Parlamento.
Nel suo intervento il prof. Di Fabio decide di giungere alla recentissima e impellente problematica dell’OMT ripercorrendo brevemente la storia dell’integrazione europea. Sin dal principio i Trattati non hanno aperto direttamente la strada a un’Unione politica, ma hanno perseguito tenacemente un altro obiettivo: lo spazio comune europeo, che avrebbe dovuto sostituirsi alla conflittualità economica e nazionale. Le fondamenta di tale approccio hanno cominciato a vacillare con il sopraggiungere della crisi economico finanziaria, crisi frutto di una mentalità politica sbagliata, fondata sul finanziamento del debito, bassi tassi d’interesse e inflazione. In Germania, così come in Francia e in numerosi altri paesi europei, sono stati più volte violati i limiti all’indebitamento previsti da Maastricht nel 1992. Per questo motivo è stato necessario intervenire con meccanismi più stringenti quali il Patto di stabilità e crescita del 1997, che ha fornito un più pregnante quadro giuridico della regolamentazione delle politiche di bilancio, e le successive revisioni del 2005, del 2011 con il Six pack e del 2012 con il Two pack; per giungere infine al Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione economica e monetaria, meglio noto come Fiscal Compact, e al Meccanismo europeo di stabilità. Queste misure di salvataggio e sorveglianza multilaterale avrebbero dovuto condurre all’assunzione di una responsabilità in solido da parte degli Stati firmatari per i loro debiti, ma nella realtà, hanno funzionato solo come deterrente alla speculazione che puntava al fallimento dell’euro.
L’Ue dopo il Trattato di Lisbona ha raggiunto le condizioni giuridiche per una politica sovranazionale, mantenendo però intatte le prerogative tipiche degli stati nazionali, per i quali la responsabilità della politica di bilancio costituisce il fulcro della sovranità. La cessione delle competenze a livello sovranazionale deve avvenire con dei limiti, gli stati non possono perdere la loro autonomia politica. L’individuazione di tali limiti è stata ripetutamente ribadita dal Tribunale costituzionale tedesco e ricondotta al generale e omnicomprensivo principio democratico, del già ricordato art. 38 GG. Dopo aver ripercorso brevemente le tappe che hanno condotto all’attuale governance economica europea, il prof. Di Fabio giunge ad affrontare la tematica del finanziamento diretto da parte della Banca centrale europea e delle banche centrali nazionali delle istituzioni attraverso l’acquisto diretto di titoli pubblici. Sin dalla decisione interlocutoria del settembre 2012 il BVerfG si è espresso circa il finanziamento di stati in fallimento con interventi della Bce, ritenendo che questo violerebbe il divieto di finanziamento diretto, ex art. 123 TFUE. Nonostante tale titubanza, l’impostazione ja aber ha condotto al placet della Corte, che ha però richiesto una stretta condizionalità e un’interpretazione fortemente restrittiva dello strumento. Tale elasticità non è però stata riconfermata circa l’Outright Monetary transactions, ovvero la programmazione delle modalità attraverso cui dovrebbe avvenire l’intervento salva stati, sulla legittimità del quale il Bundesverfassungsgericht si riserva il diritto della decisione in ultima analisi, qualora la CGUE non ne ravvisasse le evidenti irregolarità. In tale caso, la scissione tra le Corti sarebbe notevole, ma il Di Fabio esclude che si giunga a tanto.
I recenti sviluppi della politica monetaria hanno attribuito alla Bce delle funzioni non direttamente comprese nel suo mandato, facendo sì che questa agisca ultra vires. In tale senso il BVerfG sollecita un ritorno allo Stato di diritto, si fa custode da un lato del dettato del diritto unionale e dall’altro della sovranità di ciascuno stata membro. Le critiche non sono però distruttive, ma sembrano dare impulso a uno sviluppo dell’Europa realmente sovranazionale, adeguando le funzioni assunte dalla Bce ad una responsabilizzazione dell’istituzione dinnanzi al Parlamento europeo, unico organo democraticamente eletto nell’ordinamento europeo. Secondo quanto sostenuto da Di Fabio, l’Ue si trova di fronte ad un bivio, dovendo scegliere tra due percorsi: quello dell’accentramento, ovvero perseguire nella via tracciata dal Fiscal compact e dall’Unione bancaria, possibile esclusivamente se si andasse verso un Europa federale. Tale via è sostenuta dalla Germania. L’alternativa sarebbe quella di una ri-nazionalizzazione delle competenze in materia di politica di bilancio, attraverso una maggiore flessibilità del sistema. Via sostenuta dal Regno Unito e dai Paesi Bassi.
A sostegno della prima delle due opzioni, il prof. Di Fabio spiega come l’Europa abbia concentrato a livello sovranazionale molte più competenze di quelle normalmente trasferite negli ordinamenti federali. Quante altre competenze potranno essere trasferite senza compiere il passo verso gli Stati uniti d’Europa? Se così non fosse ci si spingerebbe troppo oltre il livello di legittimazione necessario. Rebus sic stantibus, riconosce il prof. Di Fabio, la Legge Fondamentale tedesca non potrebbe consentire tale passaggio, si renderebbe necessaria una riforma costituzionale sottoposta al vaglio del consenso popolare. Con il federalismo europeo muterebbe il concetto di sovranità popolare, da nazionale a europea, e per questo è inevitabile far passare tale cambiamento attraverso il voto popolare. Di Fabio si rende tuttavia conto che una tale prospettiva è attualmente molto lontana dalla realtà a causa dell’euroscetticismo dilagante, conseguenza della crisi economica. Per questo motivo la sentenza del BVerfG ricerca un equilibrio tra un Ue forte e stabile e degli stati membri vitali e partecipi; richiama al rispetto del diritto e dei rapporti di forza da questo tracciati, sanzionando manovre ultra vires e difendendo le prerogative della sovranità nazionale, in primis la responsabilità di bilancio nazionale, ritenuta fondamentale per il buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria. Questa può fiorire, infatti, solo sulla base del diritto e come spazio economico ragionevole, in cui ciascuno stato vive ed agisce secondo le proprie possibilità di bilancio.
La parola passa poi ai discussant presenti, primo fra questi il prof. Paolo Ridola. L’intervento del prof. Ridola si pone in continuità con quello precedente. Viene infatti sottolineato il contributo notevole del BVerfG, riconosciuto quale interlocutore forte tra i vari poteri, al processo di integrazione europea, individuando nella giurisprudenza di questo un’apprezzabile continuità fatta di puntuali aggiustamenti, nello sforzo costante di adattamento della lettura della GG ad un costituzionalismo ultra confini. Il prof. Ridola, nel porre l’accento sulla questione di una legittimazione democratica della governance economica europea e sul ruolo centrale e determinante che rivestono istituzioni non democraticamente elette, riconosce al Tribunale costituzionale tedesco il merito di essersi fatto, sin da Maastricht, paladino della legittimazione democratica dei processi decisionali europei. La giurisprudenza del BVerfG in questo senso ha come fondamento giuridico l’art. 38 GG e l’art. 10 TUE, così come riformato dal Trattato di Lisbona. Il percorso seguito dai giudici di Karlsruhe ha preso avvio dalla dottrina della legittimazione indiretta, passando attraverso l’istanza di un’integrazione maggiormente politica, fino all’impostazione sancita dalla decisione interlocutoria del settembre 2012 in cui il BVerfG fa proprie rivendicazioni procedurali che prevedano il coinvolgimento del Bundestag in caso di oneri finanziari della Germania, che eccedano quelli stabiliti dal Trattato. Anche Ridola, come Di Fabio, sollecita il passaggio da un’Unione monetaria a una politica economica comune, auspicando un legame della politica di bilancio e stabilità con l’ambito dei diritti sociali. La sfida al costituzionalismo europeo risiede, infatti, nel trasferimento dal piano statale a quello sovranazionale della competenza di promuovere una convergenza tra le condizioni di vita dei cittadini europei.
Successivamente, prende la parola Paolo De Ioanna, che incentra il suo intervento sull’intreccio tra economia e diritto. Il consigliere De Ioanna pone l’accento sull’esigenza di dare sostanza all’acquis communautaire, di trovare un sentiero nel dialogo tra le corti. Rimangono alcuni nodi da sciogliere, alcune questioni da definire: in primis occorre individuare il confine tra politiche monetarie e politiche di bilancio. Confine reso flessibile dal meccanismo OMT, azione confermata come ultra vires dal consigliere De Ioanna. La seconda questione irrisolta attiene ai diritti democratici dei parlamenti, i quali devono essere messi in condizione di comprendere ciò che si trovano a discutere e ad approvare: a tale proposito il consigliere De Ioanna riprende le rivendicazioni procedimentali manifestate anche dal BVerfG. A conclusione del suo intervento, ribadisce la convinzione della necessità di camminare sulla strada del diritto, con alcuni aggiustamenti: ridefinire il confine tra politica di bilancio e politica monetaria e un ripensamento dei vincoli del pareggio di bilancio in un’ottica più amica dello sviluppo europeo.
Prende poi la parola il prof. Gian Luigi Tosato, il quale sottolinea e riconosce sin da subito l’apertura dimostrata dai giudici tedeschi nei confronti dell’Europa, puntualmente evidenziata negli sviluppi della giurisprudenza tedesca attraverso la continua ricerca di compatibilità della Legge fondamentale tedesca con il diritto Ue, secondo l’approccio del ja aber. È la stessa CGUE, secondo il prof. Tosato, a richiedere alle Corti costituzionali degli stati membri di argomentare le proprie decisioni, assumendo un atteggiamento non forzosamente positivo, ma comunque costruttivo, indicando le modalità attraverso le quali superare i difetti di costituzionalità rinvenuti. Il Fiscal compact, come il Meccanismo europeo di stabilità, sono pervenuti dinanzi a numerosi giudici costituzionali, non unicamente in Germania. La Corte Costituzionale italiana sin dal 1973, con la sentenza Frontini, offre il suo contributo al processo di integrazione europea.
La recente sentenza del BVerfG, letta in continuità con la precedente giurisprudenza, deve essere interpretata come uno stimolo allo sviluppo democratico dell’Unione europea. Il tema ribadito della centralità del principio rappresentativo, non interessa, infatti, solo la Germania. Il prof. Tosato diverge però dell’opinione espressa dal prof. Di Fabio, rifiutando la tesi secondo la quale l’unica soluzione al problema della legittimazione democratica dell’Unione sia l’approdo ad un federalismo europeo. Esistono altre alternative, quali le modifiche mirate dei Trattati, come la previsione, all’art. 13 del Fiscal compact, di un sistema di cooperazione interparlamentare tale da rafforzare il ruolo del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali nel processo decisionale europeo.
La prima parte della conferenza si conclude con il contributo del prof. Cesare Pinelli. Secondo il prof. Pinelli le recenti sentenze del BVerfG costituiscono una riaffermazione importante della sovranità parlamentare nelle procedure finanziarie e di bilancio, imponendo una partecipazione del Budestag alle decisioni sul Meccanismo europeo di stabilità, coinvolgimento che non deve limitarsi ad un’autorizzazione ex ante, ma che deve comprendere anche la fase a posteriori, con meccanismi di controllo tali da evitare automatismi. In questo sistema, tuttavia, il prof. Pinelli intravede il rischio di una duplice asimmetria, tra Bundestag e le istituzioni parlamentari degli altri stati membri e tra parlamenti di stati firmatari del Fiscal compact e paesi che ne restano al di fuori. Vi è però la consapevolezza del prof. Pinelli che se tutti i parlamenti nazionali godessero delle medesime prerogative riconosciute al Bundestag, l’Unione monetaria non esisterebbe. Un ulteriore ostacolo al superamento del deficit democratico nel processo decisionale europeo è senza dubbio la debolezza del Parlamento europeo, riconducibile a tre fattori: il crisis management, che tende a privilegiare l’intergovernatività delle decisioni; la differenziazione interna eccessiva tra stati membri appartenenti all’eurozona e stati membri che non ne fanno parte e infine il recente ricorso a trattati internazionali, quali Fiscal Compact e Mes, che portano all’emarginazione del Pe, anche se favoriscono il coinvolgimento, a livello nazionale, dei parlamenti. Anche il prof. Pinelli, così come il prof. Tosato, esclude che l’unica via per una maggiore democraticità dell’Ue sia l’approdo agli Stati uniti d’Europa. Il deficit democratico potrebbe invece essere compensato dalla conferenza interparlamentare, così come disegnata nell’art. 13 del Fiscal compact, da affiancare però ad una, ancora solo auspicata, sottocommissione rappresentativa dei paesi dell’Eurozona interna al Parlamento europeo.
Nel dibattito che segue le relazioni, prende dunque la parola il prof. Enzo Moavero Milanesi (già Ministro per gli Affari Europei nei Governi Monti e Letta), il quale esprime il suo apprezzamento per la qualità del seminario e l’intensità degli argomenti trattati e invita l’associazione promotrice ad organizzare un seminario sul Fiscal compact, con un focus specifico sul ruolo nuovo del parlamento italiano a seguito delle novità introdotte dalla legge n. 243 del 2012.
Circa l’ordinanza sull’OMT, il prof. Moavero Milanesi ritiene corretto pensare che la Corte costituzionale di uno stato si pronunci al momento della stipula sia di nuovi trattati, sia di modifiche di carattere intergovernativo, che derivano dall’impossibilità di trovare tutti gli stati membri volenterosi intorno al tavolo decisionale. Nonostante ciò esprime dei dubbi sull’impostazione del BVerfG nel momento in cui questo sembra prefigurare la possibilità di pronunciarsi su atti, condotte e scelte di istituzioni dell’Ue. In questo caso tali fatti devono essere giudicati sulla base del TFUE, ed il giudice competente non si trova negli stati, ma a livello sovranazionale. Sin dalla CECA è stata prefigurata una Corte sovranazionale per l’interpretazione dei Trattati, la CGUE.
Nell’opinione dell’ex ministro, l’elemento di demandare a giudizi nazionali, anche di carattere costituzionale, una verifica, seppur indiretta, della legittimità della condotta di istituzioni europee è estremamente pericoloso. Ad oggi si discute della BCE, domani si potrebbe trattare della Commissione europea, del Consiglio e persino del Consiglio europeo. L’intervento di uno stato in questo caso potrebbe anche configurare una violazione del principio del primato dei Trattati.
A conclusione del suo breve intervento il prof. Moavero Milanesi, ritenendo importante che nel giudizio di fronte alla CGUE intervengano gli stati membri, sollecita il ora governo italiano ad effettuare formale intervento processuale nel giudizio in corso.
Interviene successivamente la prof.essa Lorenza Violini (ordinario di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Milano), la quale sottolinea, sin da subito, la saggezza dimostrata dal Tribunale costituzionale tedesco nel fare ricorso alla CGUE per due motivi. In primis perché così agendo il BVerfG va ad inserire un ulteriore elemento dialogico nel rapporto tra corti, incentivando lo sviluppo di un’integrazione sul piano costituzionale dell’Ue. Il Tribunale con energia ha messo le proprie posizioni dinanzi alla CGUE in modo tale che il dialogo non si trasformi in un monologo, cosa temibile considerato che la ricchezza del procedimento integrativo è basata proprio sull’integrazione e non sul tentativo di supremazia di istituzioni o poteri. Sarebbe dunque necessario confrontarsi con serietà sulla dimensione costituzionale europea, ma anche sul progetto politico globale dell’Ue. È giunto il momento, a parere della prof.essa Violini, in cui gli stati membri esternino la loro linea politica e le loro aspettative, chiarendo se intendano procedere o fare dei passi indietro nel processo integrativo. Così facendo si stempererebbe l’ambiguità latente tra linee di austerità e linee di promozione dell’economia; se si auspica che tra queste non ci sia contrasto è indispensabile che sul piano politico si faccia chiarezza.
Prende poi la parola il prof. Vincenzo Lippolis (ordinario di Diritto Pubblico Comparato all’Università Federico II di Napoli e Direttore dell’ARSAE, Associazione per le ricerche e gli studi sulla rappresentanza politica nelle assemblee elettive), il quale dichiara sin da subito di aver molto apprezzato il rigore delle argomentazioni del prof. Di Fabio nella difesa della democrazia parlamentare e della sovranità popolare incentrata nel parlamento. Tuttavia, al di là di dati formali, il prof. Lippolis ritiene sia utile riflettere sulle differenti condizioni in cui versano i diversi stati europei e sul dato di fatto che tale sovranità parlamentare, se può essere realmente esercitabile da parte di determinate assemblee, si trova a non esserlo da parte di altri parlamenti. A causa delle regole sui bilanci nazionali e la scissione tra politica monetaria e politica bilancio, essendo i paesi europei partiti da condizioni economiche molto diverse, si è giunti alla situazione per cui la sovranità dei parlamenti nazionali rischia di non essere effettiva per quei paesi che si trovano in condizioni tali da non essere in grado di assumere nessuna reale decisione, se non l’adeguamento a rigidi parametri europei. Secondo il prof. Lippolis se non si trovano strade di cooperazione e di solidarietà adeguate per superare il paradosso di tali asimmetrie, si mette a rischio la costruzione dell’euro. L’art. 11 della Costituzione italiana, sul quale si basa la partecipazione dell’Italia all’Ue, richiede una condizione di parità tra tutti i paesi. Se dovessero persistere tali disparità, derivanti da fattori strutturali e difficilmente superabili, si dovrebbe pensare a rivedere il contenuto di questa disposizione.
Prende parte al dibattito il prof. Giovanni Maria Flick (presidente emerito della Corte Costituzionale), il quale incentra il suo intervento sull’esperienza europea della Corte costituzionale italiana attraverso un paragone con la giurisprudenza del BVerfG. Il prof. Flick si riconosce completamente nel parere espresso dal prof. Tosato, ritenendo la recente ordinanza sull’OMT non un ostacolo al processo di integrazione europea da parte di una Germania anti-europeista, ma bensì un incoraggiamento e un contributo alla maggior democratizzazione dell’Unione. Per lungo tempo il dialogo tra Corte costituzionale italiana e CGUE è stato un “dialogo tra sordi”. Le due Corti hanno a lungo viaggiato su percorsi separati. I giudici italiani hanno fatto uno scarso ricorso dello strumento del rinvio pregiudiziale, mantenendo sempre in considerazione, in ultima ratio, l’ipotesi dei contro limiti. Il primo rinvio pregiudiziale si è avuto nel 2008, in materia fiscale, e ha rappresentato una rilevante novità. In questo modo la Corte italiana si apriva al dialogo con la Corte di Lussemburgo e con la CEDU, attraverso le prime due sentenze gemelle del 2007, che riconoscevano il ruolo di parametri interposti alla decisioni della Corte di Strasburgo.
Circa la possibilità, invece, per le corti costituzionali nazionali, di valorizzare il ruolo dei parlamenti nel processo decisionale attraverso procedimenti di valutazione preventiva in vista della riforma dei Trattati europei, il prof. Flick ritiene che tale ipotesi non sarebbe applicabile alla Corte costituzionale italiana, in quanto questa non potrebbe che esprimersi se adita da un giudice a quo, in via di controllo di costituzionalità successivo e non con un controllo di costituzionalità preventivo, come previsto invece per il Conseil Constitutionnel.
Interviene di seguito la prof.essa Anna Moscarini, (ordinario di Diritto Costituzionale all’Università della Tuscia di Viterbo), la quale marca l’assenza di chiarezza e consapevolezza sulla ratio sottostante la giurisprudenza del BVerfG. La prima impressione che perviene dalla lettura della sentenza del gennaio 2014 è quella di una tenace difesa della democrazia parlamentare, basata sulla convinzione che gli stati membri siano i signori indiscussi dei Trattati. Dalla spiegazione del prof. Di Fabio emerge, però, una lettura diversa. L’atto di sottomissione fatto alla CGUE, attraverso l’apertura alla pregiudizialità, sembra rappresentare realmente una novità. La prof.essa Moscarini pone quindi una questione all’ex giudice Di Fabio, e, tra i discussant, al prof. Ridola e al prof. Pinelli, sulla fondatezza dell’ipotesi di una modifica della forma di stato dell’Ue e di un passaggio da una politica unionale esclusivamente fiscale e monetaria ad un’azione di politica economica vera e propria, che fornisca alla BCE strumenti più sensibili e forti.
Lo spazio riservato agli interventi si conclude con due interrogativi che la dott.ssa Alessandra Di Martino (ricercatrice presso l’Università la Sapienza di Roma) pone al prof. Di Fabio circa l’ordinanza sull’OMT. La prima questione riguarda la distinzione, apparentemente netta, tra la nozione di identità nazionale ex art. 4, paragrafo 2, del TUE e il concetto di identità costituzionale sancito dall’art. 79, comma 3, della GG. Se tale distinzione fosse confermata, si tratterebbe di una rottura notevole rispetto la giurisprudenza precedente del BVerfG nella quale era possibile riconoscere una certa convergenza. La dottoressa Di Martino chiede poi chiarimenti a Di Fabio circa l’ambito d’azione dell’ordinanza. Inizialmente sembrano emergere due controlli: una censura per procedura ultra vires e una verifica di identità costituzionale, che convergono per la parte sull’ammissibilità dell’OMT, ma successivamente la Corte abbandona il controllo di identità e persegue la censura per procedura ultra vires.
A temine della conferenza prende la parola il prof. Di Fabio per una replica.
In riferimento agli ultimi interrogativi chiarisce che effettivamente si è trattato di una censura per procedura ultra vires accolta dal Tribunale, mentre per il controllo di identità vi è stato un rinvio alla CGUE. Non si è infatti trattato di un controllo di identità, in quanto il BVerfG non se ne è mai occupato; inoltre il richiamo all’art 4 TUE non dimostra che tale controllo debba essere interpretato diversamente da quanto prescritto dall’art. 79 GG. Per questi motivi si può sostenere si sia trattato di un rinvio puramente ultra vires. I due ostacoli di tale procedura sono poi stati soddisfatti attraverso l’evidenza e lo slittamento di competenza tra Ue e stati membri.
Di Fabio si collega poi all’intervento del prof. Lippolis condividendo la convinzione che l’Ue non possa svilupparsi compiutamente in presenza di sperequazioni tra gli stati membri, come nel caso di parlamenti liberi e parlamenti sottomessi alla c.d. Troika. Tali asimmetrie sono note anche al diritto privato nell’ambito del quale agiscono persone libere da debiti e altre assoggettate a ingiunzioni. Entrambe le situazioni sono tuttavia conseguenze della libertà. Si aveva la libertà di rispettare o non rispettare i criteri di stabilità. I mercati finanziari non rispecchiano la realtà, ma la riproducono in maniera speculativa; non sono degli scienziati, reagiscono a delle aspettative e non si può pretendere che riflettano su nessi statistici. Non possono essere costretti ad agire dalla parte giusta. I meccanismi di stabilizzazione europei hanno tolto ai mercati l’incentivo a reagire all’insolvenza di alcuni stati e di scommettere sul crollo dell’unione monetaria, grazie alla solidarietà dei paesi europei. Questo non significa, tuttavia, che i Trattati non vogliano che i mercati realizzino un rating degli stati; il rispetto dei criteri di stabilità deve essere garantito anche dai meccanismi di mercato. I Trattati ammettono la possibilità che uno stato con una politica economica non sana si trovi a pagare alti tassi di interesse, ma attraverso i meccanismi di salvataggio evitano che i mercati speculino sull’espulsione dall’unione monetaria di tale stato. È in questo senso che devono essere letti i meccanismi di stabilizzazione. Il carattere distruttivo delle speculazioni viene arginato per consentire un ritorno alla regolarità, alla normale valutazione della politica degli stati, della solidità delle loro politiche economiche e a tassi di interesse a livello commensurato. A lungo la Germania, riconosce Di Fabio, ha pagato tassi di interessi troppo bassi. Per questo motivo potrebbe rischiare di perdere la “tripla A” nella valutazione del merito di credito, così come accaduto alla Francia.
In conclusione è importante tenere a mente che gli stati sono primariamente responsabili per la conduzione di una politica della stabilità, anche la possibilità di un libero agire dipende da questo e non si può risolvere tutto modificando i Trattati. La responsabilità risiede negli stati membri, garantiti dalla trappola speculativa dai meccanismi di stabilizzazione, ma il lavoro deve essere fatto al livello al quale si collocano le competenze.