Giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 38, commi 2, 4, 6 e 10, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, promosso dalla Corte d’appello di Torino nel procedimento vertente tra Catalano Salvatore, nella qualità di titolare dell’Autocarrozzeria SAGI, ed altri e il Ministero dell’interno ed altri.
Norme impugnate
La Corte d’appello di Torino ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 41, 42 e 117 Cost., questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del medesimo art. 38, commi 2, 4, 6 e 10, del decreto-legge n. 269 del 2003, «nella parte in cui riconosce al custode, con effetto retroattivo, compensi inferiori rispetto a quelli previgenti».
Innovando profondamente la disciplina previgente in materia di compensi da riconoscere ai custodi di veicoli sequestrati, l’art. 38 denunciato stabilisce, al comma 2, che:«i veicoli giacenti presso le depositarie autorizzate a seguito di sequestro e sanzioni accessorie previste dal codice della strada, o quelli non alienati per mancanza di acquirenti […], sono alienati, anche ai soli fini della rottamazione, mediante cessione al soggetto titolare del deposito». In merito ai compensi, il comma 6 stabilisce che, in deroga al previgente sistema tariffario, al custode viene riconosciuto «un importo complessivo forfettario […]. Gli importi sono progressivamente ridotti del venti per cento per ogni ulteriore anno, o frazione di esso, di custodia del veicolo, salva l’eventuale intervenuta prescrizione delle somme dovute.». Il comma 10 del medesimo articolo ne estende, poi, la relativa disciplina anche alle procedure di alienazione o rottamazione straordinaria che, alla data di entrata in vigore del decreto siano state avviate dalle singole prefetture-uffici territoriali del Governo, ove non ancora concluse, prevedendo che i compensi dei custodi siano determinati ai sensi del comma 6, «salvo che a livello locale siano state individuate condizioni di pagamento meno onerose per l’erario».
A parere del giudice a quo, la disciplina impugnata, nella parte in cui determina effetti retroattivi in peius circa il regime dei compensi spettanti ai custodi, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 41 e 42 Cost., in quanto l’emanazione di norme retroattive per il contenimento della spesa pubblica non può incidere sui diritti acquisiti, specie quando, come nella specie, il sacrificio economico non sia imposto a tutti i consociati, ma ad una sola categoria (i custodi giudiziari).
Argomentazioni della Corte
Secondo la Corte, la questione è fondata. La ratio ispiratrice della disciplina, introdotta dal decreto-legge n. 269 del 2003, risulta dichiaratamente informata all’esigenza del contenimento delle spese di custodia per i veicoli assoggettati a misure di fermo o sequestro e successivamente a confisca, a seguito di infrazioni al codice della strada. L’obiettivo perseguito è stato quello di ridurre al minimo la protrazione della custodia onerosa presso terzi dei veicoli sottoposti a misura di fermo o di sequestro amministrativo. In particolare, è stato previsto, tra l’altro, un meccanismo di alienazione coattivo del mezzo, in favore del soggetto terzo (il depositario), al quale lo stesso deve essere affidato in custodia.
Quelli che vengono qui in discorso sono, dunque, rapporti di custodia che, come puntualizza il giudice a quo, risultano ratione temporis iscritti in un «regime “intermedio”, perché ricompresi nella “finestra” temporale rappresentata, da un lato, dai rapporti già esauriti ed eventualmente non ancora liquidati (sulla base delle vecchie tariffe) all’entrata in vigore delle modificazioni apportate dall’art. 38 citato; e, dall’altro, dai rapporti (a loro volta pendenti alla data di entrata in vigore della legge di riforma) aventi ad oggetto custodie iniziate dopo il 1° ottobre 2001, ovvero concernenti veicoli privi dei suddetti requisiti di vetustà (assoggettati anch’essi alle vecchie tariffe)».
La Corte, riprendendo la propria giurisprudenza, è più volte intervenuta sulla legittimità delle norme retroattive, in genere, e di quelle destinate ad incidere sui rapporti di durata, in specie; affermando, in sintesi, che non può ritenersi interdetto al legislatore di emanare disposizioni modificative in senso sfavorevole, anche se l’oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi “perfetti”: ciò, peraltro, alla condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irragionevole, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate su disposizioni di leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto (sentenza n. 166 del 2012).
Più che sul piano di una “astratta” ragionevolezza della volontà normativa, deve, dunque, ragionarsi, ai fini dell’odierno sindacato, sul terreno della ragionevolezza “complessiva” della “trasformazione” alla quale sono stati assoggettati i rapporti negoziali di cui alla disposizione intertemporale denunciata. In tal senso, secondo la Corte, appare ovvio che tale ragionevolezza “complessiva” dovrà, a sua volta, essere apprezzata nel quadro di un altrettanto ragionevole contemperamento degli interessi – tutti di rango costituzionale, comunque ancorabili al parametro di cui all’art. 3 Cost. – che risultano nella specie coinvolti: ad evitare che una generalizzata esigenza di contenimento della finanza pubblica possa risultare, sempre e comunque, e quasi pregiudizialmente, legittimata a determinare la compromissione di diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi, sia individuali, sia anche collettivi.
La Corte, nel prendere in esame la riforma avviata dal legislatore, rivela che la disciplina denunciata ha di fatto generato “una sorta di novazione, sotto più di un profilo, del rapporto intercorrente tra le parti: da un lato, il custode, o depositario, del veicolo è divenuto un acquirente ex lege del medesimo, con nuovi e diversi obblighi; dall’altro, l’originaria liquidazione delle somme dovute al custode, secondo le tariffe previste dall’art. 12 del d.P.R. n. 571 del 1982 (con rinvio anche agli usi locali), è stata sostituita con il riconoscimento di «un importo complessivo forfettario», determinato, espressamente «in deroga», secondo i criteri indicati”.
Secondo la Corte, il rapporto tra depositario e amministrazione è risultato, così, in itinere, stravolto in alcuni dei suoi elementi essenziali, al di fuori, peraltro, della previsione di qualsiasi meccanismo di concertazione o di accordo e, anzi, con l’imposizione di oneri non previsti né prevedibili, né all’origine né in costanza del rapporto medesimo; al punto da potersi escludere che, al di là delle reali intenzioni del legislatore, sia stato operato un effettivo e adeguato bilanciamento tra le esigenze contrapposte.
La disposizione retroattiva, specie quando determini effetti pregiudizievoli rispetto a diritti soggettivi “perfetti” che trovino la loro base in rapporti di durata di natura contrattuale o convenzionale – pubbliche o private che siano le parti contraenti – deve dunque essere assistita da una “causa” normativa adeguata: intendendosi per tale una funzione della norma che renda “accettabilmente” penalizzata la posizione del titolare del diritto compromesso, attraverso “contropartite” intrinseche allo stesso disegno normativo e che valgano a bilanciare le posizioni delle parti.
Secondo la Corte, non sembrano essere realizzate nel caso in specie, dal momento che gli interessi dei custodi – assoggettati, ratione temporis, al nuovo e, per i profili denunciati, pregiudizievole, regime di rapporti e di determinazione dei relativi compensi – risultano esser stati compromessi in favore della controparte pubblica, senza alcun meccanismo di riequilibrio ed in ragione, esclusivamente, di un risparmio per l’erario, che non può certo assumere connotati irragionevolmente, lato sensu, “espropriativi”.
La riscontrata violazione dell’art. 3 Cost. assorbe gli ulteriori profili di illegittimità costituzionale denunciati.
Conclusioni della Corte
La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 38, commi 2, 4, 6 e 10, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.