L’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 36 del 2003 prevede che i rifiuti possono essere collocati in discarica solo a seguito di trattamento, elencando le ipotesi di inapplicabilità di siffatta disposizione. Al riguardo, si evidenzia come l’art. 4 della Direttiva n. 2008/98/CE (cd. Direttiva Quadro Rifiuti) impone agli Stati Membri di adottare misure volte ad incoraggiare le opzioni che offrano il miglior risultato ambientale complessivo ed il livello di trattamento dei rifiuti destinati a discarica costituisce una delle misure efficaci per garantire il rispetto della gerarchia dei rifiuti. Alla luce di quanto detto, l’impugnato Piano di gestione dei rifiuti adottato dalla Regione resistente ha di certo violato la sopra menzionata normativa di riferimento. Ed infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione resistente, non possono considerarsi rifiuti trattati quelli che, anziché subire un trattamento meccanico biologico (TMB), vengano compressi durante il trasporto e dopo lo scarico, e, da ultimo, sottoposti a cernita grossolana, con la predisposizione di impianti di tritovagliatura. Un siffatto trattamento, senza un’adeguata selezione delle diverse azioni dei rifiuti ed una qualche forma di stabilizzazione della frazione organica dei rifiuti stessi, non è tale da evitare o ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente ed i rischi per la salute umana, con la conseguente violazione delle norme citate, nonché dell’art. 174 del Trattato e, quindi, del principio di precauzione che dovrebbe caratterizzare le scelte (anche pianificatorie) dell’amministrazione ove si presentino eventuali dubbi o perplessità in ordine alle decisioni da assumere nel caso concreto
Gli obblighi imposti dalla Direttiva Quadro Rifiuti (T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, 9 gennaio 2013, n. 121)
24.05.2013