Cons. Stato, Sez. V, n. 236/2013La sentenza oggetto di segnalazione offre lo spunto per formulare alcune considerazioni in materia di riparto di giurisdizione tra il Giudice amministrativo e quello ordinario in materia di concessioni.
La fattispecie controversa ha ad oggetto la sentenza del TAR con la quale era stata accolta la domanda di accertamento e di condanna al pagamento contributo finanziario dovuto dalle Amministrazioni resistenti a favore del concessionario del servizio di smaltimento rifiuti collegati alla realizzazione di un impianto di termoconversione con produzione di energia elettrica e un impianto di selezione e compostaggio rifiuti, nonché quella di rideterminazione della tariffa di gestione.
In particolare, il TAR aveva ritenuto sussistente la giurisdizione del Giudice amministrativo assumendo che si trattasse di questioni che concernono l’applicazione delle clausole convenzionali, tra cui quelle relative alla tempestiva erogazione del finanziamento pubblico, nella parte ancora non erogata, ed al pagamento delle somme corrispondenti, ivi compresi rivalutazione ed interessi, nonché relative al tempestivo adeguamento delle tariffe di gestione (rispetto al secondo schema di atto di sottomissione sottoscritto dagli organi tecnici comunali in data 23 luglio 2002), calcolate secondo i parametri previsti in convenzione e indicate nell’epigrafe del ricorso. Per converso, il TAR aveva negato sussistesse la sua giurisdizione in ordine alle contestazioni insorte a seguito di iscrizione di riserve, in quanto afferenti alla fase di esecuzione del rapporto.
La Sezione Quinta, dopo aver preliminarmente ricordato il consolidato orientamento sull’assenza di giurisdizione del Giudice amministrativo con riferimento a controversie aventi ad oggetto le riserve apposte dall’esecutore, in quanto attinenti a questioni insorte nella fase di esecuzione del contratto, contraddistinta dall’assunzione da parte della stazione appaltante della veste privatistica del committente (ex multis, Cass., Sez. Un., 6 maggio 2005, n. 9391; cfr. anche Consiglio di Stato, sez. V, 21 giugno 2007, n. 3318; TAR Venezia, I, 3 giugno 2003, n. 3130 e TAR Abruzzo, L’Aquila, 2 ottobre 2001, n. 583), si sofferma sul profilo attinente alla distinzione tra concessione di sola costruzione da quella di costruzione e gestione, essendo stata tale diversa qualificazione giuridica decisiva ai fini del riconoscimento della giurisdizione del Giudice amministrativo.
A questo proposito, il Consiglio di Stato richiama anzitutto quanto affermato dalla suprema Corte di cassazione (Sez. Un., 27 dicembre 2011, n. 28804), secondo la quale nel riformato quadro di applicazione dei contratti pubblici, come fissato dal d.lgs.12 aprile 2006, n. 163, è ormai rinvenibile una unica “categoria della concessione di lavori pubblici, onde non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di gestione dell’opera (o di costruzione e gestione congiunte), ove prevale il profilo autoritativo della traslazione delle pubbliche funzioni inerenti l’attività organizzativa e direttiva dell’opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizione”.
Il venir meno di tale originaria articolazione si fonda, come ricorda correttamente il Consiglio di Stato, sulla mutata finalità della concessione, all’interno della quale ormai il profilo della gestione economica dell’opera cessa di essere un profilo accessorio dell’istituto, divenendone anzi parte essenziale e costitutiva, ai sensi di quanto previsto dall’art. 143 del d.lgs. n. 163 del 2006. Da qui, la conclusione per cui “le controversie relative alla fase di esecuzione appartengono alla giurisdizione ordinaria”. In altri termini, l’evoluzione normativa dell’istituto della concessione implica il venir meno della preesistente distinzione operata anche in punto di giurisdizione, in conseguenza della quale la differenza tra “concessioni di soli lavori equiparate agli appalti da quelle di costruzione e di gestione riservate dalla L. n. 1034 del 1971, art. 5 alla giurisdizione esclusiva, non è più attuale”.
Aggiunge, inoltre, la Sezione Quinta come in realtà il venir meno di tale distinzione si potesse far risalire anche alla stessa legge Merloni, in quanto “lo stesso giudice di legittimità ammette che l’orientamento giurisprudenziale precedente ha recepito principi ricavati dalla normativa nazionale piuttosto risalente e antecedenti al D. Lgs. n. 163 del 2006, suddividendo i sistemi di esecuzione delle opere pubbliche in due categorie a seconda che venissero compiute direttamente dalla P.A. o indirettamente con il ricorso al sistema della concessione; e nell’ambito di quest’ultima, a seguito del D.L.L. n. 107 del 1919 (art. 16), poi ripristinato dal R.D.L. 1657 del 1926 e dal R.D.L. n. 1137 del 1929 (quest’ultimo modificato ed integrato dalla L. n. 34 del 1951) aveva distinto le concessioni di sola costruzione da quelle di costruzione e di gestione dell’opera”.
A partire dall’introduzione delle direttive 2004/17/UE e 2004/18/UE, tuttavia, si configurano esclusivamente due categorie di contratti: da un lato, la “concessione di lavori pubblici”, con la quale si indica “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo” (art. 1, par. 3); dall’altro, la “concessione di servizi”, al cui interno vanno ricondotti quei contratti che “presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo” (art. 1, par. 4).
Il d.lgs. n. 153 del 2006, come noto, ha puntualmente recepito tale distinzione, tanto che la concessione di lavori viene definita come equivalente ad un contratto d’appalto da cui si differenzia per il fatto che il corrispettivo per il concessionario è rappresentato dall’utile gestione dell’opera, eventualmente accompagnato da un prezzo. Per inciso, la previsione dell’eventuale corrispettivo non vale ad incidere sulla natura del contratto nella misura in cui lo stesso non determina il venir meno dell’assunzione del rischio di gestione dell’opera in capo all’esecutore privato: in ciò, del resto, si sostanzia proprio la differenza con l’appalto, in cui l’unico rischio assunto dall’esecutore privato consiste nella corretta esecuzione dell’opera.
Proprio in virtù della nuova formulazione dell’istituto della concessione, secondo il Consiglio di Stato “non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di gestione dell’opera (ovvero di costruzione e di gestione congiunte) nella quale prevaleva il profilo concessorio ed autoritativo, riguardante, in particolare, la vicenda traslativa delle pubbliche funzioni inerenti all’attività organizzativa e direttiva dell’opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizioni”.
In considerazione della normativa applicabile ratione temporis alla controversia, la Sezione Quinta ha cura di ricordare come le definizioni contenute nella direttiva 2004/18/UE non potessero considerarsi come innovative, rappresentando piuttosto il recepimento a livello normativo di un consolidato orientamento interpretativo e giurisprudenziale preesistente. Già con la Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario (in Gazzetta ufficiale CE n. 121 del 29 aprile 2000), infatti, si precisava che “la Direttiva 93/37/CEE sugli appalti pubblici di lavori prevede un regime specifico riguardante le concessioni di lavori, regime ove, come detto, sono assenti profili di autoritarietà del potere pubblico nella fase di gestione ed esecuzione del rapporto”, specificando inoltre come la concessione differisse dall’appalto per il riconoscimento in capo al concessionario “del diritto di gestire l’opera, realizzata come contropartita della costruzione effettuata”.
Proprio per la ragione del venir meno nella fase di gestione di alcun profilo di persistente attribuzione di poteri pubblicistici, dunque, occorre, secondo il Consiglio di Stato “mantenere alla giurisdizione ordinaria la successiva fase relativa alla esecuzione del rapporto in cui devono, peraltro, trovare applicazione regole positive attraverso cui i contraenti hanno disciplinato i loro contrapposti interessi e le relative condotte attuative (cfr: Cass., Sez. Un., nn. 14958-2011; 19049-2010; 6068-2009; 29425-2008)”.
Con il che si deduce come, applicando tale principio di diritto, la Sezione concluda nel senso che “l’erogazione del finanziamento pubblico indicato in convenzione e il tempestivo adeguamento della tariffa di gestione, di cui alla convenzione e al successivo atto di sottomissione, sono stati, appunto, previsti negli atti convenzionali negoziali inter partes: tali atti non possono dunque più ritenersi … accessivi ad un rapporto pubblicistico ed autoritativo di concessione, bensì costitutivi di un mero contratto civilistico, equivalente ad un contratto d’appalto, con la sola differenza in ordine alla struttura della controprestazione”. In altri termini i profili appena evidenziati appartengono alla sfera di esecuzione del rapporto e, come tali sono riconducibili alla competenza del Giudice ordinario.