Cons. Stato, Sez. V, n. 240/2013
La sentenza qui segnalata consente di formulare alcune considerazioni in merito ai limiti di accesso alla tutela risarcitoria in materia di appalti pubblici.
La Sezione Quinta si è pronunciata in giudizio di ottemperanza promosso da una società che aveva ottenuto una sentenza definitiva con la quale era stata accertata la legittimità del verbale di gara recante l’esclusione della impresa controinteressata dalla procedura indetta dall’Amministrazione, con conseguente accertamento incidentale della legittimità della pretesa della odierna ricorrente, prima classificata a seguito di detta esclusione, alla aggiudicazione della gara per l’esecuzione di un importante appalto lavori.
Va notato come il Consiglio di Stato abbia preliminarmente precisato come, senza soluzione di continuità, il c.p.a. – prima con l’art. 112, co. 4, ora con l’art. 112 co. 3 – ammette la possibilità che l’azione risarcitoria venga esperita nell’ambito del giudizio di ottemperanza. L’unico limite all’accesso a tale tutela è costituito dal fatto che in tale sede “non può essere riconosciuto un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello fatto valere ed affermato con la sentenza da eseguire, anche se sia ad essa conseguente o collegato, non potendo essere neppure proposte domande che non siano contenute nel decisum della sentenza da eseguire” e, ciò in considerazione dell’inequivocabile tenore letterale dell’art. 112, co. 3, a tenore del quale “può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell’ottemperanza, azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione”.
Non vi è dubbio che tale azione possa essere esperita nella controversia devoluta alla cognizione del Consiglio di Stato, in quanto il risarcimento domandato dall’impresa dipende proprio dal fatto che la stessa ha sofferto un danno connesso all’impossibilità o comunque mancata esecuzione in forma specifica della sentenza con la quale era stata accertata l’illegittimità della sua esclusione dalla gara indetta dall’Amministrazione.
La Sezione Quinta, inoltre, ha affrontato anche l’ulteriore questione dell’eccezione di insussistenza dell’elemento soggettivo sollevata dalla difesa dell’Amministrazione, la quale ha rilevato come l’affidamento del contratto alla controinteressata sarebbe dipeso dalla necessità di eseguire un’ordinanza del Consiglio di Stato e, quindi, dall’adempimento di un preciso dovere giuridico.
Il Collegio ha ritenuto infondata l’eccezione, in quanto la scelta di proseguire l’iter di valutazione comparativa delle offerte era imputabile all’esclusiva volontà della stazione appaltante e, ciò, in quanto con l’ordinanza in questione era stato solo accolto il gravame cautelare avvero l’ordinanza del TAR con la quale era stata esclusa la società “per carenza di giustificazioni preventive richieste dal disciplinare”.
In particolare, è stato rilevato come all’epoca la Sezione si fosse “limitata ad accogliere l’istanza cautelare proposta in primo grado nella considerazione che nel disciplinare di gara non erano precisate le modalità di giustificazione dei prezzi e che offerta della ricorrente non superava la soglia di anomalia”, di modo tale che era solo stata data la possibilità all’Amministrazione di riavviare la procedura con riammissione cautelare dell’impresa esclusa e conclusione dell’iter di gara. E’ stato altresì precisato come “il provvedimento adottato da un’amministrazione in esecuzione di una pronuncia giurisdizionale cautelare non comporta, di per sé, il ritiro del precedente provvedimento oggetto della pronuncia stessa, ed ha una rilevanza solo provvisoria in attesa che la decisione di merito accerti se l’atto impugnato sia o meno legittimo” e, ciò, perché “la misura cautelare … non configura mai una radicale consumazione del potere amministrativo e l’effetto caducante dell’eventuale sentenza definitiva si estende comunque a tutti gli ulteriori atti adottati dall’Amministrazione a seguito della adozione della ordinanza cautelare”.
Accanto a tale ipotesi, peraltro, si colloca quella dell’acquiescenza dell’Amministrazione, ossia il caso in cui il provvedimento cautelare “sia condiviso a tal punto dall’Amministrazione che questa mostri di volervi fare acquiescenza, sostituendo il provvedimento impugnato senza attendere la definizione del giudizio con sentenza”.
Secondo la Sezione Quinta, l’Amministrazione avrebbe optato per la seconda soluzione e, ciò, sia perché l’ordinanza non era stata posta in esecuzione dalla parte interessata, sia perché non vi sarebbero state obiettive ragioni d’urgenza tali da rendere indifferibile l’aggiudicazione dell’appalto sino al momento della conclusione del giudizio di merito.
In tale condotta, dunque, il Consiglio di Stato ritiene di dover rinvenire gli estremi di una “colpevole discrezionale assunzione dei rischi conseguenti alla decisione di proseguire la gara senza attendere la sentenza definitiva sulla esclusione di una partecipante, consistenti nel risarcimento dei danni causati alla attuale ricorrente”. A sostegno di tale orientamento, peraltro, si richiama la sentenza della Corte di Giustizia CE, sez. III – 30/9/2010 (causa C-314/2009), in cui è stato affermato che “gli Stati membri non possano subordinare la concessione di un risarcimento al riconoscimento del carattere colpevole della violazione della normativa sugli appalti pubblici commessa dall’amministrazione aggiudicatrice”. Secondo la Corte di Giustizia, infatti, “il tenore letterale degli artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1, 5 e 6, nonché del sesto «considerando» della direttiva 89/665 non indica in alcun modo che la violazione delle norme sugli appalti pubblici atta a far sorgere un diritto al risarcimento a favore del soggetto leso debba presentare caratteristiche particolari, quale quella di essere connessa ad una colpa, comprovata o presunta, dell’amministrazione aggiudicatrice, oppure quella di non ricadere sotto alcuna causa di esonero di responsabilità”.
Nel complesso, appare evidente come il Consiglio di Stato abbia inteso prediligere un’interpretazione attenta a cogliere l’effetto utile della direttiva quanto alla tutela giurisdizionale della posizione dell’operatore leso da un provvedimento amministrativo illegittimo che gli precluda l’aggiudicazione di un appalto. E’ pur vero, tuttavia, che il consolidarsi di un simile orientamento rischia di riflettersi negativamente sulla celerità nelle procedure di aggiudicazione degli appalti, che pure costituisce uno dei principi fondamenti tutelati anche dal diritto dell’Unione Europea. E, in effetti, l’affermazione di una generalizzata responsabilità dell’Amministrazione che abbia portato a conclusione la gara anche in virtù di un’ordinanza del Giudice amministrativo espone al rischio di un sostanziale allungamento dei tempi per la definizione della procedura.
Per quanto concerne il profilo del risarcimento del danno, la Sezione conferma l’adesione all’ormai consolidato orientamento che vede prediligere quale criterio di liquidazione non più quello equitativo pari al 10% dell’importo del contratto posto a base di gara, bensì la ricostruzione puntuale dell’utile d’impresa come desumibile dall’offerta presentata. Il che, peraltro, comporta l’imposizione di un preciso onere probatorio a carico dell’impresa ricorrente, la quale è tenuta a dimostrare in modo rigoroso la misura dell’utile che intendeva conseguire dall’aggiudicazione dell’appalto.