Alcune imprese farmaceutiche hanno impugnato la determinazione con la quale l’Agenzia italiana del farmaco (A.I.F.A.) ha redatto ed approvato le tabelle recanti gli importi che dovranno essere versati dalle aziende farmaceutiche in favore delle Regioni, per una cifra complessivamente pari all’1,83% del prezzo di vendita al pubblico, al netto dell’IVA, dei medicinali di fascia “A” erogati in regime di Servizio Sanitario Nazionale.
La delibera impugnata è stata adottata in attuazione di quanto disposto dall’art. 11, comma 6, del D.L. n. 78 del 2010, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” e convertito, con modificazioni, nella L. n. 122 del 2010 (http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2010-05-31;78!vig=). Le società ricorrenti hanno invocato l’illegittimità del provvedimento sia per vizi propri sia per vizi derivati dalla denunciata illegittimità costituzionale della nuova disciplina.
Il Collegio, dopo aver ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di prezzi dei farmaci, soffermandosi in particolare sulla pronuncia della Corte Costituzionale n. 279 del 7.7.2006 (http://www.giurcost.org/decisioni/2006/0279s-06.html), ha evidenziato come il principio del “prezzo contrattato” che rimette all’autonomia contrattuale dei soggetti del ciclo produttivo e distributivo la determinazione del prezzo dei farmaci, ha subito frequenti ed incisive deroghe da parte del legislatore, in particolare a fronte della crisi economica e della necessità sempre più stringente di contenere la spesa pubblica, salvaguardando nel contempo il nucleo irriducibile del diritto alla salute quale diritto del singolo e interesse della collettività.
Il Collegio ha richiamato la citata pronuncia della Consulta ribadendo che, essendo il comparto dei farmaci di fascia “A” caratterizzato da penetranti poteri di regolazione e di intervento del Ministero della Salute nella determinazione del prezzo, non costituisce un mercato concorrenziale. In tale contesto, l’obiettivo di realizzare il contenimento della spesa sanitaria in vista del fine di utilità sociale, costituito dalla garanzia del più ampio godimento del diritto alla assistenza farmaceutica, giustifica la lamentata compressione dell’autonomia privata nella determinazione del prezzo.
Il Consiglio di Stato ha inoltre ritenuto che il favor legis riservato alla categoria dei farmacisti dal citato art. 11, comma 6, del D.L. n. 78 del 2010, come modificato in sede di conversione, nell’ambito della c.d. filiera del farmaco, risponda ad una legittima redistribuzione della ricchezza all’interno della filiera stessa, non soltanto per l’eccessiva differenza tra la precedente quota assegnata ai produttori e quella riservata ai farmacisti rispetto all’effettivo contributo rispettivamente dato da questi alla rete distributiva dei farmaci di fascia A, ma anche per la volontà di aiutare l’anello evidentemente stimato dal legislatore più debole della catena distributiva, quello dei farmacisti, in un momento di generalizzata crisi economica, rispetto alla posizione di maggior forza imprenditoriale e contrattuale della categoria dei produttori.
La Corte ha pertanto rigettato tutti i motivi di appello ritenendo che la misura dello sconto obbligatorio dell’1,83% imposto dall’art. 11, comma 6, del d.l. 78/2010 ai produttori sull’intero prezzo di vendita al pubblico, anche per la parte di prezzo pagata dell’assistito con riferimento ai farmaci equivalenti di cui all’art. 7 del d.l. 347/2001, non appare al Collegio né irragionevole né arbitraria, ma pienamente congrua e del tutto rispondente alla finalità della normativa e alla natura dello sconto stesso.
Il testo della sentenza è reperibile al seguente link: