Corte costituzionale, sent. 16-19 luglio 2013, n. 219, sulla “relazione di fine legislatura” e sulla rimozione “sanzionatoria” del Presidente della Regione in ipotesi di “grave dissesto finanziario” in ambito sanitario.

19.05.2013

Sono costituzionalmente illegittime, per contrasto con gli artt. 76 e 126 Cost., le disposizioni del d.lgs. n. 142/2011, riguardanti, rispettivamente, l’obbligo di redigere una relazione di fine legislatura, e la rimozione del Presidente della Giunta regionale in fattispecie di “grave dissesto finanziario” in materia sanitaria.

Con la pronuncia in esame, la Corte ha censurato l’art. 1 e l’art. 2, commi 1, 2, 3 e 5 del d.lgs. n. 142/2011, attuativo della delega conferita dalla l. n. 42/2009 in materia di meccanismi sanzionatori e premiali per regioni ed enti locali.

La prima delle norme citate, in particolare, obbligava le Regioni a statuto ordinario a redigere una relazione di fine legislatura, che descrivesse dettagliatamente le principali attività normative e amministrative svolte durante la legislatura, con specifico riferimento, tra l’altro, ad “eventuali carenze riscontrate nella gestione degli enti del servizio sanitario regionale” (con indicazione delle azioni intraprese per porvi rimedio), ad “eventuali azioni intraprese per contenere la spesa, con particolare riguardo a quella sanitaria”, nonché alla “situazione economica e finanziaria, in particolare del settore sanitario”.

Secondo la Corte, i primi 5 commi dell’art. 1, d.lgs. n. 149/2011 sono privi di copertura ai sensi dell’art. 76 Cost., e devono pertanto ritenersi costituzionalmente illegittimi. Decisiva, al riguardo, è la circostanza che la norma di delega abbia assunto in considerazione specifiche e limitate ipotesi di trasmissione e pubblicazione dei dati regionali, mentre la disposizione delegata si prefigge un diverso e più ampio obiettivo di “trasparenza” dell’intera azione delle Regioni.

La declaratoria si estende, in via consequenziale, ai commi 3-bis e 6 del medesimo art. 1, introdotti dal d.l. n. 174/2012, in quanto privi di autonomia e significato, una volta cadute le disposizioni cui accedono.

La seconda delle norme annullate disciplinava invece, sempre con riguardo alle Regioni a statuto ordinario, la rimozione cd. sanzionatoria del Presidente della Giunta regionale e lo scioglimento del Consiglio regionale, prevedendo, tra le altre, una fattispecie di «grave dissesto finanziario» in materia sanitaria, subordinata al congiunto verificarsi di tre presupposti.

In particolare, ai sensi dell’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 142/2011, la rimozione avrebbe potuto essere disposta quando, in una Regione tenuta a presentare il “piano di rientro” dal disavanzo sanitario: a) il Presidente della Giunta, già nominato commissario ad acta dal Consiglio dei ministri, non avesse adempiuto all’obbligo di redazione del piano, o agli obblighi da esso derivanti, anche sotto l’aspetto temporale; b) fosse stato riscontrato, in sede di verifica annuale, il mancato raggiungimento degli obiettivi del piano e il conseguente perdurare, o l’aggravamento, del disavanzo; c) la Regione avesse adottato, stante l’omesso raggiungimento degli obiettivi del piano, un ulteriore incremento dell’aliquota dell’addizionale regionale IRPEF al livello massimo consentito, per due esercizi consecutivi.

L’art. 2, co. 2, inoltre, qualificava il grave dissesto finanziario “grave violazione di legge” ai sensi dell’art. 126 Cost., prevedendo che la sussistenza dello stesso esso dovesse venire accertata dalla Corte dei conti,  e che, a seguito di tale accertamento, il Capo dello Stato disponesse lo scioglimento e la rimozione, previa delibera del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, e previo parere conforme della Commissione parlamentare per le questioni regionali, espresso a maggioranza di due terzi dei componenti.

L’art. 2, co. 3 introduceva, poi, sanzioni a carico della persona del Presidente rimosso, stabilendone l’incandidabilità a cariche elettive per dieci anni, e il divieto di nomina per il medesimo periodo quale componente di organi di governo di Unione europea, Stato, Regioni ed enti locali.

L’art. 2, comma 5, infine, attribuiva al Consiglio dei ministri il compito di nominare, in sostituzione del Presidente della Giunta rimosso, un commissario ad acta per l’ordinaria amministrazione e l’adozione degli atti improrogabili fino all’insediamento del nuovo Presidente.

Ad avviso della Consulta, la norma impugnata presentava due profili in contrasto con il modello costituzionale, idonei a giustificare la declaratoria di illegittimità.

Anzitutto, con riferimento al comma 2, la Corte rileva che l’art. 126 Cost., nell’individuare con precisione gli organi investiti dell’applicazione del potere sanzionatorio, diversamente dalla norma impugnata, non vi ha incluso la Corte dei conti, mentre la Commissione parlamentare per le questioni regionali è chiamata ad adottare un parere privo di carattere vincolante.

La Corte ha altresì riconosciuto fondate le questioni sollevate con riferimento al fatto che la rimozione colpisse il Presidente della Giunta in ragione di attività svolte non in tale veste, ma nella qualità di commissario ad acta nominato, e diretto, dal Governo. L’art. 126 Cost. richiede, infatti, che la grave violazione di legge sia imputabile all’organo di vertice della Regione, che ne viene sanzionato, mentre la norma impugnata vincolava l’esercizio del potere di rimozione al verificarsi di violazioni tutte collocate nella fase posteriore alla nomina del commissario governativo.

Da ciò l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 2, 3 e 5, del d.lgs. n. 149 del 2011, con assorbimento delle ulteriori questioni di costituzionalità sollevate dalle ricorrenti.

a cura di Gianluca Cosmelli


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