Constitutionalization of the European Budgetary Constrains: Comparative and Interdisciplinary Perspective – Tilburg Law School, 30-31 Maggio 2013
La profonda crisi economica, che dal 2008 investe il territorio europeo, ha mostrato violentemente le debolezze strutturali del sistema ideato fin dal 1992 con il trattato di Maastricht.
Contrariamente a quanto auspicato dall’approccio monetarista, il sistema economico monetario europeo si è rivelato insufficiente ad assicurare una convergenza delle politiche economiche. Gli stati, privi di strumenti di coordinamento e di intervento adeguati, nonché costretti a far fronte alla grave situazione di crisi ed allo scoppio dell’emergenza greca, hanno dovuto ideare misure istituzionali ad hoc per affrontare il problema del debito sovrano.
Così, una volta definiti gli strumenti eccezionali di sostegno al governo ellenico, le istituzioni europee e gli stati membri hanno convenuto sulla necessità di individuare soluzioni più organiche. Il risultato appare, però, tutt’altro che unitario ed il sistema attuale di governance economica è un mix eterogeneo di scelte giuridico istituzionali riconducibili alle due categorie del diritto dell’Unione europea e del diritto internazionale. La prima categoria comprende: il Six Pack[1], il Two Pack[2], l’istituzione del Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (Mesf)[3] e la modifica dell’art. 136 TFEU. La seconda, invece, l’istituzione del Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf), il Patto Europlus, il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria (ossia il c.d Fiscal Compact) e la creazione del Meccanismo europeo di stabilità (Mes).
La complessità del quadro ora delineato, dettato ovviamente da ragioni di emergenza, ha sollevato importanti interrogativi circa l’interpretazione giuridica, la portata e l’impatto delle misure nel complesso sistema istituzionale degli Stati ed ha suscitato dubbi sulla loro stessa legittimità democratica.
Alla luce di queste problematiche il 30 e il 31 Maggio si è svolta una Conferenza nella piccola cittadina olandese di Tilburg: un momento importante di riflessione e confronto circa il nuovo sistema di governance economico europeo e in particolare circa le prospettive e le conseguenze per il sistema costituzionale dei singoli stati membri e per lo stesso processo di integrazione europea.
Il Prof. Paul Craig ha aperto la Conferenza e ha semplificato la complessità del quadro giuridico istituzionale in una teorizzazione più organica rispetto all’emergente architettura costituzionale europea. L’insieme delle misure adottate, ha spiegato, è riconducibile a due grandi dimensioni: una sostanziale e l’altra formale. La prima si focalizza sulle finalità ed è suddivisa in due categorie che comprendono da una parte quelle predisposte a garantire assistenza agli stati membri dell’Euro zona e dall’altra, le misure che mirano a rafforzare i controlli delle politiche di bilancio nazionali.
Entrambe convergono nella seconda grande dimensione, quella formale, che riguarda la base giuridica. In essa si trovano le misure adottate nel quadro del diritto europeo e quelle istituite sulla base di accordi internazionali e, quindi, stipulate al di fuori della cornice istituzionale dell’Unione.
Seguendo la categorizzazione del Prof. Craig e analizzando solo le misure più rilevanti adottate nel quadro della governance economica europea, il ‘six-pack’ e il ‘two pack’ rientrano tra quelle misure che dal punto di vista sostanziale mirano ad accrescere il controllo delle politiche di bilancio nazionale e che formalmente si collocano nell’ambito del diritto dell’Unione. Entrambi modificano ed integrano l’originale patto di stabilità e crescita, tuttavia, mentre il ‘six-pack’ introduce regole più rigide sul deficit e sul debito pubblico e si applica a tutti gli stati membri dell’UE, il ‘two-pack’ istaura ulteriori procedure di sorveglianza budgetaria ma si applica ai soli 17 paesi dell’eurozona.
Al di fuori della legislazione europea, si colloca invece il Fiscal Compact. Sottoscritto il 2 marzo 2012 da 25 Stati membri ed entrato in vigore il 1 gennaio 2013, l’accordo, anche se proprio del diritto internazionale detta una disciplina di bilancio confermativa delle regole introdotte nell’ambito della cornice istituzionale dell’Unione e richiede, come stabilito dall’art. 3 del trattato, l’introduzione della c.d. golden rule, ossia l’obbligo del pareggio di bilancio, negli ordinamenti degli stati contraenti, da recepire preferibilmente con una norma di rango costituzionale. Inoltre, il Fiscal Compact conferisce alla Corte di Giustizia europea (art. 8 par. 1 FC) competenza giurisdizionale in merito all’adeguatezza delle misure implementate ed è legato al Meccanismo europeo di stabilità e crescita (Mes), il c.d. fondo salva stati, che, stabilito con Trattato internazionale, rientra tra le misure assistenziali adottate al di fuori della legislazione europea.
Nell’attuale governance economica europea la complessità e l’eterogenità delle scelte giuridico-istituzionali sollevano molti spunti critici. Tra essi spicca la questione della legittimità democratica.
Secondo il Prof. Craig le misure adottate per far fronte alla profonda crisi economica hanno determinano importanti implicazioni sul piano costituzionale, implicazioni che possono essere riassunte in tre punti. La prima riguarda la legittimità del ruolo svolto dalle istituzioni europee e il loro coinvolgimento nelle misure adottate sulla base del diritto internazionale. La seconda pone l’accento sul passaggio da meccanismi decisionali fondati su procedure legislative conformi alle previsioni dei trattati europei ad una preferenza per le forme contrattuali proprie del diritto internazionale, che rifuggono dai meccanismi propri della legittimità democratica. Ed infine, l’ultima, implica lo stesso concetto di responsabilità, secondo cui l’accresciuta complessità dell’intera architettura costituzionale europea determina profonde e negative implicazioni in termini di trasparenza del processo decisionale.
L’intervento del Prof. Craig ha affrontato quelli che sono stati gli argomenti salienti al centro del dibattito dell’intera conferenza.
Nonostante, infatti, i temi e i lavori presentati siano stati molteplici, gli stessi possono essere raggruppati in due macro-aree tematiche: la prima riguarda l’impatto delle nuove misure nella cornice istituzionale dell’Unione e le conseguenze in termini di rafforzamento o meno delle istituzioni europee; la seconda si focalizza sull’impatto delle nuove misure e sulla loro implementazione negli Stati membri dell’Unione, analizzandone le conseguenze in termini di competenza giurisdizionale.
In merito alla prima, l’analisi si è incentrata soprattutto sul ruolo focale svolto dalla Banca Centrale Europea (BCE) durante la crisi. A tal riguardo, benché le scelte degli stati avessero privilegiato l’introduzione di strumenti al di fuori del diritto europeo (quali ESM e EFSF), che ne escludevano un coinvolgimento diretto, la banca, come sottolineato dalla Prof.ssa Stefania Baroncelli, si è contraddistinta per il suo ruolo primario, diventando l’emblema e l’istituzione guida durante tutto il periodo di crisi.
La BCE, attraverso un uso pragmatico dei propri poteri, ha cercato di rassicurare i mercati e di proteggere l’area-euro, trasformandosi da un’istituzione il cui obiettivo principale era quello di contenere l’inflazione, in un prestatore di ultima istanza. L’indipendenza della BCE, che secondo l’analisi comparata svolta dal Dott. Marijn van der Sluis risulta essere addirittura superiore rispetto a quella propria della Bundesbank tedesca, si è rilevata in tal senso un fattore estremamente positivo, in grado di ergersi al di sopra della sfiducia generale nei confronti delle forze politiche.
A tal riguardo, la lettura restrittiva del principio di indipendenza stabilita dalla Corte di giustizia europea[4], secondo cui il principio non deve essere considerato fine a se stesso ma mezzo per assicurare la realizzazione dell’obiettivo della stabilità, viene ad essere radicalmente alterata in seguito allo scoppio della crisi. Ciò ha comportato la trasformazione della banca in un’istituzione ben più complessa il cui ruolo centrale è stato riconfermato dall’attuale proposta di realizzazione di Unione bancaria europea.
L’analisi del principio di indipendenza solleva poi preoccupazioni in merito al rispetto del principio della legittimità democratica. Preoccupazioni che non solo vedono un ruolo già fortemente limitato del Parlamento Europeo nei confronti della BCE: l’adozione delle misure anti-crisi, giuridicamente poste al di fuori della legislazione europea, ne ha determinato un’ulteriore marginalizzazione dai processi decisionali. Il coinvolgimento dei parlamenti nazionali non sembra alleviare la gravità del problema, in quanto non tutti i parlamenti nazionali, come sottolineato dal Prof. Kenneth Armstrong e dal Prof. Angelos Dimopoulos, hanno le stesse capacità ed expertise in grado di assicurare un’adeguata partecipazione e controllo sulle decisioni prese.
Ne è una conferma la relazione comparata sul parlamento irlandese e quello spagnolo presentata dalla Dr.ssa Piedrafita Tremosa che ha evidenziato come la grave situazione di emergenza e la necessità di interventi immediati abbiano rappresentato un forte deterrente per un’attiva partecipazione dei parlamenti.
A tale questione si aggiunge poi un ulteriore aspetto problematico: il Dott. Francesco Costamagna ha messo in rilievo come la crisi abbia determinato una dominanza delle questioni economiche su quelle sociali. Nonostante, infatti, il trattato conferisca ad entrambe lo stesso status “costituzionale”, (art. 3 TEU), le politiche sociali non sono oggi la priorità e tale sbilanciamento rischia di delegittimare le scelte degli Stati e di avere un impatto negativo sulla percezione dei cittadini nei confronti del ruolo svolto dall’Unione Europea.
La questione della legittimità democratica si estende sullo stesso piano nazionale dove l’introduzione delle misure e, nello specifico, l’assimilazione dell’obbligo del pareggio di bilancio “preferibilmente” nei testi costituzionali nazionali, solleva dubbi sull’adeguatezza della scelta dello strumento normativo per accomodare scelte di politica economica. Così, il quesito posto dalla Prof.ssa Lina Papadopolou, se il testo costituzione rappresenti il punto di partenza ottimale per un aggiustamento strutturale delle regole proprie di politica fiscale, ha trovato un’iniziale giustificazione normativa nella relazione presentata dal Dott. Giacomo Delledonne, che, riaffermando la necessità di preservare il giusto equilibrio tra “political e legal constitutionalism”, legittima l’attuale scelta in favore dello strumento normativo solo se lo stesso mira a proteggere e a preservare “the political aspects of financial constitutions”.
Tuttavia, al di là dei tentativi di teorizzazione, i casi studio hanno dimostrato una certa difficoltà nell’implementazione delle nuove regole fiscali tanto che in molti paesi si è proceduto con forme legislative non di rango costituzionale. In Grecia, dinanzi all’impossibilità politica di procedere ad una revisione formale della Costituzione, l’impegno assunto con l’accettazione del “Memorandum of Understanding”[5] nel 2010, ha rappresentato la garanzia sufficiente per il rispetto del principio stesso. In Irlanda, la previsione della parità di bilancio è stata introdotta con l’adozione del “Fiscal Responsability Act” che, secondo quanto confermato dal Dott. Roderic O’Gorman, non si differenzia dalle procedure di adozione della legislazione ordinaria. La stessa scelta è rinvenibile nell’ordinamento olandese, in cui si è preferito non incorporare l’obbligazione nel testo costituzionale ma la stessa è stata introdotta attraverso la legge “Sustainable Public Finance”, di pari rango della legge annuale di bilancio. Al di là di queste scelte discrezionali, si è inoltre assistito ad una forte eterogeneità in termini di scelte legislative e criteri utilizzati per assicurare la stabilità delle politiche fiscali, scelte che ovviamente hanno rispecchiato l’eterogeneità dei singoli ordinamenti nazionali.
Al problema dell’adeguamento degli ordinamenti nazionali è strettamente legato quello della giustiziabilità delle misure adottate, in particolare di quelle misure la cui base giuridica si colloca al di fuori del diritto europeo.
La Dott.ssa Elaine Fahey e il Dott. Samo Bardutzky, focalizzandosi sulle peculiarità proprie dell’ESM[6] e analizzando le varie procedure giurisdizionali iniziate nei diversi stati, hanno sottolineato come, dinanzi all’accresciuta complessità dei rapporti tra gli stati membri e l’UE sia, ora, necessario sviluppare forme innovative di interazione, tra cui il ripensamento dell’intera architettura giurisdizionale europea, attraverso l’inclusione di maggiori forme di collaborazione e di dialogo tra i due livelli.
Diversa è stata invece la posizione del Prof. Federico Fabbrini, che ha definito il ruolo delle corti il meno adeguato a giudicare materie di politica fiscale, ritenendo l’ambito politico quello più appropriato. Ciò prima di tutto perché, gli esecutivi, i parlamenti e le istituzioni indipendenti (banca centrale) hanno maggiore expertise nell’ambito economico e in secondo luogo perché gli attori coinvolti nel processo politico sono maggiormente legittimati rispetto alle stesse corti. In tal senso, ha auspicato una riduzione del coinvolgimento delle corti attraverso una riforma dell’EMU e la sua inclusione nell’ambito del diritto dell’UE.
Negli ultimi interventi conclusivi della Conferenza, quello del Prof. Peter Lindseth si è contraddistinto per il suo approccio teorico. Sulla base della sua classica e discussa interpretazione amministrativa del processo di integrazione europea, il prof. Lindseth ha affermato che la legittimità del sistema trova fondamento nella democraticità stessa dei singoli stati membri e qualsiasi ulteriore progetto di unione fiscale è stato valutato come troppo ambizioso
Diversa è stata invece la posizione di tutti gli altri relatori. Il Prof. Ingolf Pernice, partendo dallo stesso principio di sussidiarietà, ha auspicato un ripensamento dell’attuale sistema, ormai “out of control”, per cui eventuali problemi comuni devono essere affrontati al livello di governo più adeguato. Ciò di cui si ha bisogno è un ripensamento del “contratto sociale” che assicuri una maggiore inclusione degli stessi cittadini e che restauri il principio della legittimità democratica.
Sia il Prof. Pernice che il ministro portoghese Prof. Miguel Poiares Maduro hanno reputato l’introduzione della “golden rule” una misura insufficiente per uscire dalla crisi e secondo il ministro, le sole regole di politica fiscale rischiano di indebolire ulteriormente la legittimità dell’Unione: ne discende che le stesse devono invece essere inserite in un progetto più coerente di coordinamento e di maggiore inclusione non solo economica ma più prettamente politica.
Sulla base di queste riflessioni la Conferenza si è conclusa con l’auspicio condiviso di un maggiore approfondimento del processo di integrazione europea mirante ad una più forte inclusione e coordinamento delle politiche fiscali.
[1] The legislative acts form part of a package of provisions which aim at reforming the Stability and Growth Pact (Regulation (EU) 1175/2011 and 1177/2011), at preventing and correcting macro-economic imbalances (Regulation 1176/2011), at the enforcement of measures that correct excessive macro-economic imbalances in the euro area (Regulation 1174/2011), at guaranteeing the effective budgetary surveillance in the euro area (Regulation 1173/2011), and at setting the requirements of the budgetary framework for the Member States (Directive 2011/85EU), pubblicati OJ L306/54, 23.11.2011, 1 et seq.
[2] Regulation on common provisions for monitoring and assessing draft budgetary plans and ensuring the correction of excessive deficit of the Member States in the euro area (COM(2011) 821 final) and of Regulation on the strengthening of economic and budgetary surveillance of Member States in the euro area experiencing or threatened with serious difficulties with respect to their financial stability (COM(2011) 821)
[3] COUNCIL REGULATION (EU) No 407/2010
[4] Sentenza C-11/00 Commission vs ECB.
[5] Il memorandum è parte di una serie di impegni assunti dalla Grecia in termini di riforma fiscale e strutturale come condizione necessaria per la concessione di prestiti da parte dell’UE e dell’IFM. Rispetto agli altri accordi, il memoranda è stato assimilato dalla normativa nazionale e allegato alle legge 3845/2010 (Measures for the application of the support mechanism for the Greek Economy by the euro area Member States and the International Monetary Found)
[6] Concluso dai 17 paesi dell’eurozona il 2 febbraio 2012 ed entrato in vigore 27 settembre 2012