DICHIARAZIONE EX ART. 38, CO. 1, LETT. B) E LETT. C), DEL D.LGS. N. 163/2006: LA SEZIONE QUINTA RIMETTE LA QUESTIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

16.05.2013

Con l’ordinanza in rassegna viene in rilievo la questione relativa all’individuazione dei soggetti obbligati, ai sensi dell’art. 38, co. 1, lett. b) e lett. c), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e s.m.i, a rendere la dichiarazione sull’assenza di condanne penali definitive suscettibili di incidere negativamente sui requisiti di moralità professionale da parte delle persone fisiche dotate di poteri di rappresentanza dell’operatore economico che intenda partecipare ad una procedura ad evidenza pubblica.

La vicenda controversa verte sull’appello promosso da un’impresa avverso la sentenza con la quale il TAR ha respinto il suo ricorso avverso l’aggiudicazione a favore di altro operatore, accogliendo al contempo il ricorso incidentale promosso dalla controinteressata nel quale era stata prospettata l’illegittimità degli atti di gara nella parte in cui non era stata disposta l’esclusione dell’impresa ricorrente principale per omessa allegazione della dichiarazione ex art. 38 del Codice da parte del procuratore speciale. Il TAR, nella sentenza ha aderito al prevalente orientamento giurisprudenziale a tenore del quale l’individuazione dei soggetti tenuti all’adempimento richiesto dal Codice per la dimostrazione del possesso dei requisiti di moralità professionale deve effettuarsi non solo sulla base di criteri formali ma anche in considerazione dei poteri sostanziali attribuiti al singolo soggetto, con particolare riferimento all’eventuale potestà di impegnare la società verso terzi, qualora l’estensione delle attribuzioni lasci intendere che si tratti di amministratori di fatto. Come noto, tale orientamento tende a privilegiare un’interpretazione attenta a cogliere il c.d. “effetto utile” perseguito dalla norma, rinvenibile nell’esigenza di evitare che società al cui interno operano soggetti di dubbia moralità, viste le pregresse condanne, possano essere ammessi a contrattare con la pubblica Amministrazione.

La Sezione Quinta, prendendo atto dell’assenza di un orientamento giurisprudenziale non univoco in materia, ha ritenuto opportuno rimettere la questione all’Adunanza plenaria, non senza premettere che la circostanza per cui il soggetto di cui si contesta l’omessa dichiarazione non abbia subito condanne sia irrilevante. E, in effetti, è noto che “la mancata dichiarazione responsabile anche di uno solo dei requisiti di cui all’art. 38 comma 1 cod. contr. equivale a mancata prova dello stesso, situazione difforme dal regime documentale stabilito dalla norma e che potrebbe alterare, con la partecipazione di imprese non legittimate e che non assumono responsabilità di dichiarazione, la libertà delle gare”.

Nel merito, il Consiglio di Stato ha cura di richiamare sinteticamente i diversi orientamenti invalsi sul tema, a partire da quello cui la stessa Sezione Quinta aderisce, secondo il quale l’applicazione dell’art. 38 co. 1 lett. b) e lett. c) del Codice deve ritenersi “rigorosamente” correlata “alla posizione formale rivestita dal singolo nell’organizzazione societaria”, non potendosi accettare per converso avvalorare opposte interpretazioni dirette a valorizzare “indagini «sostanzialistiche» (Sez. V, 25 gennaio 2011, n. 513) che non si intuiscono con immediatezza dal dato normativo, ed i cui esiti sarebbero imprevedibili ex ante da parte delle imprese e delle stazioni appaltanti (Sez. V, 10 gennaio 2013 n. 95)”. Precisa, inoltre, la Sezione Quinta come “secondo una parte della giurisprudenza, per l’individuazione dei soggetti tenuti alle dichiarazioni sostitutive finalizzate alla verifica del possesso dei requisiti di moralità, quando si tratti di titolari di organi di persone giuridiche da ricondurre alla nozione di «amministratori muniti di poteri di rappresentanza», occorre esaminare i poteri, le funzioni e il ruolo effettivamente e sostanzialmente attribuiti al soggetto considerato, al di là delle qualifiche formali rivestite (Cons. Stato, V, 16 novembre 2010 n. 8059; VI, 8 febbraio 2007, n. 523 …”. Prosegue la ricostruzione effettuata dal Consiglio di Stato ricordando come “altra giurisprudenza ha limitato la sussistenza dell’obbligo di dichiarazione ai soli amministratori muniti di potere di rappresentanza e ai direttori tecnici, e non anche a tutti i procuratori della società (T.A.R. Basilicata, I, 22 aprile 2009 , n. 131; T.A.R. Liguria, II, 11 luglio 2008 , n. 1485; T.A.R. Calabria – Reggio Calabria, I, 08 luglio 2008 , n. 379)”.

Secondo la Sezione Quinta, “l’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 richiede la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza (che può essere limitato per gli amministratori ex art. 2384, comma 2, c.c.) e non vi è alcuna possibilità per estendere l’applicabilità della disposizione a soggetti, quali i procuratori, che amministratori non sono”, e ciò anche in ragione della natura escludente della norma, da cui discende il carattere eccezionale ed il correlativo divieto di interpretazione in senso estensivo.

Anche a voler prescindere da tale preliminare rilievo di carattere generale, nell’ordinanza si rileva come “anche l’applicazione analogica sarebbe opinabile, in presenza di una radicale diversità della situazione dell’amministratore, cui spettano compiti gestionali e decisionali di indirizzi e scelte imprenditoriali e quella del procuratore, il quale, benché possa essere munito di poteri di rappresentanza, è soggetto dotato di limitati poteri rappresentativi e gestionali, ma non decisionali (nel senso che i poteri di gestione sono pur sempre circoscritti dalle direttive fornite dagli amministratori, così la già richiamata sentenza Sez. V, 25 gennaio 2011, n. 513; nello stesso senso cfr. anche, tra le altre, 17 maggio 2012, n. 2818; 6 giugno 2012, n. 3340; 21 novembre 2011, n. 6136; 24 marzo 2011, n. 1782)”.

Non solo. Secondo il Consiglio di Stato, l’adesione all’orientamento diretto a legittimare un’indagine sui poteri, per così dire, “sostanziali” dei procuratori porrebbe notevoli difficoltà in “fattispecie peculiari, tra tutte le gare per l’affidamento dei servizi di tesoreria, in cui scendono a concorrere gli istituti di credito, figure organizzative in cui la procura speciale è un elemento tipicamente organizzativo; i concorrenti sarebbero costretti, nel caso di dovuta presentazione della dichiarazione ex art. 38, ad una defatigante produzione di documenti, ove dovessero esserne investiti i procuratori ad negotia: ci si deve chiedere se una simile necessità sia effettivamente collimante con i principi generali di economicità, efficacia e proporzionalità che devono informare l’attività amministrativa ed ancora con l’art. 97 della Costituzione”.

In virtù di quanto precede, la Sezione Quinta ritiene che sia preferibile accogliere una “nozione tecnico-giuridica … desunta dal diritto societario e che, secondo i normali criteri di interpretazione delle norme, va interpretata secondo il significato che riveste in quel settore dell’ordinamento giuridico”, di modo tale che per amministratori devono intendersi “i soggetti, nominati dall’assemblea, cui spetta ope legis (art. 2380-bis c.c.) in via esclusiva la gestione della società e che sono titolari di poteri specifici «infrasocietari», come quello di predisporre il bilancio e di convocare l’assemblea”. Diversamente, non pare possa assumere rilievo la posizione dei “procuratori ad negotia, titolari di limitati poteri di gestione in forza di procura degli amministratori e in posizione subordinata, nell’ambito delle direttive degli amministratori”.

La Sezione Quinta ha avuto cura di soffermarsi anche su quello che nella sentenza del TAR viene definito come il prevalente orientamento giurisprudenziale, riferendosi alla “tendenza di indirizzo sostanzialistico che richiede l’estensione dell’onere di presentazione della dichiarazione di cui all’art. 38 del codice dei contratti a quei procuratori speciali, i cui i poteri negoziali sia in quantità e qualità rilevanti”.

Al riguardo si osserva anzitutto che “tale orientamento ha interessato recenti pronunce della Sezione VI, ma anche sentenze meno recenti di questa Sezione, ora almeno apparentemente superate da quelle prima menzionate, fedeli a collegare l’onere della dichiarazione ex art. 38 alla qualifica formale rivestita dal singolo (Sez. V, 9 marzo 2010 n. 1373; id., 26 gennaio 2009 n. 375; id., 15 gennaio 2008, n. 36)”. Si nota, poi, che “la Sezione VI, nel chiedersi se nei confronti dei procuratori speciali sussistano gli obblighi di cui all’art. 38 D. Lgs. 163 del 2006, ha di recente dato risposta affermativa, pur nel riconoscimento del contrario orientamento giurisprudenziale, che riferisce degli obblighi solamente a carico degli amministratori delle società muniti di poteri di rappresentanza ed ai direttori tecnici”, richiamandosi a “ragioni sistematiche”, in virtù delle quali “dovrebbe ritenersi sussistente l’obbligo di dichiarazione anche nei confronti dei procuratori ad negotia con un conferimento di poteri di rilevanza sostanziale e di notevole contenuto economico (nel caso esaminato dalla Sezione VI con la sentenza 18 gennaio 2012 n. 178 era consentito al procuratore speciale di adottare i confronti di soggetti pubblici atti di valore fino a 100mila €. – si veda anche VI, 24 novembre 2009, n. 7380)”.

E’ evidente come secondo “l’indirizzo sostanzialistico, con l’indicazione della necessità della dichiarazione in parola riservata ai soli procuratori dotati di poteri rappresentativi rilevanti” si valorizza il profilo teleologico dell’art. 38 del Codice, al fine di far “emergere situazioni di dubbia legalità altrimenti rimaste dietro le quinte” ma ciò, per la Sezione Quinta espone al rischio di una “soggettivistica indagine del «caso per caso» sulla rilevanza dei poteri, dovendosi al contrario giungere a quanto sopra richiamato, cioè ad un’esasperante estensione degli oneri di dichiarazione”.

Proprio per tale ragione, la Sezione Quinta, nel rimettere la questione all’Adunanza plenaria non ritiene trascurabile la circostanza che “un accertamento di fatto così complesso e così opinabile come quello che dovrebbero compiere le stazioni appaltanti e i giudici amministrativi in ordine all’ampiezza dei poteri dei procuratori ad negotia e alla posizione subordinata o meno degli stessi rispetto agli amministratori determinerebbe una grave incertezza giuridica nelle imprese e nella giurisprudenza, con l’adozione di criteri di giudizio difformi da caso a caso”.Cons. Stato, Sez. V, n. 1943 del 2013

a cura di Filippo Degni