Corte costituzionale, 2 luglio 2012, sentenza n. 172
Giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 1-ter, comma 13 (recte: articolo 1-ter, comma 13, lettera c), del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), introdotto dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, promossi dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche con ordinanza dell’8 luglio 2011 e dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria.
Norme impugnate
Il Tribunale amministrativo regionale per le Marche ed il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria dubitano, rispettivamente, in riferimento all’art. 3 Cost. ed agli artt. 3, 27 e 117, primo comma, Cost. ed in relazione agli articoli 6 ed 8 della CEDU, della legittimità costituzionale dell’articolo 1-ter, comma 13 (recte: articolo 1-ter, comma 13, lettera c), del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), introdotto dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102.
Argomentazioni della Corte
La Corte costituzionale, in primo luogo, esplica il contenuto della norma censurata. L’art. 1-ter del d.l. n. 78 del 2009 disciplina la regolarizzazione della posizione lavorativa dei lavoratori extracomunitari (definita «emersione») i quali, alla data del 30 giugno 2009, svolgevano attività di assistenza in favore del datore di lavoro o di componenti della famiglia del predetto […] ovvero espletavano attività di lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare”. In particolare, il comma 13, lettera c), dell’art.1-ter, stabilisce che non possono ottenere detta regolarizzazione i lavoratori extracomunitari “che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, […]per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381” del c.p.p.
Secondo il TAR per le Marche, tale norma violerebbe l’art. 3 Cost. in primo luogo, in quanto “assoggetta ad una stessa disciplina coloro i quali si sono resi colpevoli di azioni di rilevanza penale profondamente diverse per gravità e intensità del dolo […] impedendo così all’amministrazione di valutare adeguatamente l’attuale pericolosità di colui per il quale è chiesta la regolarizzazione”. Inoltre, in secondo luogo, essa recherebbe vulnus a detto parametro costituzionale, poiché, in violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità “non consente di ammettere alla procedura di emersione sia i lavoratori extracomunitari colpevoli di reati di rilevante gravità, che generano allarme sociale, sia quelli che, a seguito della condanna, hanno dimostrato una condotta rispettosa delle norme e dei valori dello Stato italiano.
Secondo il TAR per la Calabria, la norma oggetto di censura si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui dispone il diniego automatico della regolarizzazione anche nel caso di condanna irrogata con sentenza non definitiva, in virtù di una valutazione implicita di pericolosità derivante dal mero fumus di colpevolezza», in riferimento ai reati previsti dall’art. 381 cod. proc. pen., i quali, tuttavia, potrebbero esprimere un così basso grado di allarme sociale da inibire persino l’arresto in flagranza […]”.Tale fumus, secondo il rimettente, non giustificherebbe un automatismo che, in violazione del principio di ragionevolezza e degli altri parametri costituzionali sopra indicati, incide sui diritti fondamentali del lavoratore extracomunitario […]”.
Secondo la Corte, la questione è fondata con riferimento all’art. 3 Cost. La regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è legata al bilanciamento di diversi interessi pubblici. Tale bilanciamento viene realizzato in primis dal legislatore statale, a cui spetta un ampio potere discrezionale per conseguire un’efficace tutela dei valori. In questi potere vi rientrano: la fissazione dei requisiti necessari per le autorizzazioni che consentono ai cittadini extracomunitari di trattenersi e lavorare nel territorio della Repubblica (sent. n. 78 del 2005) ed il c.d. automatismo che caratterizza taluni profili della disciplina del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno oppure dell’espulsione (ordinanze n. 463 del 2005, n. 146 del 2002, n.148 del 2008) […]; ferma l’esigenza di uno specifico giudizio di pericolosità sociale, nel caso in cui l’espulsione dal territorio nazionale sia disposta come misura di sicurezza” (sentenze n. 148 del 2008, n. 58 del 1995). Tuttavia, tale potere discrezionale incontra i limiti dettati dalla carta costituzionale – tale potere, infatti, deve essere conforme a criteri di ragionevolezza (sentenza n. 206 del 2006 e n. 62 del 1994).
La Corte, peraltro, ricorda come già in precedenti casi ha valutato la non incompatibilità tra l’automatismo e l’art. 3 Cost.: in un primo caso, il provvedimento di espulsione “[…] non era correlato a lievi irregolarità amministrative (ma a fattispecie di irregolarità più gravi) […] (sentenza n. 206 del 2006)”; in un secondo caso, la Corte ha giudicato non in contrasto con l’art. 3 Cost., l’automatismo del rifiuto del rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno “lo straniero extracomunitario [che] abbia riportato una condanna per un reato inerente agli stupefacenti il quale implica contatti, a diversi livelli, con appartenenti ad organizzazioni criminali” (sentenza n. 148 del 2008). La Corte sottolinea come il bilanciamento dei vari interessi pubblici debba essere il risultato di un “ragionevole e proporzionato bilanciamento degli stessi, soprattutto quando sia suscettibile di incidere sul godimento dei diritti fondamentali dei quali è titolare anche lo straniero extracomunitario (sentenze n. 245 del 2011, n. 299 e n. 249 del 2010), perché la condizione giuridica dello straniero non deve essere considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati o peggiorativi” (sentenza n. 245 del 2011).
La Corte costituzionale, sulla base della propria giurisprudenza, afferma che “a conforto della manifesta irragionevolezza della norma censurata assume anzitutto rilievo la considerazione che il diniego della regolarizzazione consegue automaticamente alla pronuncia di una sentenza di condanna anche per uno dei reati di cui all’art. 381 cod. proc. pen., nonostante che gli stessi non siano necessariamente sintomatici della pericolosità di colui che li ha commessi. In tal senso è, infatti, significativo che, essendo possibile procedere per detti reati «all’arresto in flagranza soltanto se la misura è giustificata dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto» (art. 381, comma 4, cod. proc. pen.), è già l’applicabilità di detta misura ad essere subordinata ad una specifica valutazione di elementi ulteriori rispetto a quelli consistenti nella mera prova della commissione del fatto”.
La manifesta irragionevolezza della disciplina stabilita dalla norma censurata, è, inoltre, confermata dalla circostanza che “l’automatismo concerne una fattispecie connotata da profili peculiari tra quelle aventi ad oggetto l’accertamento della sussistenza dei requisiti per la permanenza nel territorio dello Stato. La regolarizzazione in esame riguarda i soli stranieri extracomunitari i quali da un tempo ritenuto dal legislatore apprezzabile svolgevano, sia pure in una situazione di irregolarità, attività di assistenza in favore del datore di lavoro o di componenti della famiglia del predetto, ancorché non conviventi, affetti da patologie o disabilità che ne limitano l’autosufficienza, ovvero attività di lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare. Sono, queste, infatti, attività che, per il loro contenuto e per la circostanza di essere svolte all’interno di una famiglia, da un canto, agevolano l’accertamento dell’effettiva pericolosità dello straniero. Dall’altro, evidenziano che l’automatismo, nel caso di assistenza in favore di quanti sono affetti da patologie o disabilità che ne limitano l’autosufficienza, rischia di pregiudicare irragionevolmente gli interessi di questi ultimi. È, invero, notorio che, soprattutto quando tale attività sia stata svolta per un tempo apprezzabile, può instaurarsi un legame peculiare e forte con chi ha bisogno di assistenza costante e che, quindi, può essere leso da un diniego disposto in difetto di ogni valutazione in ordine alla effettiva imprescindibilità e proporzionalità dello stesso rispetto all’esigenza di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, nonostante che sia agevole ipotizzare, ed accertare, l’esistenza di situazioni contrarie alla generalizzazione posta a base della presunzione assoluta che fonda l’automatismo.
La specificità della fattispecie rende, quindi, manifesta l’irragionevolezza del diniego di regolarizzazione automaticamente correlato alla pronuncia di una sentenza di condanna per uno dei reati di cui all’art. 381 cod. proc. pen., senza che sia permesso alla pubblica amministrazione di apprezzare al giusto gli interessi coinvolti e di accertare se il lavoratore extracomunitario sia o meno pericoloso per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. L’arbitrarietà di tale disciplina risulta, infine, ancora più palese in relazione al caso, oggetto dell’ordinanza del TAR per la Calabria, di pronuncia di una sentenza non definitiva di condanna per uno dei reati contemplati da detta norma. Dalla sentenza non definitiva sono, infatti, desumibili elementi in grado di orientare la formulazione del giudizio di pericolosità; urta, invece, in modo manifesto con il principio di ragionevolezza che siano collegate alla stessa, in difetto del giudicato ed in modo automatico, conseguenze molto gravi, spesso irreversibili, per il lavoratore extracomunitario, nonostante che, per le considerazioni sopra svolte, la stessa commissione del reato potrebbe non essere sicuramente sintomatica della pericolosità sociale del medesimo.
Conclusioni della Corte
La Corte costituzionale dichiara, in riferimento all’art. 3 Cost., l’illegittimità costituzionale dell’art. 1-ter, comma 13, lettera c), nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto dell’istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei reati per i quali l’art. 381 cod. proc. pen. permette l’arresto facoltativo in flagranza, senza prevedere che la pubblica amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.