Ad. Plen. n. 10 del 2012L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 4 maggio 2012 interviene sul tema di grande attualità della sfera di applicazione delle cause di esclusione indicate dall’art. 38, co. 1, lett. c), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e s.m.i.
Anche se la sentenza dell’Adunanza plenaria è stata resa nell’ambito di una controversia regolata ratione temporis dall’art. 38 nella sua formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, vengono comunque enunciati dei principi a carattere generale, soprattutto in tema di rilevanza di modifiche societarie e trasmissione delle cause ostative che troveranno applicazione, con ogni probabilità, anche in relazione ad altre fattispecie nelle quali vengano in rilievo le ipotesi contemplate dall’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Nel ricostruire la vicenda controversa, il Consiglio di Stato precisa come le ragioni della rimessione siano rinvenibili nella rilevata sussistenza di contrasti giurisprudenziali in merito alla necessità o meno di considerare ai fini della dichiarazione di cui all’art. 38, co. 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006, anche gli amministratori e direttori tecnici cessati nell’ultimo triennio dei vertici non solo dell’operatore economico concretamente partecipante alla gara ma anche di quelli della impresa cedente qualora il soggetto che ha presentato l’offerto abbia acquisito un ramo d’azienda e possa essere ammesso alla procedura in virtù del complesso di beni entrato nella sua disponibilità.
Secondo un primo orientamento, più restrittivo, il principio di massima apertura delle procedure ad evidenza pubblica implicherebbe la necessità di interpretare le disposizioni di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 in modo da consentire la maggiore partecipazione possibile e, comunque, senza poter operare alcuna estensione analogica “che rischierebbe di vulnerare l’affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti”
Un altro indirizzo giurisprudenziale, più estensivo, invece, prospetta un’interpretazione delle norme di riferimento ponendo particolare attenzione al bene tutelato, consistente nella garanzia per l’Amministrazione di selezionare un contraente privato di cui vi sia una ragionevole certezza a priori in merito alla sua affidabilità professionale. L’indagine sul possesso dei requisiti di carattere generale, quindi, si può estendere sino a considerare la posizione dei soggetti operanti nelle imprese cedenti e, ciò, soprattutto nel caso in cui vi sia il sospetto che i contratti di cessione o conferimento dell’azienda (o di un suo ramo) possano celare intenti elusivi dei divieti posti dall’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006.
L’Adunanza plenaria nel dirimere il contrasto giurisprudenziale insorto dichiara di aderire al secondo indirizzo appena sintetizzato, non senza formulare alcune precisazioni.
Fermo restando il principio di tipicità e tassatività delle cause di esclusione, il Consiglio di Stato ritiene che assuma importanza dirimente il distinto profilo dell’accertamento della natura del soggetto imprenditoriale partecipante in rapporto a quello cedente. Si tratta, in altri termini di verificare se sussista o meno “sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale … sicché il soggetto cessato dalla carica sia identificabile come interno al concorrente”.
Nell’Adunanza plenaria n. 10 del 2012, quindi, si afferma il principio per cui l’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 non osta che le stazioni appaltanti possano ritenere rilevanti ai fini dell’esclusione dalla gara anche le ipotesi di cessione o conferimento di ramo d’azienda, qualora “affiori l’intento di eludere la norma in relazione a vicende in atto o prevedibili”.
Tale conclusione si fonda sul rilievo per cui “diversamente opinando si finirebbe infatti col disattendere lo scopo stesso della preclusione di legge, da individuarsi sicuramente in quello di impedire anche solo la possibilità di inquinamento dei pubblici appalti di lavori, servizi e forniture derivante dalla partecipazione alle relative procedure di affidamento di soggetti di cui sia accertata la mancanza di rigore comportamentale con riguardo a circostanze gravemente incidenti sull’affidabilità morale e professionale”.
Proprio in considerazione della necessità di garantire l’effettività di tutela del bene giuridico protetto dall’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, il Consiglio di Stato giunge ad equiparare le operazioni di cessione o conferimento del ramo d’azienda alle altre ipotesi di modificazione soggettiva dell’impresa (fusione o di incorporazione di società): anche se in questi ultimi casi si realizza una successione a titolo universale, mentre nei primi di ci si trova di fronte al più ad una successione a titolo particolare, l’Adunanza plenaria precisa come tali operazioni assumano però “una forma del tutto peculiare, consistente nel passaggio all’avente causa dell’intero complesso dei rapporti attivi e passivi nei quali l’azienda stessa o il suo ramo si sostanzia” e, sotto tale profilo, “ben suscettibile di comportare pur essa la continuità tra precedente e nuova gestione imprenditoriale”.
Il Consiglio di Stato, peraltro, ha altresì cura di porre in evidenza come il solo fatto della cessione dell’azienda non valga a costituire dimostrazione di “aver adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata”, come previsto dall’art. 38 ai fini del venir meno della causa di esclusione, occorrendo piuttosto una serie di misure ulteriori come l’acquisizione di attestazioni “circa intervenute condanne o indagini penali già in corso sui rispettivi vertici amministrativi e tecnici per reati che incidano sull’affidabilità morale e professionale, nonché prevedendo penali o garanzie o risoluzione della cessione al verificarsi di tali fatti, suscettibili di risolversi negativamente per tali soggetti entro il successivo triennio”.
Ad opportuno temperamento dell’applicabilità del divieto di partecipazione, e nel rispetto della ratio del richiamato art. 38, nell’Adunanza plenaria n. 10 del 2012 si precisa che “al cessionario va riconosciuta la possibilità di comprovare che la cessione si è svolta secondo una linea di discontinuità rispetto alla precedente gestione, tale da escludere alcuna influenza dei comportamenti degli amministratori e direttori tecnici della cedente”.
Con riferimento al caso concreto, di cui è utile dar conto in quanto paradigmatico del tipo di valutazioni che le stazioni appaltanti ed il Giudice Amministrativo sono chiamati ad effettuare nell’esercizio delle rispettive funzioni, è stato ritenuto che la cessione dell’azienda fosse elusivo del divieto di partecipazione.
In particolare, nella vicenda controversa vi è stata una cessione dell’intero ramo d’azienda, a favore di un nuovo soggetto il cui amministratore non appariva l’effettivo centro d’imputazione degli interessi e della gestione d’impresa, oltre alla tempistica sospetta nella conclusione della stessa operazione.