Seminario del 16 marzo 2012 tenuto dal Prof. G. Di Gaspare nell’ambito del Master Universitario di II° Livello “Regolazione dell’attività e dei mercati finanziari” diretto dal Prof. F. Capriglione
Resoconto a cura di Filippo Degni
Nell’ambito delle iniziative del Master Universitario di II° Livello su “Regolazione dell’attività e dei mercati finanziari” diretto dal Prof. F. Capriglione, il Prof. Di Gaspare ha tenuto un seminario dedicato all’approfondimento del tema della crisi finanziaria, nel rapporto tra banche e Stati.
Nella relazione sono state ripercorse le principali tappe dell’evoluzione del sistema finanziario globale, allo scopo di evidenziare e ricostruire, in uno schema unitario, le scelte di politica monetaria, economica, finanziaria, attuate nell’arco di poco più di trenta anni, che hanno posto le premesse per l’esponenziale sviluppo dei mercati finanziari, la loro globalizzazione e la successiva esplosione della crisi mondiale.
Nel corso dell’intervento il Prof. Di Gaspare ha fatto riferimento e rinvio al suo recente volume “Teoria e critica della globalizzazione finanziaria. Dinamiche del potere finanziario e crisi sistemiche” (di cui ampi stralci sono consultabili su Google Books: http://books.google.it/books?id=VnwmaKIZ0yYC&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false). Lo studio fornisce una chiave ricostruttiva della genesi della crisi e definisce gli aspetti d’insieme della globalizzazione finanziaria nel suo impatto sull’economia reale. Dal punto di vista metodologico, lo studio utilizza un approccio teso a privilegiare la connessione tra i vari profili rilevanti per fornire un quadro – necessariamente generale e non analitico puntuale – di ricostruzione sistemica della fenomenologia della crisi.
Nella prima parte della lezione, il Prof. Di Gaspare ha evidenziato come le spiegazioni sinora fornite della crisi abbiano prediletto orizzonti temporali troppo ristretti, ovvero si siano affidate a ricostruzioni nelle quali alcuni fenomeni finivano per assumere i connotati di assiomi indimostrabili.
Ad avviso del Prof. Di Gaspare, invece, occorre risalire sino alla fine del sistema di cambi regolato dagli Accordi di Bretton Woods ed al conseguente mutamento della politica monetaria statunitense, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, per effetto della svolta impressa da P. Volcker (Presidente della FED) e da R. Reagan (Presidente degli Stati Uniti), con la liberalizzazione del mercato dei capitali.
In particolare, il Prof. Di Gaspare si è soffermato su una circostanza scarsamente indagata dagli economisti, ossia la continuità della funzione di valuta di riserva assolta dal dollaro nonostante il passaggio ad un sistema di scambio tra valute in libera fluttuazione tra loro. In un sistema simile, infatti, la conservazione della stabilità della moneta americana non era più un dato assolutamente scontato. Anzi, secondo la ricostruzione fornita dal Prof. Di Gaspare, tale obiettivo è stato perseguito – e realizzato – attraverso la liberalizzazione del mercato dei capitali, avviata a partire dal momento in cui, intorno alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, era divenuto definitivamente chiaro come il dollaro non avrebbe più potuto recuperare la sua funzione di moneta di riserva internazionale seguendo la strada del rilancio dell’economia “reale”, ossia quella fondata sullo scambio di beni e servizi tradizionalmente intesi.
Nella seconda parte dell’intervento, il Prof. Di Gaspare ha descritto il processo di liberalizzazione intrapreso dagli Stati Uniti per evitare che il sistema di fluttuazione dei cambi, potesse in qualche modo sancire la fine dell’egemonia americana sul mercato mondiale.
Per ristabilire il ruolo centrale del dollaro, gli Stati Uniti sono stati costretti a cambiare radicalmente strategia e passo: non si assiste solo alla liberalizzazione dei capitali in uscita, ma anche di quelli in entrata,consentendosi i movimenti dei capitali a fini puramente speculativi. Il Prof. Di Gaspare utilizza la definizione di “finanziarizzazione” per descrivere tale fenomeno, riferendosi al processo di progressiva scissione dell’economia finanziaria da quella reale nell’ambito di quello che l’Autore chiama “l’equilibrio dollaro-centrico”, ossia la funzione egemone del dollaro nel mercato monetario mondiale.
In questo contesto (e con le descritte finalità) dunque, si innesca il processo di globalizzazione di cui la liberalizzazione del movimento dei capitali costituisce la prima e più importante manifestazione. Ed in effetti, la rimozione dei limiti legali alla movimentazione dei capitali speculativi ha implicato la rottura del preesistente nesso di immediata dipendenza tra circolazione monetaria e scambi commerciali sottostanti, creando così le premesse per la realizzazione di un mercato finanziario e speculativo del tutto autonomo dall’economia reale che oggi è arrivato a completa maturazione.
Nella terza parte del suo intervento, il Prof. Di Gaspare ha anzitutto sottolineato come il processo di liberalizzazione finanziaria abbia trovato inizialmente un fondamentale sostegno, concettuale e tecnico, nelle teorie monetariste della Scuola di Chicago (che non a caso si affermano proprio nello stesso periodo storico) e ideologico-politico nell’influenza geopolitica americana, in applicazione della dottrina del c.d. “Washington consensus”.
Il nuovo equilibrio dollaro-centrico si basa sul pareggio dei flussi monetari. Per attrarre sufficienti afflussi di valuta dall’estero che bilancino i deflussi derivanti dagli squilibri della bilancia commerciale occorre necessariamente creare nuove occasioni di investimento, diverse da quelle tradizionali riferibili all’economia reale che non è in grado di assorbirli per limiti strutturali della stessa. Gli investimenti, pertanto, devono spostarsi sui mercati finanziari e, almeno inizialmente, si dirigono sul mercato azionario.
Agli inizi degli anni Ottanta – prosegue il Prof. Di Gaspare – la ricerca di nuovi bacini ed occasioni per attrarre investimenti esteri ha indotto gli Stati Uniti ad aprire il mercato azionario agli investimenti puramente speculativi, alterando così il principio – sul quale di fatto si fondava la regolamentazione del sistema finanziario imperniata sul Glass-Steagall Act – secondo cui, nell’investimento azionario, il risparmio è essenzialmente incanalato al finanziamento di investimenti produttivi legati all’economia reale. Il quadro muta profondamente già negli anni Ottanta e l’investimento azionario diviene fine a se stesso: si compra e si vende per lucrare sulle differenze di prezzo. Lo spregiudicato ricorso agli strumenti del Merger & Acquisition e del Leveraged buy out alimenta la bolla speculativa della Borsa di New York degli anni Ottanta.
Il Lunedì nero del 19 ottobre 1987 fa toccare con mano il limite intrinseco allo sviluppo del mercato azionario tradizionale, nel quale, per quanto si possano promuovere operazioni di acquisizione e/o acquisto a debito e si sottostimi l’analisi economica delle imprese sottostanti, ad un certo punto, l’economia reale riprende il sopravvento non appena si acquisisce la consapevolezza che il divario tra la quotazione dei valori di borsa ed il rendimento effettivo delle imprese quotate era divenuto manifestamente irrealistico .
Nella quarte parte dell’intervento, il Prof. Di Gaspare ha tratteggiato la successiva evoluzione del processo di deregolamentazione finanziaria e di creazione del “meta mercato finanziario” con il quale si raggiunge l’apparente “emancipazione del capitale finanziario dai vincoli dell’economia reale”. Tutte le precedenti regole che difendevano il risparmio investito sono progressivamente rimosse o aggirate. Con gli anni ’90 si avviano modifiche delle norme sui mercati finanziari che l’Autore qualifica come “la trasformazione delle virtù in vizi”.
In particolare, nell’ottica deformata dell’investimento speculativo, tutte quelle che erano le virtù della regolazione del mercato azionario – la separazione, le responsabilità, la divisione dei ruoli tra gli intermediari, la trasparenza, la chiarezza, il controllo dell’insider trading, la concentrazione delle contrattazioni in borsa – appaiono fattori di ostacolo alla speculazione da disinnescare e sterilizzare.
La possibilità di estendere le contrattazioni su titoli azionari e su altri titoli fuori borsa e la “smaterializzazione” dei titoli prosegue in un climax ascendente verso una sempre maggiore autoreferenzialità del mercato finanziario. Luoghi metafisici di scambio che, da un lato, sfuggono alla regolazione macroeconomica della FED; dall’altro, si sottraggono anche al controllo della SEC. Si permette, inoltre, agli intermediari di svolgere insieme funzioni di broker e dealer, così venendo meno la prevenzione del conflitto di interesse intrinseco tra chi costruisce il prodotto e chi lo deve vendere agli investitori.
Nel nuovo sistema, il conflitto d’interesse svolge un ruolo positivo per la speculazione in quanto crea un sistema collusivo intrinseco che è funzionale alla creazione di una sorta di zona “cuscinetto” nella gestione dei titoli per fare fronte ad eventuali eccessive contrazioni delle contrattazioni e cadute delle quotazioni.
Grazie alla loro duplice natura, gli intermediari possono procedere a complessi scambi di titoli su piattaforme private, escluse da ogni forma di vigilanza e sottratte a tutti gli adempimenti in materia di informativa e trasparenza, attraverso i quali “ammortizzare” le variazioni dei prezzi, così riducendo eventuali impatti esterni provenienti dall’economia reale. All’interno di queste piattaforme del meta mercato vengono scambiati nuovi prodotti realizzati ad hoc per superare i limiti tipici delle azioni, ossia per essere il più possibile svincolati dall’economia reale e non essere trattati sui mercati ufficiali. L’introduzione di nuovi e più sofisticati prodotti finanziari derivati si ricollega alla parallela trasformazione dell’attività bancaria e finanziaria dal modello cd. “originate to hold” a quello del cd. “originate to distribuite”.
In tale contesto, osserva il Prof. Di Gaspare, possiamo distinguere due tipi di derivati. Il primo, in cui gli strumenti finanziari sono collegati ad un flusso monetario di base derivante da un credito estrapolato da un rapporto di mutuo o di credito al consumo, presenta ancora il limite di carattere strutturale del collegamento con l’economia reale. Il secondo tipo, invece, i Credit Default Swap ed i Collateralized Debt Obligations cd. “nudi”, comprende prodotti che possono essere creati anche solo per far fronte ad una domanda di investimento e, quindi, finiscono per essere degli strumenti collaterali o sub-collaterali non alimentati da alcun flusso monetario reale se non da quello che la loro domanda genera.
Nasce così quello che il Prof. Di Gaspare definisce come “l’universo inflazionario dei derivati”, in cui sono scambiati prodotti finanziari che non hanno più alcun riferimento con l’economia reale, e ci concretizza così la truffa sistemica alimentata dal cd. moral hazard conseguente alla sostanziale derubricazione degli illeciti penali e civili ed ad alla deresponsabilizzazione dei soggetti operanti nei mercati finanziari.
Nell’ultima parte della lezione, il Prof. Di Gaspare si è soffermato sul “reality della globalizzazione”. Con tale concetto, l’Autore si riferisce alla complessa ed articolata serie di alterazione di dati economici, statistici e contabili, anche mediaticamente enfatizzati e valorizzati, volti a fornire un’immagine incessantemente performante dell’economia statunitense, nonostante il profondo e progressivo scollamento esistente tra l’andamento dell’economia reale ed i risultati di quella finanziaria.
La percezione di tale effetto performante, che stabilizza il dollaro ed attira investimenti nel mercato finanziario statunitense, si raggiunge attraverso sofisticati meccanismi di occultamento e manipolazione dei dati statistici, quantitativi, di elaborazione e di creazione di nuovi indicatori qualitativi basati, ad esempio, sulla propensione al consumo o sulle aspettative di sviluppo che le stesse dinamiche di funzionamento del “reality” orientano, suffragano, avvalorano e, alla fine, (auto)-realizzano.
Gli effetti moltiplicatori dei rischi dell’economia finanziaria sono così occultati dietro l’immagine di un PIL statunitense che cresce in modo continuo e sorprendente, accompagnato da benefiche, quanto manipolate, ricadute sia sul fronte dell’occupazione e sul controllo del debito pubblico.
Il sistema, ribattezzato dal Prof. Di Gaspare come “keynesianesimo finanziario”, non si limita ad indirizzare le teorie di politica economica, ovvero a prediligere modelli di calcolo del PIL e del tasso di inflazione diretti a mascherare la debolezza dell’economia reale statunitense, ma si esplicita anche in sofisticati sistemi di trasferimento di risorse monetarie pubbliche a favore di privati nel mercato interno per sostenere la crescita e la domanda interna ed, al contempo, diffondere una percezione di sostenibilità del debito pubblico grazie al forte incremento del PIL indotto dagli andamenti dei consumi.
Il “reality della globalizzazione” ed il “keynesianesimo finanziario” sono i due perni attorno cui ruota il sistema di conservazione dell’equilibrio dollaro-centrico e, quindi, dell’economia americana come egemone a livello mondiale. La loro incessante attività consente di diffondere l’idea di un’economia in perenne espansione, inducendo gli investitori a credere nella sostenibilità degli investimenti in mercati speculativi e, in ultima analisi, contribuendo ad accrescere il divario tra economia reale e quella finanziaria sino al punto di non ritorno raggiunto nel 2007, quando la crisi è iniziata a manifestarsi nelle sue diverse forme, interessando prima il settore immobiliare fino a propagarsi a tutto il sistema economico privato, per poi estendersi anche a quello pubblico.
Su questo ultimo passaggio chiude la relazione del Prof. Di Gaspare che accetta e ringrazia il Prof. Capriglione per l’invito ad illustrare, in una ulteriore lezione, le conseguenze della crisi del 2007 sui mercati finanziari, sui rapporti tra dollaro ed euro ed, infine, sulle ricadute nell’Eurozona e sulle possibili misure di contrasto alla crisi attualmente in atto.