Lo spread tra Stato e Società
L’ultima fatica di Sabino Cassese inizia con una frase di Goethe e termina con una serie di condivisibili interrogativi. Una cosa è certa: la debolezza dell’Italia, la fragilità di uno Stato dove il vuoto che si è creato si è riempito di molteplici tarli che ne hanno minato nel tempo le istituzioni di ogni livello privandole di quel senso tipico delle Nazioni forti e coese.
Il richiamo alla coesione non a caso è stato più volte ribadito dal Presidente della Repubblica, uomo di altri tempi. Tempi in cui tra società e Stato non c’era questa evidente frattura scomposta in luogo dell’attuale alluvione di fango che ha ricoperto il Paese ridotto ad allievo svogliato ed in mano ad improbabili precettori che ne hanno oscurato cultura, storia e costume e soprattutto l’idea di cittadinanza, di popolo. Il lavoro di Cassese è dunque una mirabile e scruolosa requisitoria come lo è stata nel passato il je accuse di Silvio Spaventa parlando di Giustizia nell’amministrazione quando auspicava con il rispetto della pazienza de i suoi uditori “Questa specie di amministrazione non può andare alla lunga ed essere tollerata pazientemente. Guai se avvenisse diversamente! Lo Stato cesserebbe di avere la sua ragione di essere, se non dovesse servire che all’interesse del partito piú forte, con danno e conculcazione dei diritti delle parti piú deboli.
Ecco perché anche per Cassese vale quello che si può dire a proposito di Massimo Severo Giannini (si ricorda in questa sede Il Pubblico Potere edito da Il Mulino); attraverso le sue iniziative ha cercato con generosita` di raccordare cio` che ha imparato attraverso i suoi studi e le sue esperienze, con gli occhiali del tecnico e gli occhi dell’Italiano, con cio` che ha desiderato per il progresso del Paese ;volgendo lo sguardo verso le conseguenze della diversita` che esiste tra il tempo della riflessione e quello della politica. Politica Alta. Quella che unisce. Quella che riesce a dare delle risposte. Quella che è in grado di giustificare una scelta impopolare. Solo in questo caso, nella complessità della comprensione emerge la semplicità delle azioni senza necessità di un dicastero della Semplificazione per “comunicare” alla Società e con la Società.
Ci sono e ci sono stati molti politici (troppi) e pochi amministratori. Su questo viene in mente un passo di Rudolf von Jhering che ben si adatta alla nostra analisi: “Si può definire la legge come I’unione di chi comprende e vede da lontano contro chi vede solo ciò che ha vicino. I primi devono costringere i secondi a compiere ciò che è nel loro interesse.
Ma non è nell’interesse dei miopi, per farli felici contro la loro volontà, bensì nell’interesse della comunità.
La legge è I’arma indispensabile dell’intelligenza contro la stupidità” . Ecco perché le regole, il ripristino delle regole e in molti casi la creazione di regole è importante per la fiducia nelle istituzioni, di queste istituzioni. E le regole esistenti o vanno rispettate o vanno cambiate.
Per pensare al futuro bisogna attingere al passato, con un salto del tempo si può andare indietro di duemilacinquecento anni e ascoltare la voce di Pericle mentre nel 461″ a.C. pronuncia il Discorso agli Ateniesi. Parole oggi soffocate ma che dovrebbero essere il breviario per una buona politica per chi fa politica e per chi vive di politica sapendo in questo ultimo caso che vivere di politica è già un “errore del sistema” che deve essere corretto, attraverso un profondo esame di coscienza individuale e collettivo.
E’ I’italia che ospita la Scuola di Atene di Raffaello o il ciclo di affreschi del buon governo di Ambrogio Lorenzetti nel palazzo civico di Siena che da sempre rappresenta un archetipo di arte civica, imperniata sui valori laici della buona politica. C’è una meravigliosa frase di Aristotele : “Chi è cittadino? E’ cittadino colui che è capace di governare e di essere governato.”
Per dirla, più semplicemente, con Pierluigi Celli in una frase estratta dalle sue virtù deboli “ai mediocri che scelgono i mediocri compete il destino di far decadere ogni organizzazione, istituzione, stato o impresa che sia”. La debolezza dello stato è conseguenza diretta di questa mediocrità, del “tirare a campare” all’italiana. Ecco perché il capitale sociale è assente. E’ stato rosicchiato anno dopo anno, vicenda dopo vicenda da costanti contraddizioni interne che hanno indebolito, sfiancato, sfigurato il tessuto sociale del bel Paese, della bella Italia che oggi alcuni vorrebbero ricucire, ricostruire e far risorgere. Uno Stato che non risorge da solo ma che aspetta un miracolo. E chi potrà fare questo miracolo? La Società. Una Società senza Stato muore giovane. E’ attaccata da ogni agente esterno.
Ha il sistema immunitario debole. Sola la forza della Società può essere l’integratore energetico che salva lo Stato per fermare “l’inesorabile tragedia della perseveranza storica”. E perseverare come è noto è diabolico. Perché non è più consentito errare.