Il 5 dicembre 2011, presso l’Università Luiss “Guido Carli”, si è svolto un incontro sulla sentenza n. 115 del 2011 della Corte costituzionale, concernente l’art. 54 comma 4 del d.lgs. n. 267/2000 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, come novellato dal d.l. n. 92/2008 “misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”.
Nell’introdurre l’incontro, il prof. Gian Candido De Martin ha delineato i temi principali della sentenza n. 115/2011 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54 comma 4 del d.lgs. n. 267/2000, nella parte in cui prevedeva la possibilità per il Sindaco di emanare ordinanze per prevenire ed eliminare gravi pericoli all’ “incolumità pubblica” ed alla “sicurezza urbana”, “anche” in assenza dei presupposti di contingibilità e di urgenza.
Alla base della decisione della Corte sta l’esigenza di assicurare il rispetto del principio di legalità sostanziale e della riserva di legge, fattori, questi, ineludibili che tendono a delimitare l’ampiezza del connesso esercizio della discrezionalità amministrativa da parte dei pubblici poteri, nel caso di specie quelli locali, in un ambito, quello della “sicurezza urbana”, potenzialmente lesivo della sfera di libertà dei consociati.
Il dott. Vincenzo Antonelli ha evidenziato come l’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000 è stato riformulato in due momenti distinti: dapprima con il d.l. n. 92/2008 che riformulava le “finalità” del potere straordinario di ordinanza del Sindaco e, successivamente, con la legge n. 125/2008 di conversione del d.l. che introduceva l’inciso “anche”, talché il potere del Sindaco di emettere ordinanze in materia di “sicurezza urbana” veniva configurato anche sotto una veste “ordinaria” e, non solo, in quella “straordinaria” prevista “ab origine” dal Testo Unico.
Da questa innovazione sono scaturiti molteplici effetti sui diritti dei cittadini e sui rapporti, all’interno dell’amministrazione comunale, tra il Sindaco ed il Consiglio, nonché tra il Sindaco ed i dirigenti comunali (vedasi, ad esempio, il caso delle ordinanze in materia di circolazione stradale, solitamente devolute alla competenza dei dirigenti stessi).
In sede giurisprudenziale (dal 2008 al 2011) si sono succedute ben 61 sentenze del giudice amministrativo, oltre a quelle del giudice ordinario nei casi di potere amministrativo che abbia inciso sui diritti individuali (comunque prima dell’emanazione del Codice del Processo Amministrativo, che all’art. 133, comma 1, let. q) ha previsto la competenza esclusiva del giudice amministrativo per le ordinanze straordinarie in materia di “incolumità pubblica” e “sicurezza urbana”). In ben 40 pronunce è stata annullata/sospesa l’ordinanza impugnata, a conferma della delicatezza della problematica nonché delle ricadute sul piano della legalità e del rispetto dei diritti individuali che aveva determinato il novellato art. 54 del TUEL.
In tale contesto, la sentenza n. 115/2011, secondo il dott. Antonelli ha rappresentato il completamento di un processo di “avvicinamento” della Corte Costituzionale alle posizioni assunte nel tempo dalla dottrina e dalla giurisprudenza amministrativa. Tale orientamento era già “in nuce” nella sentenza n. 196/2009 concernente il conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Provincia Autonoma di Bolzano, laddove la materia della “sicurezza urbana” è stata circoscritta alla prevenzione e repressione dei reati (con esclusione, pertanto, alle funzioni di polizia amministrativa locale ex art. 117, comma 2, let. h) della Carta, di competenza delle Regioni e delle Province autonome), lasciando intravedere il possibile problema della sussistenza di una riserva di legge nello specifico settore.
Su tale indirizzo si è posta la successiva sentenza della Corte costituzionale n. 226/2010 in tema di “ronde”, escludendo dalla “sicurezza urbana” le situazioni di disagio sociale, riconducibili, più propriamente, alla competenza delle Regioni, con specifico riferimento alla materia dei “servizi sociali”. Ora, la sentenza n. 115/2011, ha ulteriormente ristretto l’intervento dei Sindaci nei settori dell’ “incolumità pubblica” e “sicurezza urbana” ai soli casi di effettiva “straordinarietà”.
Il dott. Antonelli ha inoltre richiamato gli strumenti posti in essere dal Sindaco per garantire la “sicurezza urbana”: come Ufficiale di Governo, mediante lo strumento delle ordinanze ( ponendosi in una dipendenza gerarchica nei confronti del Ministero dell’Interno), e come vertice dell’amministrazione Comunale, avvalendosi, d’intesa con il Prefetto, della collaborazione delle associazioni di volontari (c.d. “ronde”), e favorendo la stipula di “Patti per la Sicurezza” attraverso un’attività negoziale con il Ministero dell’Interno e le sue articolazioni periferiche, ai sensi dell’art. 1 comma 439 della “Finanziaria 2007”, oltre che promuovendo la diffusione di sistemi di “videosorveglianza”. In particolare, il ricorso allo strumento dei “Patti” può essere un importante tentativo di coniugare il perseguimento della “sicurezza”, intesa come azione di polizia, sia pure riferita ad un ambito locale, con l’obiettivo, più generale, del miglioramento della qualità della vita nelle città. Da un punto di vista istituzionale, ciò equivale ad integrare le politiche sociali e territoriali, di competenza delle Regioni e degli enti locali, con le politiche di sicurezza “tout court” degli organi statali.
A conclusione del suo intervento, il dott. Antonelli ha rilevato come, a partire dalla pronuncia della Corte, si sia posto il problema della validità delle ordinanze adottate in base ad una norma -appunto l’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000- dichiarata incostituzionale dalla Corte stessa: l’ANCI ha ritenuto che tali ordinanze fossero nulle -a meno che, successivamente all’adozione, non siano insorti motivi di contingibilità ed urgenza, ovvero non sia stato apposto un limite temporale, qualora non presente “ab origine”- mentre il giudice amministrativo ha continuato ad annullare le ordinanze sindacali.
Il prof. Nicola Lupo ha, poi, analizzato il rapporto tra le ordinanze e le fonti normative primarie. Infatti, il principio generale posto a base della pronuncia è quello di legalità sostanziale, che non consente l’assoluta indeterminatezza del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, bensì richiede che il suo esercizio venga determinato, sia nel contenuto che nelle modalità, in modo da assicurare costantemente una copertura legislativa, ancorché elastica, all’azione amministrativa.
Un fattore di incertezza, o quantomeno di poca chiarezza, è ravvisabile nel fatto che la sentenza n. 115/2011 non fa univoco riferimento alla disposizione costituzionale cui si ricollega il suddetto principio, ma lo desume da due riserve di legge relative contenute negli articoli 23 e 97 della Carta.
Con specifico riferimento al rapporto tra legalità sostanziale e riserva di legge, il prof. Lupo, nel delineare le possibili, alternative interpretazioni, ha richiamato il punto di vista di Mortati, secondo il quale non sussisterebbe autonomia concettuale tra il principio di legalità sostanziale e la riserva di legge, e quello di Crisafulli, il quale tende ad operare una differenziazione quantitativa in quanto la riserva di legge richiederebbe qualcosa di più rispetto al principio di legalità sostanziale.
In conclusione, il prof. Lupo ha condiviso la posizione dalla Corte costituzionale, secondo cui il legislatore deve svolgere il proprio compito senza “invasioni di campo” da parte dell’esecutivo, evidenziando la necessità che venga rivisto il procedimento di formazione delle leggi al fine di recuperare sia il significato garantista sia il significato democratico della riserva di legge.
Successivamente, il prof. Guido Meloni -nell’esaminare l’aspetto della discrezionalità amministrativa sottesa all’emanazione delle ordinanze sindacali- ha sottolineato come la sentenza n. 115/2011, pur ambiziosa negli enunciati principi, risulti al tempo stesso carente di argomentazioni.
Secondo il prof. Meloni, l’assunto della Corte è quello che le ordinanze non inquadrabili tra quelle contingenti ed urgenti sono da considerarsi provvedimenti amministrativi e, pertanto, devono rispettare i principi di legalità sostanziale: deve sussistere, quindi, una norma attributiva del potere di ordinanza e il suo esercizio non può essere totalmente libero, in una visione “sostanziale” della legalità che richiede una preventiva definizione delle modalità di esercizio del potere stesso. Tuttavia, tale percorso argomentativo risente della mancata esplicitazione, da parte della Corte, del fondamento costituzionale della legalità sostanziale.
Nella questione concernente il rapporto tra principio di legalità sostanziale e la riserva relativa di legge, sempre secondo il prof. Meloni la Corte pare far propria l’idea della “distinzione”, ravvisando nella riserva di legge un vincolo legislativo più pregnante della definizione del contenuto e delle modalità del provvedere consequenziale al principio di legalità sostanziale.
Nel suo intervento, la prof.ssa Donatella Morana, richiamando l’art. 23 della Costituzione, ha precisato come la sentenza n. 115/2011 abbia sostanzialmente recepito gli indirizzi già presenti in dottrina, avversi al potere “ordinario” di ordinanza da parte dei Sindaci e ricostruito, altresì, in un’ottica “unitaria”, la riserva di legge relativa per le prestazioni patrimoniali e personali.
Con specifico riferimento alle “prestazioni”, mentre in passato la Corte, con la sentenza n. 34/1986 in materia di legislazione valutaria, aveva stabilito una sorta di gerarchia, indicando una primazia delle prestazioni personali rispetto a quelle patrimoniali (pur se, secondo la prof.ssa Morana, le prestazioni patrimoniali risultano più “invasive” di quelle personali), tale impostazione è sembrata venire meno con la sentenza n. 115/2011.
In particolare, le prestazioni personali, qualora non ricadano in altre riserve assolute di legge (articoli 13 e seguenti della Carta), si ricollegherebbero alla riserva di legge relativa di cui all’art. 23 della Costituzione. Peraltro, la sentenza in esame ha esteso la casistica delle prestazioni personali anche ai “divieti” (intesi come obblighi di “non facere”), diversamente dagli orientamenti di parte della dottrina.
A margine, la prof.ssa Morana ha evidenziato come il d.l. n. 98 del 2008, nel tipizzare comportamenti sui quali potevano incidere le ordinanze “ordinarie”, individui ipotesi (pur se generiche) che vanno ben oltre l’art. 23 della Carta ed invadono specifici settori coperti da riserva di legge: spesso, si fa riferimento alla libertà personale coperta dalla riserva di legge assoluta e, pertanto, la problematica inerente al rango delle norme atte a disciplinare contenuti e modalità di esercizio del potere sindacale risulta ancora più rilevante.
A chiusura dell’incontro, è intervenuto il Presidente Alessandro Pajno, che ha enucleato tre questioni fondamentali derivanti dalla sentenza n. 115/2011.
In primo luogo, ciò che rileva è il principio di legalità declinato dal punto di vista del diritto amministrativo, non solo quello costituzionale.
Nello specifico, la legalità amministrativa può essere vista sotto i due aspetti di garanzia e di indirizzo. Il principio di legalità richiederebbe atti tipici e nominati, ma tale visione è ormai culturalmente minoritaria, poiché le norme oggi tendono ad indicare un fine ma non gli strumenti per perseguirlo: se la legalità di indirizzo non è specificata da strumenti definiti, allora è necessario prevedere procedure “rafforzate” (ove siano contemplati, ad esempio, il contraddittorio, la partecipazione degli interessati, ecc.).
Ad esempio, nel caso dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas sono state previste procedure “aggravate”, proprio perché la legge attribuisce il potere ma non i mezzi di esercizio dello stesso. A causa delle difficoltà del legislatore di definire il potere amministrativo, oggi si assiste al ritorno nel diritto amministrativo della c.d. “teoria dei poteri impliciti” (cioè dei poteri non indicati dalla legge ma, al tempo stesso, necessari per il perseguimento di una finalità ivi indicata).
Un secondo aspetto riguarda il crescente ricorso a poteri straordinari, come nel caso del Commissario straordinario della Protezione Civile.
Il presidente Pajno ha evidenziato come prima della riforma del 2008, l’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000 disciplinava i poteri del Sindaco -solo nei casi contingibili ed urgenti- come Ufficiale di Governo in materia di sanità e sicurezza urbanistica. Nel 2008 il legislatore, modificando il citato art. 54, ha quindi potenziato i poteri dei Sindaci in materia di sicurezza locale, sia pure entro i limiti fissati dal Ministero dell’Interno con apposito decreto.
Già in passato la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 8/1956, aveva delimitato il potere del Prefetto di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti, richiedendo il rispetto di talune condizioni, quali l’efficacia limitata nel tempo, una motivazione adeguata ed il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento.
Tali parametri richiamano quelli già individuati da A. Sandulli, secondo cui il potere di ordinanza è legittimo ricorrendo urgenza, indifferibilità, contingibilità, limitazione nel tempo della misura, possibilità di ricorrere in giudizio.
Con specifico riferimento alla “sicurezza urbana”, il presidente Pajno ha espresso il suo rammarico per il fatto che si è persa una grande opportunità nel valorizzare la sinergia tra l’azione di polizia “tout court” e gli aspetti qualitativi della città (richiamando, al riguardo, la c.d. “teoria dei vetri rotti”), come si è invece tentato di fare con i “Patti per la Sicurezza” tra Stato ed enti territoriali, caratterizzati da interventi securitari coordinati, ognuno per il proprio settore di competenza (funzioni preventive e repressive proprie dello Stato, misure di protezione sociale a carico delle Regioni e degli Enti locali nelle materie di propria spettanza).
Le scelte legislative e la prassi seguita dai Sindaci avrebbe invece dato vita, secondo il presidente Pajno, a quella sorta di “torsione securitaria” che ha determinato un’ingiustificata e controproducente attribuzione di poteri “polizieschi” ai Sindaci stessi, anziché valorizzarne la funzione sociale nel migliorare le condizioni di sicurezza e la qualità della vita nelle città, appiattendo così la “sicurezza urbana” sulla “sicurezza pubblica” in capo a soggetti che in teoria non sarebbero deputati -appunto, se non in circostanze eccezionali- ad operare in tal senso.