Impugnate dal Governo alcune disposizioni “attuative” della cd. Direttiva servizi (2006/123/CE) contenute nella legge regionale Lombardia n. 3 del 27 febbraio 2012

23.05.2012

Regione: Lombardia

Estremi: legge n.3 del 27-02-2012 – Disposizioni in materia di artigianato e commercio e attuazioni della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno. Modifiche alle leggi regionali 30 aprile 2009, n. 8 (Disciplina della vendita da parte delle imprese artigiane di prodotti alimentari di propria produzione per il consumo immediato nei locali dell’azienda) e 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere).

Bur: n. 9 del 29-02-2012

Settore: Politiche infrastrutturali

Delibera C.d.M. del: 13-04-2012 / Impugnativa

Motivi dell’impugnativa: La legge regionale in esame, recante disposizioni in materia di artigianato e commercio, attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi sul mercato interno e modifiche alle leggi regionali 30 aprile 2009, n. 8 (Disciplina della vendita da parte delle imprese artigiane di prodotti alimentari di propria produzione per il consumo immediato nei locali dell’azienda) e 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere) presenta diversi aspetti di illegittimità costituzionale.

 

In particolare : 1) L’Art. 2 comma 2 introduce l’art. 4 bis alla l.r. 8/2009. La disposizione prevede una disciplina specifica per “cittadini di paesi non europei e dell’Unione Europea”, affermando che “nella comunicazione di avvio dell’attività deve essere altresì attestato il possesso da parte del soggetto che esercita effettivamente l’attività, a fronte di motivi imperativi di interesse generale, in particolare tutela dei consumatori e sanità pubblica, di uno dei documenti di cui all’articolo 67, comma 2-bis, della L R. n. 6/2010.”

Inoltre, si dispone che “qualora il soggetto richiedente che esercita effettivamente l’attività non attesti il possesso di nessuno dei documenti di cui all’articolo 67, comma 2-bis, della L.R. n. 6/2010, è tenuto a frequentare e superare positivamente un corso per valutare il grado di conoscenza di base della lingua italiana presso la Camera di Commercio territorialmente competente per il comune dove intende svolgere l’attività di somministrazione non assistita, o comunque un corso istituito o riconosciuto dalla Regione Lombardia, dalle altre regioni o dalle Province autonome di Trento e Bolzano. La Giunta regionale delibera i criteri, lo durata e la modalità del corso”.

 

I documenti di cui all’art. 67 comma 2 bis, norma introdotta dall’art. 19 della stessa legge regionale n. 3/2012, sono: “a) un certificato di conoscenza della lingua italiana, Certificazione Italiano Generale (CELI), a tal fine è sufficiente un CELI di livello A2 Common European Framework: livello di contatto definibile in termini di competenza relativa a routine memorizzate; b) un attestato che dimostri di aver conseguito un titolo di studio presso una scuola italiana legalmente riconosciuta o in alternativa un attestato che dimostri di avere frequentato, con esito positivo, un corso professionale per il commercio relativo al settore merceologico alimentare o per la somministrazione di alimenti e bevande istituito o riconosciuto dalla Regione Lombardia, dalle altre regioni o dalle Province autonome di Trento e di Bolzano”.

Il combinato disposto dell’art. 2 comma 2 e dell’art. 19 della legge regionale configura una evidente diretta discriminazione nei confronti di soggetti stranieri, sia comunitari che extracomunitari, in ragione della loro cittadinanza. Nei confronti dei soggetti comunitari, rappresenta una violazione del trattato (art. 49) laddove esso stabilisce “le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese… alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali”.

La norma risulta inoltre non conforme alla direttiva Servizi 2006/123/CE. Ai sensi dell’art.15 della suddetta, infatti, anche qualora l’ordinamento giuridico dello Stato membro subordini “l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio al rispetto dei requisiti non discriminatori” diversi da quelli “relativi alle questioni disciplinate dalla direttiva 2005/36/CE o da quelli previsti in altre norme comunitarie, che riservano l’accesso alle attività di servizi in questione a prestatori particolari a motivo della natura specifica dell’attività”, deve essere comunque assicurata la conformità dei requisiti stessi a condizioni di non discriminazione (i requisiti non devono essere direttamente o indirettamente discriminatori in funzione della cittadinanza), necessità (presenza di un motivo imperativo di interesse generale) e proporzionalità (i requisiti devono essere tali da garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito, non devono andare al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo, non deve essere possibile sostituire questi requisiti con altre misure meno restrittive che permettono di conseguire lo stesso risultato).

L’accesso alle attività economiche (sia pure quelle che prevedano il possesso di particolari requisiti professionali) non può prevedere condizioni diverse di accesso in base della cittadinanza; il D. Lgs n.206/2007, attuativo della direttiva 2005/36/CE non si basa sulla cittadinanza del soggetto, ma sul fatto che il titolo professionale sia stato conseguito al di fuori dell’Italia, e prevede comunque procedure di mutuo riconoscimento; solo una volta intervenuto il riconoscimento, l’eventuale possesso di conoscenze linguistiche può rilevare (e non sulla base della cittadinanza) richiedendo se necessario una prova specifica che tuttavia deve risultare proporzionale al tipo di attività da svolgere (e non consistere nel possesso di un titolo professionale o di studio rilasciato in Italia).

 

Le disposizioni regionali in parola, inoltre, introducendo l’obbligo, per i cittadini di paesi non europei o dell’Unione Europea, del possesso della documentazione sopra indicata, sono suscettibili di determinare distorsioni di natura concorrenziale in quanto introduttive di un ingiustificato ostacolo all’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande e dell’attività di vendita da parte delle imprese artigiane di prodotti alimentari di produzione propria. Gli obblighi citati, infatti, non appaiono proporzionati né necessari a garantire il perseguimento degli interessi genericamente richiamati dal legislatore regionale, quali quello della tutela dei consumatori e della sanità pubblica. Le norme regionali quindi si pongono in contrasto con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in quanto violano i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, violando altresì l’articolo 117, comma 2 lett. a) della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza in materia di condizione giuridica di cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea, e 117, comma 2 lett. e) della Costituzione, che riconosce allo Stato la competenza in materia di tutela della concorrenza.

 

2) L’art. 3 riguarda la disciplina dell’attività di estetista, il comma 4 prevede che “Ogni attività che comporti prestazioni, trattamenti e manipolazioni sulla superficie del corpo umano, ivi compresi i massaggi estetici e rilassanti, finalizzate al benessere fisico, al miglioramento estetico della persona o alla cura del corpo priva di effetti terapeutici, con esclusione delle attività esercitate dagli operatori iscritti al registro di cui all’articolo 2 della legge regionale 1 febbraio 2005, n. 2 (Norme in materia di discipline bio-naturali) è da intendersi attività ai sensi della L. 1/1990 sia che si realizzi con tecniche manuali e corporee sia che si realizzi con l’utilizzo di specifici apparecchi”.

 

Si rileva che la norma in questione prevede un trattamento differenziato qualora le medesime attività siano svolte da operatori iscritti al registro di cui alla l.r. n. 2/2005 ovvero da operatori non iscritti. Solo nel secondo caso, tali attività devono essere ricondotte nell’ambito della l.n. 1/1990 che prevede necessariamente il possesso della qualifica professionale di estetista.

 

La disposizione travalica le competenze regionali, in quanto conferisce valore particolare, abilitativo all’esercizio di un’attività professionale, ad un registro introdotto da una legge regionale. Seppure l’art. 2 della l. r. 2/2005, che istituisce il registro regionale degli operatori di discipline bio-naturali, al comma 3 stabilisce che “l’iscrizione nel registro non costituisce comunque condizione necessaria per l’esercizio dell’attività sul territorio regionale da parte degli operatori”, il richiamo operato dalla norma ora in esame conferisce invece all’iscrizione a tale registro una valenza di titolo abilitante. Si evidenzia che la Corte Costituzionale, con consolidata giurisprudenza (sent. 93/2008, 300/07, 40/06, 424/05) ha dichiarato costituzionalmente illegittime diverse leggi regionali in materia di discipline bio-naturali del benessere (1. 32/2006 Piemonte, 6/2006 Liguria e 19/2006 Veneto, 18/2004 Liguria, 13/2004 Piemonte) in quanto le stesse miravano di fatto a individuare nuove figure professionali, definendone il relativo percorso formativo e istituendo un registro, o elenco degli operatori abilitati.

In particolare, la Corte ha affermato che “la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle professioni deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale.

Tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale Da ciò deriva che non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali…. l’istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per l’iscrizione ad esso hanno, già di per sé una funzione individuatrice della professione, preclusa alla competenza regionale… anche prescindendo dal fatto che la iscrizione nel suddetto registro si ponga come condizione necessaria ai fini dell’esercizio della attività da esso contemplata».

La norma regionale in oggetto, determina una disparità tra operatori iscritti e non iscritti ad un registro regionale, violando i principi fondamentali in materia di professioni stabiliti dallo Sato con la l.n. 1/1990, in contrasto con l’art. 117 comma 3, della Costituzione.

 

3 ) L’art. 14 definisce i criteri per il rilascio e il rinnovo di concessioni dei posteggi per l’esercizio del commercio su aree pubbliche, prevedendo la possibilità di individuarli anche in deroga al disposto di cui all’art.16 del Decreto Legislativo n. 59/2010 di attuazione della direttiva 2006/123/CE.

L’articolo 16 del d. leg.vo n.59/2010, che costituisce attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, riproducendo l’articolo 12 della stessa direttiva stabilisce: “1. Nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attività di servizi sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili, le autorità competenti applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali ed assicurano la predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle modalità atti ad assicurarne l’imparzialità, cui le stesse devono attenersi. 2.Nel fissare le regole della procedura di selezione le autorità competenti possono tenere conto di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario. 3. L’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi al rilascio del titolo autorizzatorio. 4. Nei casi di cui al comma 1 il titolo e rilasciato per una durata limitata e non può essere rinnovato automaticamente, né possono essere accordati vantaggi al prestatore uscente o ad altre persone, ancorché giustificati da particolari legami con il primo.” La norma esplicita il principio contenuta nel punto 62 del Considerando premesso alla direttiva 2006/123/CE , ove si afferma che, nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche, è opportuno prevedere una procedura di selezione tra diversi candidati potenziali, al fine di sviluppare, tramite la libera concorrenza, la qualità e le condizioni di offerta di servizi a disposizione degli utenti. Tale procedura dovrebbe offrire garanzie di trasparenza e di imparzialità e l’autorizzazione così rilasciata non dovrebbe avere una durata eccessiva, non dovrebbe poter essere rinnovata automaticamente o conferire vantaggi al prestatore uscente. In particolare, la durata dell’autorizzazione concessa dovrebbe essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di quanto è necessario per garantire l’ammortamento degli investimenti e la remunerazione equa dei capitali investiti. Qualora gli Stati membri limitino il numero di autorizzazioni per ragioni diverse dalla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche. Le autorizzazioni in questione dovrebbero comunque ottemperare alle altre disposizioni della direttiva relative ai regimi di autorizzazione. Deve inoltre considerarsi che il commercio ambulante può svolgersi solo su suolo pubblico disponibile a tal fine e, visto il carattere circoscritto di tale risorsa, le norme comunitarie e nazionali impongono, al fine di consentire un accesso al mercato su base paritaria, che le autorizzazioni alla vendita nei mercati ambulanti abbiano durata limitata. Il periodo per il quale vengono concesse le autorizzazioni deve essere tale da consentire al prestatore di recuperare il costo degli investimenti e ottenerne un giusto rendimento, ma è comunque necessario attuare una procedura di selezione specifica per il rilascio di dette autorizzazioni, allo scopo di garantire imparzialità e trasparenza, nonché condizioni di concorrenza aperta. La generica formulazione della norma regionale potrebbe consentire l’introduzione di criteri potenzialmente restrittivi e contrari alle previsioni poste a tutela della concorrenza contenute nell’art. 16 del Decreto Legislativo n. 59/2010, con particolare riferimento a quelle che stabiliscono che l’attribuzione di autorizzazioni debba avvenire solo per una durata limitata senza rinnovo automatico né individuazione di vantaggi in favore del prestatore uscente.

 

Risulta pertanto evidente il contrasto della norma regionale con i principi comunitari contenuti nelle citate norme della direttiva 2006/123/CE nonché del d. leg.vo n. 59/2010, in violazione quindi dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, per mancato rispetto dei vincoli comunitari, nonché della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza di cui all’art. 117 secondo comma lettera e) della Costituzione.

 

4) L’art. 18, rubricato “Disposizione in materia di attestazione degli adempimenti contributivi ai fini del riconoscimento del requisito professionale”, prevede che il possesso del requisito professionale individuato dalla legge statale (art, 71 comma 6 d.lgs. 54/20 10, lett. b), ripreso dagli artt. 20, comma 6 lett. b) e 66, comma 6, lett. b) della l.r. 6/2010, sia “comprovato, oltre che dalla iscrizione all’Istituto Nazionale Previdenza Sociale, dall’attestazione degli adempimenti contributivi minimi previsti da parte della previdenza sociale nazionale”.

La disposizione viene ricondotta ai motivi imperativi di interesse generale di cui all’art. 8, lettera h) del d.lgs. 59/20 10, tra i quali viene citata la “tutela dei lavoratori e la protezione sociale dei lavoratori”.

La norma, richiedendo il raggiungimento degli adempimenti contributivi minimi previsti dalla previdenza sociale nazionale ai fini del riconoscimento del requisito professionale, introduce un elemento restrittivo ulteriore, che oltre a porsi in contrasto con l’articolo 117, terzo comma della Costituzione, introducendo un ulteriore requisito non previsto dalla norma statale di principio in materia di professioni, risulta violare la competenza statale in materia di tutela della concorrenza di cui all’art. 117 comma 2 lett. e) della Costituzione . Per questi motivi le sopra evidenziate norme regionali devono essere impugnate di fronte alla Corte Costituzionale, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

a cura di Rocco Cifarelli