Corte Costituzionale, 20/7/2012 n. 199 – Dichiarata l’incostituzionalità della disciplina in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica di cui all’articolo 4 del d.l. n. 138/2011 e succ. mod. ed integrazioni.

23.05.2012

La Corte Costituzionale, con la sentenza 199/2012, ha segnato un’ulteriore tappa della interminabile transizione che da più di un decennio ormai interessa il settore dei servizi pubblici locali.

La disciplina oggetto di censura da parte della Corte è quella contenuta nell’art. 4 del d.l. n. 138/2011, conv., con modif., dalla l. n. 148/2011, sia nel testo originario che in quello risultante dalle ss. mm.[1], recante adeguamento delle disposizioni  dei SPL al referendum popolare svoltosi nel giugno del 2011.

Tale disciplina, infatti, era stata introdotta, dopo che, con decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011, n. 113[2] era stata dichiarata l’abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, recante il precedente quadro normativo dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

Ad avviso della Corte, la disciplina dettata dal richiamato articolo 4, viola il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’articolo 75 della Costituzione.

Più nel dettaglio, osserva il Giudice delle leggi, «[a] distanza di meno di un mese dalla pubblicazione del decreto dichiarativo dell’avvenuta abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il Governo è intervenuto nuovamente sulla materia con l’impugnato art. 4, il quale, nonostante sia intitolato «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea», detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell’abrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto nel d.P.R. n. 168 del 2010.

Essa, infatti, da un lato, rende ancor più remota l’ipotesi dell’affidamento diretto dei servizi, in quanto non solo limita, in via generale, «l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità» (comma 1), analogamente a quanto disposto dall’art. 23-bis (comma 3) del d.l. n. 112 del 2008, ma la àncora anche al rispetto di una soglia commisurata al valore dei servizi stessi, il superamento della quale (900.000 euro, nel testo originariamente adottato; ora 200.000 euro, nel testo vigente del comma 13) determina automaticamente l’esclusione della possibilità di affidamenti diretti….Dall’altro lato, la disciplina recata dall’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 riproduce, ora nei principi, ora testualmente, sia talune disposizioni contenute nell’abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008…sia la maggior parte delle disposizioni recate dal regolamento di attuazione dell’art. 23-bis.

Alla luce delle richiamate indicazioni – nonostante l’esclusione dall’ambito di applicazione della nuova disciplina del servizio idrico integrato – risulta evidente l’analogia, talora la coincidenza, della disciplina contenuta nell’art. 4 rispetto a quella dell’abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e l’identità della ratio ispiratrice.

Le poche novità introdotte dall’art. 4 accentuano, infatti, la drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti diretti dei servizi pubblici locali che la consultazione referendaria aveva inteso escludere. Tenuto, poi, conto del fatto che l’intento abrogativo espresso con il referendum riguardava «pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica» (sentenza n. 24 del 2011) ai quali era rivolto l’art. 23-bis, non può ritenersi che l’esclusione del servizio idrico integrato dal novero dei servizi pubblici locali ai quali una simile disciplina si applica sia satisfattiva della volontà espressa attraverso la consultazione popolare, con la conseguenza che la norma oggi all’esame costituisce, sostanzialmente, la reintroduzione della disciplina abrogata con il referendum del 12 e 13 giugno 2011» (cfr. § 5.2. cons. in diritto).

 

Si conferma, dunque, l’instabilità della tormentata disciplina dei servizi pubblici locali per i quali sembra profilarsi, all’orizzonte, un ulteriore intervento normativo statale – …il quinto in poco più di un anno… – …L’auspicio è che sia finalmente meditato, organico e “capace di resistenza” alle turbolenze che da troppo tempo agitano il settore.

 


[1] Successivamente alla sua adozione, l’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 ha subìto numerose modifiche, oltre che in sede di conversione in legge 148/2011, anche per effetto dell’art. 9, comma 2, lettera n), della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012) e dell’art. 25 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, nonché dell’art. 53, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese).

[2] Recante Abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

a cura di Luigi Alla


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