Concorrenza e partecipazione negli appalti pubblici – Resoconto del convegno svoltosi venerdì 28 ottobre 2011

21.05.2012

Il 28 ottobre 2011 si è svolto presso l’Auditorium dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, un convegno  organizzato dall’Autorità in collaborazione col Dipartimento di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli e dall’Università degli studi di Tor Vergata, sul tema “Concorrenza e partecipazione negli appalti pubblici”.

Gli indirizzi di saluto sono stati affidati al Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà, che ha innanzitutto messo in evidenza come il settore degli appalti rappresenti un mercato molto rilevante  come testimoniano i dati: 111 miliardi di valore stimato dall’Autorità competente e 9% in termini di PIL italiano.

Un terzo della ricchezza viene assegnato attraverso procedura negoziata ed un terzo della ricchezza viene assegnato al 10% delle imprese di settore.

Secondo il Presidente Catricalà, il tema rilevante non è solo quello della gara, perché spesso le norme poste a tutela della concorrenza vengono violate anche quando c’è la gara. Il Presidente provvede ad elencare una serie di settori nei quali l’Autorità da lui presieduta, è intervenuta come il settore della sanità (risonanze magnetiche in Campania, dove sono state sanzionate imprese del calibro di Toshiba e Philips, disinfettanti, test diabetici), dei buoni pasto, del trasporto pubblico locale (Milano, Torino e Roma), della distribuzione dei carburanti.

Il settore dei lavori pubblici rappresenta il 35% del mercato degli appalti. Il Presidente Catricalà si chiede cos’è che non si riesce ad affermare come principio in tale segmento, giungendo alla constatazione che nella creazione dell’opera ci sia un’alea supplementare rispetto agli altri appalti.

Due sono le garanzie necessarie: una garanzia giuridica, intesa ad evitare il rischio di interpretazioni diverse della stessa norma e che richiede, pertanto, un certo grado di chiarezza della norma; in secondo luogo la certezza del finanziamento, in assenza della quale, l’imprenditore sarà estremamente prudente nelle sue scelte e nell’applicazione.

Uno dei principali problemi, a parere del relatore, sta nel fatto che anche quando le opere sono autofinanziabili, non ci sia la certezza dell’ammontare o la certezza della tariffa. A titolo di esemplificazione, viene citato il caso delle opere cantierabili negli aeroporti, che spesso non partono proprio perché manca la certezza della tariffa aeroportuale. Il Presidente si chiede allora perché non si verifichi lo stesso fenomeno nelle reti elettriche ed individua una risposta nell’esistenza di un’Autorità di regolazione. Di qui la necessità e l’auspicio, per la costituzione di un’Autorità di regolazione dei trasporti, un’Autorità neutra, in grado di fare calcoli basati su dati economici. Ciò darebbe certezza agli imprenditori, attenuerebbe il rischio giuridico ed annullerebbe quello economico-tariffario.

Il Presidente Catricalà provvede poi a fare un appello alla necessità di un “moto d’orgoglio nazionale”, una mozione unitaria d’intenti, anche a livello politico. In tale contesto, matura la profonda convinzione che il Parlamento debba tornare il fulcro del sistema  e tornare a svolgere una funzione di coordinamento delle scelte più importanti. In sintesi, auspica un accordo politico sui punti più importanti. Il relatore non reputa giusto quello che sta accadendo all’Italia, soprattutto alla luce del fatto che molti Paesi non abbiano un sistema manifatturiero e non abbiano un sistema di piccole e medie imprese competitivo come quello italiano.

Conclude l’intervento con la convinzione che l’attuale situazione di difficoltà vada superata partendo dal settore delle opere, che spesso sono autofinanziabili, in particolare riducendo l’alea.

La relazione introduttiva è stata svolta da Salvatore Rebecchini, Componente AGCM, che ha incentrato il suo intervento su quattro punti:

–          la procedura di selezione del contraente;

–          il problema dei raggruppamenti temporanei d’impresa (RTI);

–          l’enforcement (con particolare riferimento alla leniency ed alle ricadute dei programmi di clemenza);

–          le proposte per accrescere la deterrenza.

Quanto al primo punto, il relatore sottolinea come la legislazione abbia difficoltà nel garantire rigore, concorrenza ed allo tesso tempo flessibilità e celerità (come è stato sottolineato bene da Fiorentino e Clarich in un contributo a Confindustria[1]). Il diritto comunitario ha introdotto un approccio flessibile delle procedure e in Italia è stata attuata una scelta “coraggiosa” ossia quella del cd. favor della gara rispetto alle procedure di affidamento diretto. Nella giusta direzione vanno, secondo Rebecchini, i tentativi di reinserimento della gara nel settore dei servizi pubblici locali, di cui all’art. 4 della manovra economica dello scorso agosto[2].

L’Autorità è intervenuta mediante l’attività di advocacy, con numerose segnalazioni volte a sottolineare il principio della gara. Ciò è avvenuto in svariati settori quali, a titolo di esemplificazione, il demanio marittimo, le acque, il gas naturale, servizi diversi, bandi di gara  relativi al servizio pubblico locale, beni demaniali, attività del poligrafico.

Il problema della gara è relativo alla scelta tra il criterio di aggiudicazione basato sul massimo ribasso e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Secondo il relatore, economicamente, dal punto di vista dell’efficienza allocativa, sarebbe preferibile il criterio del prezzo più basso. Dal punto di vista concorrenziale (e, dunque, nell’ottica di sfavorire la collusione) è meno preferibile il criterio del prezzo più basso, in quanto maggiormente esposto a possibili collusioni.

Rebecchini sofferma poi la sua attenzione sul tema dei Raggruppamenti temporanei d’impresa. A riguardo, il contesto normativo esistente viene giudicato contraddittorio. Negativo è stato, a parere del relatore, il mancato inserimento nel Decreto sviluppo dello scorso maggio, tra le cause tassative di esclusione, del divieto delle imprese di partecipare alle gare in Raggruppamenti temporanei d’imprese, qualora posseggano individualmente i requisiti.

Vanno valutati anche possibili economie di scopo per le imprese consorzianti, nonché effetti in termini di crescita ed efficienza. Ma tale scelta non può spettare, secondo Rebecchini, alle stazioni appaltanti, ma servirebbe, invece, un’azione preventiva dell’AVCP.

Altro tema oggetto di analisi è stato il rapporto tra leniency e legge penale italiana (con particolare riferimento alla turbativa d’asta). Per Rebecchini tale deterrente potrebbe scoraggiare il ricorso ai programmi di clemenza. Secondo un rapporto della Commissione, citato dal relatore, su 24 Stati sono 12 gli Stati nei quali una violazione antitrust possa integrare una violazione penale. Una proposta potrebbe essere quella di ricomprendere nel programma di clemenza anche la fattispecie penale. La leniency è, a parere del relatore, uno strumento fondamentale per contrastare i cartelli, motivo per cui ritiene auspicabile estendere tale strumento anche alla materia degli appalti.

Infine, l’ultimo punto preso in considerazione da Rebecchini riguarda la possibilità di prevedere l’esclusione dalle gare (per un determinato periodo di tempo) per le imprese colpevoli di aver posto in essere delle violazioni della normativa antitrust. Praticamente ciò potrebbe avvenire tramite l’inserimento in un registro già presente nell’art. 38 del Codice degli appalti, con un evidente rafforzamento degli effetti deterrenti.

Rebecchini, chiudendo il suo intervento, sottolinea come siano due gli aspetti degni di menzione: il primo è rappresentato dalla normativa comunitaria (la cui disciplina deve essere rispettata); il secondo l’integrazione ed il coordinamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) con l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP).

 

La prima sessione del convegno è stata dedicata alle problematiche regolatorie ed ha visto gli interventi di Andrea Camanzi, Componente dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, di Ombretta Main, Direzione Centrale Rapporti Comunitari AGCM e di Andrey Yunak, Russian Federal Anti Monopoly Service. Il ruolo di moderatore è stato svolto dal Prof. Gustavo Piga dell’Università di Tor Vergata.

 

Il Prof. Piga ha innanzitutto sottolineato come esistano due famiglie di macroeconomisti: una prima secondo cui lo Stato debba spendere di più, una seconda maggiormente attenta nel garantire un maggiore rigore. Un punto di convergenza, secondo il Prof. Piga, è individuabile nello spendere meglio e nel garantire maggior efficacia e maggior efficienza.

Piga sostiene che i cartelli rappresentino un esempio di partecipazione senza concorrenza e si chiede se sia possibile avere concorrenza senza partecipazione. La risposta è affermativa e rappresenta per il relatore una fattispecie problematica (viene citato il caso di due imprese che si fanno una grossa concorrenza in fase di partecipazione, ma che alla fine sono sempre le uniche a prevalere, a danno di altre imprese più piccole).

Negli Usa è stato costituito il cd. Small Business Administration, con il compito di garantire che il 25% degli appalti siano destinati alle piccole imprese. Importante è al riguardo il dibattito stimolato sul tema da parte della Commissione europea mediante il Green Paper, soprattutto con riferimento a target e quote di protezione per le piccole medie imprese (PMI).

 

Il Cons. Camanzi esordisce ricordando che ridurre la spesa rappresenti un’esigenza necessaria ma non sufficiente. Occorre ridurre le spese laddove non sono produttive. Il trade-off  concorrenza-partecipazione, sta per il relatore proprio nell’efficienza. Occorre realizzare risparmi di efficienza più che proporzionali ai tagli. L’efficienza nei mercati dal lato dell’offerta, rappresenta, infatti, una delle condizioni necessarie a realizzare l’economicità della spesa pubblica.

Quanto all’accesso al mercato degli appalti pubblici, il punto centrale è la qualificazione (possono partecipare solo imprese qualificate). I criteri di qualificazione possono essere :

–          backward looking (aver svolto attività analoghe o comparabili);

–          statici (irrilevanza delle soluzioni tecnologiche e gestionali)

–          formali (il possesso dei requisiti equivale a entitlement, l’assenza può essere superata con strumenti contrattuali, come ad esempio acquisti di rami di azienda, subentri, avvalimenti ecc.).

I citati criteri producono a parere del relatore una “asimmetria regolativa”.

La qualificazione nei lavori pubblici è unica, obbligatoria, nazionale e presenta alcune eccezioni. Essa provvede a qualificare l’asimmetria regolativa tra entitlement delle imprese a partecipare e limitazione del potere di scelta delle stazioni appaltanti; favorire le imprese già presenti sul mercato; consentire il rientro delle imprese marginali; non favorire innovazioni di processo. Ciò produce una segmentazione del mercato che trasforma le imprese da profit seeker in rent seeker.

Il relatore sottolinea il dato secondo cui in Francia ci sono seimila imprese di costruzione, in Italia sessantamila. I risultati negativi sono, perciò, imputabili ad una cattiva regolazione. Di qui la necessità di un modello regolatorio che prefiguri un modello di business efficiente.

Camanzi conclude il suo intervento ritenendo fortemente auspicabile una stretta collaborazione con l’AGCM.

 

La Dott.ssa Main esordisce mettendo in evidenza come l’attuale contesto imponga un miglioramento dell’efficienza della spesa pubblica, per cui occorre riformare ed alleggerire la normativa sul public procurement. Provvede, pertanto, ad analizzare le iniziative messe in campo dalla Commissione europea, che consistono nel Libro verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici; nella valutazione sul funzionamento delle regole europee sugli appalti; nella consultazione degli stakeholders sul Libro Verde ed infine nelle proposte normative di riforma delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, previste per l’inizio dell’anno 2012.

Il rapporto valutativo delle norme europee sugli appalti ha mostrato che le direttive 17 e 18 sono state efficaci ed in particolare sono state in grado di garantire un coordinamento delle regole di pubblicità delle gare e delle procedure di selezione e aggiudicazione, la trasparenza e selezione tra imprese secondo criteri oggettivi e non discriminatori; una maggiore concorrenza e integrazione dei mercati ed infine un migliore rapporto prezzo/qualità negli acquisti pubblici.

Nel 2009, il 20% circa della spesa pubblica nell’UE ricadeva nell’ambito di applicazione delle direttive, 3.6% del PIL dell’area. Quanto alla tipologia delle procedure seguite, nel periodo 2006/2010, ¾ degli appalti sono stati affidati mediante procedura aperta.

Per quel che concerne invece il grado di apertura del mercato e la concorrenza, la gran parte delle gare vede la partecipazione di 4-6 imprese (in media 5.4). Tra il 2006 e il 2008, le PMI si sono aggiudicate circa il 60% delle gare, per un valore di circa il 34%. Quanto all’aggiudicazione transfrontaliera, le imprese provenienti da altri Stati membri si sono aggiudicate solo l’1,6% delle gare, per un valore di circa il 3,5%. Dai dati citati risulta che nel complesso il contesto è risultato sufficientemente concorrenziale.

Segue un’analisi costi-benefici delle direttive europee in materia di appalti pubblici. Per quanto riguarda i costi è risultato che essi ammontano a circa l’1,3% del valore dei bandi. Tuttavia il costo addizionale derivante dall’applicazione delle direttive non raggiungerebbe lo 0.5%. I ¾ dei costi gravano sulle imprese partecipanti alle gare. Il costo medio associato a ciascuna procedura è di circa 28.000 Euro. L’incidenza del costo in appalti vicini alla soglia va dal 18 al 29%. L’incidenza del costo in appalti di valore vicino a quello mediano (390.000 Euro) varia tra il 6 e 9%.

Quanto ai benefici, la Commissione stima una riduzione del valore finale del contratto del 3.8% nei casi di procedure aperte e del 2.5% nei casi di procedure ristrette. Dato che il 70% delle gare viene aggiudicato in base al criterio dell’offerta economica più vantaggiosa, la riduzione dei prezzi di acquisto rappresenta evidentemente solo una voce (la più facilmente quantificabile) dei benefici associati all’applicazione delle regole sugli appalti. A fronte di costi stimati per 5 miliardi di Euro, le Direttive avrebbero consentito risparmi per almeno 20 miliardi.

La Dott.ssa Main provvede poi ad analizzare gli obiettivi della modernizzazione delle norme in materia di appalti pubblici e ad esporre i contenuti essenziali del Libro Verde.

Il primo obiettivo è una maggiore efficienza della spesa pubblica”(LV, pg. 4). Coerentemente, la prima parte del LV considera e ipotizza modifiche delle norme vigenti in materia di ambito di applicazione delle direttive; strumenti a disposizione delle stazioni appaltanti e condizioni di accesso al mercato. Un altro obiettivo complementare è far sì che i committenti facciano un miglior uso degli appalti pubblici a sostegno di obiettivi sociali comuni pubblica”(LV, pg 5). Tra questi, la tutela dell’ambiente, una maggiore efficienza energetica, la lotta contro i cambiamenti climatici e la promozione dell’innovazione e dell’inclusione sociale.

La Commissione si chiede se, in presenza di liberalizzazioni dei settori dei servizi pubblici, mantenere una disciplina specifica in materia di appalti sia ancora necessario(LV, pg 13).

Nel rapporto valutativo sul funzionamento delle direttive la Commissione accerta che i pur esistenti progressi a livello regolatorio non si sono ancora tradotti in modo generalizzato in un’effettiva pressione concorrenziale sugli incumbents. La maggior parte delle risposte degli stakeholders sono nel senso di mantenere specifiche previsioni per gli appalti in questi settori.

I gestori dei servizi di pubblica utilità sono per lo più ancora sottoposti a una scarsa concorrenza nel mercato. Frequentemente le amministrazioni locali affidano la gestione esclusiva dei servizi pubblici in assenza di un serio confronto competitivo. La possibilità di esenzioni caso per caso ai sensi dell’art 30 della Direttiva 2004/17/CE consente un adattamento all’evoluzione di questi mercati.

Il LV discute diverse possibili misure per facilitare l’accesso al mercato alle PMI, quali:

– l’obbligatorietà della suddivisione in lotti (la prassi dell’antitrust è favorevole alla suddivisione in lotti ma tuttavia con due limitazioni: i) il numero dei lotti dovrebbe essere sempre inferiore al numero di imprese che si presume potranno partecipare alla gara; ii) l’introduzione nei bandi di una clausola tale da vincolare le imprese a presentarsi nei vari lotti sempre nella stessa forma, associata o singola, come strumento utile ad evitare comportamenti strategici concordati tra le imprese partecipanti alla gara)

– la possibilità che le amministrazioni appaltanti obblighino l’aggiudicatario a subappaltare a terzi una certa quota dell’appalto principale (L’Autorità ha suggerito un limite quantitativo al ricorso al subappalto, prevedendo nel bando clausole che vietino l’autorizzazione, da parte della stazione appaltante, di subappalti a favore di concorrenti non aggiudicatari o potenziali concorrenti non partecipanti alla gara. Ciò al fine di ridurre il rischio di collusione, già nella fase di presentazione delle offerte, fra impresa aggiudicataria e impresa sub-affidataria, con conseguente riduzione del confronto concorrenziale, oltre che per un sostanziale mantenimento del rapporto fiduciario fra amministrazione appaltante e soggetto aggiudicatario. Il subappalto di alcune parti dell’appalto può divenire un modo comune con cui l’aggiudicatario ricompensa i membri del cartello  per aver rispettato l’accordo di cartello).

– introduzione di limiti massimi al fatturato richiesto alle imprese per dimostrare la capacità finanziaria (la posizione dell’Autorità è, a riguardo, quella di evitare requisiti di fatturato ingiustificatamente restrittivi).

 

Andrey Yunak, ha parlato dell’esperienza della Russian Federal Anti Monopoly Service. La disciplina russa sugli appalti è contenuta nella legge 94 del 21/05/2005. Le principali forme di appalti pubblici sono le gare e le aste elettroniche. La procedura di gara in Russia non è molto differente da quella europea. La principale differenza è che tutte le informazioni relative alla gara sono raccolte in un portale elettronico (il sistema russo, infatti, ha centralizzato tutti i dati). Vengono citati anche due recenti casi riguardanti il bid rigging nel settore farmaceutico e la collusione della gara per il diritto di fornire verdure.

Viene poi descritto il meccanismo delle aste elettroniche caratterizzato da un sito per tutti gli appalti (www.zakupki.gov.ru), da cinque speciali piattaforme, trasparenza della domanda dei bisogni dello Stato, equità tra tutti i partecipanti e notevole risparmio di tempo o risorse umane per i funzionari pubblici e fornitori. Ciò ha consentito un risparmio aggregato del bilancio per 5 anni (2006-2011) di  più di 26 miliardi. L’obiettivo è quello di garantire un più facile accesso al mercato degli appalti, mediante un aumento del numero dei partecipanti, la promozione della concorrenza e prezzi ottimali per beni e servizi, la trasparenza delle gare e la diminuzione dei costi per i partecipanti.

 

La seconda sessione del convegno è stata dedicata alle problematiche economiche ed ha visto gli interventi di Francesco Decarolis, University of Wisconsin, Madison, di Mario Libertini, Università La Sapienza di Roma e di Tommaso Valletti, Università di Tor Vergata. Il ruolo di moderatore è stato svolto dal Prof. Gustavo Olivieri, Luiss Guido Carli.

 

Il Prof. Olivieri ha introdotto il tema delle problematiche economiche e giuridiche tra procedure ad evidenza pubblica e concorrenza. Nel fare ciò sono stati richiamati i principi di cui all’art. 2 del Codice dei contratti (vale a dire correttezza e trasparenza delle procedure di scelta del contraente, economia ed efficienza nell’esecuzione dei contratti e concorrenza nelle singole procedure), che rappresentano lo sfondo e la premessa da cui partire.

 

Libertini, introducendo il tema delle gare pubbliche, fa riferimento ad una critica di sistema: quella di consentire una maggiore discrezionalità delle stazioni appaltanti. Ciò significherebbe, tuttavia, maggiore propensione alla collusione e di conseguenza sarebbe necessario, a parere del relatore, un ruolo più incisivo dell’AVCP. Provvede poi ad elencare i punti applicativi dei vari profili della disciplina:

–          ambito di applicazione (i giudici amministrativi sono stati propensi ad estenderne l’ambito allargando la nozione di organismo di diritto pubblico);

–          autoproduzione, società in house in mano pubblica (ossia affidamento diretto a società di autoproduzione). Secondo il relatore la giurisprudenza è oscillante circa la possibilità o meno per le società in house di partecipare alle gare ed il relatore nutre altresì dubbi circa la valenza pro concorrenziale della norma in base alla quale un soggetto non può aggiudicarsi più di un lotto.

–          ATI. Il Consiglio di Stato ha statuito che un divieto di esclusione, di imprese in possesso singolarmente dei requisiti, non è contemplato dal legislatore italiano. Il relatore sottolinea come tale questione possa essere valutata alla luce del miglioramento della produzione di cui al comma 3, dell’art. 101 TFUE.

Vengono poi individuati alcuni punti di intersezione:

–          frazionamenti artificiosi delle forniture, che favoriscono un frazionamento del mercato;

–          accorpamenti artificiosi;

–          valutazione delle offerte e problema delle offerte anomale (che creano una distorsione della concorrenza). Secondo il relatore, l’analisi del sottocosto, delle pratiche di dumping, non è soddisfacente. A riguardo si confrontano due tradizioni giurisprudenziali: una prima che ritiene che l’offerta non sia anomala se si dimostra che copra i costi; una seconda, detta anche del “controllo debole”, che ritiene che sia difficile, in sede giudiziaria, valutare la copertura dei costi. In base a tale teoria la stazione appaltante può accettare i motivi addotti, salvo poi intervento del giudice, limitato ai casi di manifesta illogicità o errore manifesto.

–          criteri di aggiudicazione (tema della discrezionalità delle stazioni appaltanti).

 

Il Prof. Olivieri sintetizza i temi oggetto del dibattito:

–          illecito antitrust come causa di esclusione?

–          Offerte anomale e pratiche antidumping, quale tutela? Dato che i tribunali non sono attrezzati a svolgere  tale tipo di analisi di tipo regolatorio, sorge la necessità, secondo Olivieri, di maggiori poteri dell’AGCM.

 

Decarolis sofferma la propria attenzione sulle procedure di aggiudicazione dei soli lavori, descrivendo il suo studio che prende in considerazione il periodo 2000/2007. Esistono due strumenti  di aggiudicazione:

– le procedure negoziate (che rappresentano il 19% e l’8% in termini di valore);

– le aste che possono essere aggiudicate mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (2% e 8% in termini di valore) o mediante il criterio del prezzo più basso, che a sua volta può distinguersi in first price (2% e 33% in termini di valore) o average bid.

Vengono poi descritti i rischi  dell’attività della PA nell’aggiudicazione dei lavori:

ex post risk (default, renegotiations, delays);

– collusione;

– corruzione degli agenti della PA;

– incompletezza della complessità dei progetti.

Per questi motivi sono previste diverse modalità di aggiudicazione.

Il relatore provvede poi a descrivere  la  cd. procedura di “esclusione automatica”. Generalmente un PA annuncia un prezzo massimo per il lavoro. L’offerta delle imprese è uno scontro sul prezzo massimo. Le offerte vengono poi ordinate dalla più alta alla più bassa e si provvede al cd. taglio delle ali (eliminazione del 10% delle offerte più alte e più basse) e ad un sistema di medie. Tale sistema è giudicato pessimo da Decarolis, che utilizza il suo studio per dimostrare tale tesi. In sintesi, la criticità del sistema sta nel fatto che induce un unico punto di equilibro in cui se tutte le imprese offrissero 0, nessuna sarebbe disposta a fare uno sconto maggiore a zero, pena l’esclusione.

 

Valletti incentra il suo intervento sul tema della tensione regole-flessibilità. Egli espone i risultati di alcuni suoi studi realizzati presso Consip e che hanno preso in considerazione un campione di 208 amministrazioni.

La differenza di prezzi tra PA possono essere dovute a passive waste (red tape, ad esempio non essere sufficientemente motivati a fare un buon acquisto) o ad active waste (corruption). Le PA seguono inoltre diverse regole a seconda della tipologia di PA. La presenza di Consip provvede a generare risparmi di almeno l’1% del GDP.

I risultati degli studi citati dal relatore hanno evidenziato come le imprese locali riescono a vincere con maggiore facilità nelle aste ristrette; i contratti vengono realizzati con tempi ridotti; l’incumbent riesce a vincere facilmente anche le successive gare.

 

Il convegno si chiude con una considerazione del Dott. Rebecchini che auspica un rafforzamento delle Autorità di vigilanza e di controllo.

 

 


[1] CLARICH M., FIORENTINO L., “Appalti e concessioni: regole e prassi per il mercato” in “Concorrenza Bene Pubblico”, Ricerca per il convegno biennale 2006 del Centro Studi di Confindustria tenutosi a Vicenza il 17 e il 18 marzo 2006.

 

[2] Legge 14 settembre 2011, n. 148 che ha convertito, con modificazioni, il D.L. 13 agosto 2011 n. 148 recante “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo.

a cura di Pietro Infante