L’ultimo scritto di Giorgio Neglia, Direttore di ricerca dell’Associazione Management Club, è un agile viaggio tra le leve strategiche della formazione in un periodo in cui il nostro Paese è “praticamente” indifferente a questo tema. Il lettore è accompagnato in un percorso caratterizzato da una prospettiva costante: per la formazione ci sono ancora prospettive! La difficile congiuntura economica e una società liquida con poca liquidità, portano ad avere sempre meno attenzione al tema della costruzione del capitale umano, o meglio, meno attenzione alle soluzioni concrete e alle buone pratiche. Lontano dai proclami e dai manifesti di intenti, a debita distanza da un’infinità di dibattiti teorici e tecnocratici, il volume permette di ritrovare una sana fiducia e un praticabile ottimismo, senza negare i problemi ma, allo stesso tempo, senza farsene travolgere. Siamo davanti ad una sfida che si vince facendo: la sfida della conoscenza. Per “fare” conoscenza serve un ritorno ai collegamenti tra mercato della formazione e la domanda di imprese ed enti pubblici, una ripartenza “dal basso” che renda protagoniste le realtà formative più performanti dei nostri territori.
L’Italia ha bisogno di coltivare talenti e riconoscere, con politiche e strategie precise, il valore (l’utilità) della formazione. Per questo scopo, Neglia fornisce degli spunti essenziali di analisi e approfondimento mettendo in risalto quattro azioni fondamentali: la pianificazione, il finanziamento, la gestione e la valutazione della formazione. Azioni valide sia per il settore privato che, e va sottolineato, per quello pubblico. A questo proposito, l’autore sviluppa la definizione di formazione come vero e proprio “bene pubblico”, concetto da cui nasce l’auspicio di una maggiore centralità del capitale umano sia nel corporate learning, sia nelle policy pubbliche, da indirizzare al miglioramento delle iniziative e dei finanziamenti nazionali, comunitarie e regionali. La conseguente domanda è: come fare? Neglia individua la via dell’innovazione delle relazioni tra pubblico e privato e pone come esemplificazione e ambito di analisi i fondi interprofessionali per la formazione continua, enti privati, promossi dalle parti sociali, che svolgono finalità di interesse generale interagendo sia con la PA centrale (Ministero del Lavoro e INPS) per la parte autorizzativa, regolamentare e finanziaria, sia con la PA locale (Regioni) per l’efficace coordinamento delle programmazioni. In altre parole la formazione aiuta a concretizzare quel principio di sussidiarietà che la nostra Costituzione prevede e promuove, un principio che rende protagonisti i singoli cittadini impegnati nella formazione, i corpi intermedi e la PA che la promuovono e ne garantiscono la governance, nonché gli enti formativi che la erogano. Ma c’è di più: il ‘nuovo corso’ per la formazione può essere il primo passo per ricucire uno strappo tra territori e Stato centrale, tra singoli ed istituzioni, tra interessi particolari e bene comune. In proposito il libro riporta interessanti elementi che toccano le dinamiche del welfare to work e del futuro ruolo di una sempre più stretta interazione tra le varie istituzioni pubbliche, parti sociali e attori privati per garantire uno sviluppo solidale.
Nel testo si propongono strategie e azioni per ritrovare fiducia e interesse nella formazione, in via di riscoperta anche nell’amministrazione pubblica. Persistono tuttavia una serie di problemi nell’utilizzo efficiente ed efficace delle risorse, con un sistema formativo che risulta in posizioni ancora, purtroppo, lontane dagli obiettivi comunitari di crescita fissati nell’agenda di Europa 2020. Per questo bisogna stare in guardia: non basta fare formazione se ci si disinteressa della domanda di competenze che un’economia avanzata porta fisiologicamente con sé; si rischia infatti di fare “tanto-per”, di restare autoreferenziali e non agire in un sistema in cui tutti i fattori gestiscono, su orientamenti comuni, l’aspetto qualitativo della formazione. Sia nel settore pubblico che in quello privato, Neglia rileva carenze valutative (e auto-valutative) ancora gravi ed evidenza come i sistemi di qualità debbano mettere in circolo le informazioni in maniera indipendente, etica e professionale. Maggiore è lo sforzo di valutare e valutarsi, maggiore sarà la qualità della formazione del capitale umano.
La conoscenza è il principale fattore critico di sviluppo di una società che vuole andare oltre la sopravvivenza, ma per sviluppare conoscenza è necessario un ritorno all’economia per la persona, con la persona. Serve coraggio e la riscoperta del “senso del dono” che non va confuso con la beneficenza o la filantropia e che si costruisce persino “rischiando” di perdere le risorse che ci si è impegnati a formare. Se nel settore privato è presente il pericolo che una persona “formata” da un’azienda passi ad un’azienda concorrente, nel settore pubblico questo pericolo è praticamente assente. Serve semmai un’ottimale allocazione della risorsa umana, che avrà benefici anche immediati sia sul lavoro della risorsa che sui servizi per il cittadino. È evidente che per una migliore qualità della vita sociale occorre inserire, motivare e trattenere le migliori competenze negli ospedali, nelle scuole, nei musei, negli uffici pubblici.
La rotta va dunque invertita: la qualità della formazione non va più percepita come un costo, ma come un investimento. Un efficace investimento in capitale umano nasce da una attenta analisi dei fabbisogni che, nel settore pubblico, si risolve in definitiva in un’attenta analisi delle necessità dei cittadini. Cosa c’è di più utile per ripartire se non questo? Sarebbe finanche la rinascita di un interesse “politico” (inteso letteralmente) nella condivisione degli impegni sottesi al buon governo della cosa pubblica. Si tratterebbe di una formazione in cui i maestri non sono quelli che “sanno di più”, in cui c’è una rigida separazione tra soggetto attivo e soggetto passivo. Per la formazione del capitale umano i maestri sono coloro che, a dirla con Seneca, “infondono vitalità” (faciunt animum) e non coloro che cavillano, spiegano, fanno discorsi.
Il nuovo approccio alla formazione utile, che Neglia per l’appunto riporta in vita, altro non è che la riscoperta del senso della relazione tra le persone, tra le istituzioni, tra le forze della società. Una formazione che esorcizza il dramma della solitudine di tante “monadi del sapere” può ridurre i conseguenti comportamenti miopi dei singoli, che di fatto sono dannosi e tutt’altro che senza conseguenze per l’intera collettività e per gli amministratori chiamati a guidarla.