L’evoluzione normativa e dottrinaria degli ultimi quattro decenni ha incisivamente ridisegnato gli ambiti disciplinari tradizionalmente utilizzati per riferirsi alla disciplina giuridica dei fenomeni territoriali.
L’ambito materiale che assegnava tradizionalmente all’urbanistica la disciplina dell’uso e della trasformazione dei suoli urbani, ha dovuto necessariamente raccordarsi con l’emersione di discipline di tutela di concorrenti valori e interessi territorialmente rilevanti, destinati a riconfigurare radicalmente i termini di valutazione degli usi ammissibili del territorio.
N’è derivato un profondo mutamento di funzioni, obiettivi e strumenti dell’intervento pubblico di conformazione territoriale, ormai migrato verso un approccio di vera e propria regolazione di tutti i fattori rilevanti per l’uso del territorio, inteso come risorsa primaria per la promozione dello sviluppo economico e del benessere sociale.
La definitiva sostituzione dell’urbanistica con il “governo del territorio” tra i diversi comparti di competenza legislativa disegnati dal nuovo art. 117 della Costituzione, ha attestato il definitivo compimento di tale evoluzione concettuale, imponendo agli interpreti e agli operatori giuridici di confrontarsi con una materia tendenzialmente estesa a tutto l’orizzonte del territorialmente rilevante.
Il volume curato da Maria Agostina Cabiddu e qui recensito, parte proprio da siffatte constatazioni, raccogliendo l’aspirazione di offrire un supporto didattico adeguato a tale sensibile evoluzione di contesto.
L’impianto sistematico dell’opera, restando fedele a un taglio prettamente manualistico, declina tale indirizzo metodologico in maniera razionale e coerente.
Il primo capitolo si apre con un’originale ricostruzione dei diversi profili di rilevanza giuridica del territorio, concetto ordinatore delle concorrenti discipline di regolazione che lo interessano e qui acutamente riguardato come bene giuridico immateriale, assiologicamente distinto dalle singole relazioni di godimento individuale e, perciò, di necessaria immanenza pubblicistica.
Seguendo tale traccia ricostruttiva, si passano in disamina i principali riferimenti ‘di cornice’ del governo pubblicistico del territorio, partendo dal quadro delle fonti e dei livelli istituzionali, e proseguendo con l’esposizione, concisa ma puntuale, delle peculiarità funzionali e procedimentali della loro azione amministrativa.
Con tale analisi di contesto si raccorda senza cesure quella svolta nel secondo capitolo, riferendosi alle categorie di interessi necessariamente coinvolti nell’azione di governo territoriale – la proprietà privata e la tutela paesistica e ambientale – i cui profili d’impatto sono esaminati con una concisa analisi delle rispettive discipline procedimentali (in particolare, la disciplina del procedimento espropriativo e quella, rapidamente accennata, dei procedimenti di valutazione ambientale).
La parte centrale del volume (capitoli da III a VI) è dedicata alla pianificazione urbanistica, che resta la tematica centrale della conformazione del territorio, qui affrontata seguendo una tassonomia degli strumenti pianificatori che li distingue in base al loro tratto dimensionale (piani comunali e sovracomunali) e funzionale (piani generali, attuativi e di settore).
Particolarmente completa e ‘moderna’ l’analisi della pianificazione generale di livello comunale, che occupa l’ampio capitolo III° curato da Emanuele Boscolo.
Una prima sezione è dedicata alla ricostruzione istituzionale dei connotati essenziali del modello tradizionale di pianificazione “a cascata” fondato sul primato del PRG comunale, di cui si individuano lucidamente i tratti distintivi – riconoscendone gli intriseci limiti – tanto nell’accentuata autoritatività e discrezionalità, quanto nella rigidità e atemporalità del suo impianto prescrittivo basato sulla segmentazione mono-funzionale delle aree urbane (lo zoning) e sull’ampio ricorso ai vincoli pre-espropriativi (le localizzazioni).
Una seconda e più ampia sezione registra invece tutte le più recenti evoluzioni del paradigma pianificatorio tradizionale, dedicando spunti ricostruttivi invero puntuali e originali agli strumenti di perequazione e compensazione urbanistica.
La destrutturazione del tradizionale piano urbanistico comunale monolitico si realizza nel quadro della più recente legislazione regionale, la cui percepibile differenziazione deriva tuttavia dalla circolazione di alcune tipologie di strumenti e approcci ben definite.
In tale contesto, appare invero appropriata la scelta dell’A. di fondare la sua analisi ricostruttiva focalizzando anzitutto sui due modelli al contempo più organici e, sotto distinti profili, più innovativi, disegnati dalle leggi urbanistiche della Toscana e della Lombardia.
Nel descrivere le peculiarità del modello toscano di pianificazione, fondato sull’integrazione dell’accentuata componente strategica del piano ‘strutturale’ e l’impronta operativa e diacronicamente flessibile del regolamento urbanistico e dei piani complessi, ci si muove su un terreno ampiamente esplorato e maturo; di contro, nella disamina del modello lombardo si colgono talune componenti tanto innovative quanto poco approfondite.
E’ senz’altro il caso della pianificazione “dei servizi”, basata sull’intuizione di riconsiderare la vera “questione urbanistica fondamentale” – i.e. la dotazione di infrastrutture destinate alla fruizione collettiva – focalizzando non più su rapporti quantitativi astratti, bensì sull’identificazione dei concreti bisogni espressi da diverse tipologie di utilizzatori urbani.
Anche l’analisi ricostruttiva di un complessivo “modello differenziato” ed evoluto di pianificazione urbanistica generale si rivela particolarmente calzante, centrandone gli elementi qualificanti nel risalto del momento conoscitivo-motivazionale della scelta urbanistica e, di conseguenza, nel suo necessario fondamento su approcci decisionali aperti a forme di partecipazione della cittadinanza sempre più intense e strutturate.
Lo spazio limitato di questa recensione non può rendere appieno giustizia della completezza e del rigore analitico utilizzato nel prosieguo della trattazione per esaminare davvero tutti i temi e i nodi problematici evocati dagli strumenti di perequazione e compensazione urbanistica, anche perché affrontati da uno degli studiosi che per primi ne hanno fatto oggetto di approfondimento dottrinario.
Limitandoci a segnalare gli spunti a nostro avviso più pregevoli e originali, va anzitutto segnalato l’approccio utilizzato dall’A. per tratteggiare gli autentici tratti funzionali delle tecniche perequative. Queste sono correttamente ascritte non solo e non tanto al conseguimento di un generale egualitarismo proprietario rispetto agli effetti della pianificazione, bensì al coinvolgimento dei proprietari incisi nell’effettiva realizzazione del risultato territoriale programmato, assumendo a tale scopo che il diverso grado d’indifferenza del regime giuridico dei suoli rispetto alle sue potenzialità di sfruttamento funga da naturale condizione incentivante.
In tal senso, nella disamina degli approcci di pianificazione perequativa “estesa”, l’A. da un lato enfatizza giustamente il necessario rafforzamento della fase conoscitiva del territorio, giacché l’obiettivo dell’uguaglianza distributiva non può obliterare l’ineliminabile varietà territoriale, ma necessariamente raccoglierla e farne oggetto di una progettualità più efficace sotto il profilo della qualità urbanistica; d’altro lato dedica peculiare risalto alla dimensione cooperativa in cui vanno correttamente valutati e regolati i diversi strumenti giuridici utilizzati dai piani perequativi. Al riguardo, è particolarmente calzante l’approccio di analisi economica del diritto, utilizzato dall’A. per valutare le possibili opzioni regolatorie relative all’attribuzione e alla circolazione dei diritti edificatori, non lesinando spunti originali per assestare il ruolo dell’Amministrazione nella disciplina dei c.d. “negozi perequativi”.
A chiudere la disamina degli approcci di urbanistica “postivincolistica” vi sono dei riferimenti altrettanto esaustivi agli istituti di compensazione e di premialità urbanistica, riguardati tratteggiandone le analogie e le differenze funzionali rispetto a quelli perequativi, soprattutto per quanto attiene alla loro rispettiva collocazione nell’ambito dei diversi livelli di pianificazione.
Proseguendo la rassegna della parte centrale del volume recensito, sono altrettanto apprezzabili i tre capitoli successivi: il quarto (curato da Alberto di Mario) e il sesto (affidato a Federico Gualandi e Antonella Sau), concettualmente contigui e integrabili perché affrontano rispettivamente la pianificazione territoriale generale e le principali tipologie di piani settoriali (per l’edilizia abitativa popolare, di bacino, delle attività estrattive, del paesaggio); il quinto (curato da Barbara Boschetti, Tomaso Bonetti e Carmen Vitale) dedicato agli strumenti di pianificazione attuativa.
Di quest’ultimo capitolo va segnalata la pregevole esposizione, in chiave problematica ed evolutiva, del cangiante assetto relazionale tra il momento programmatorio e quello attuativo della pianificazione, toccando tutte le implicazioni che ne derivano in termini di contenuti e rapporti, tanto tra i diversi livelli, quanto soprattutto tra i diversi attori della pianificazione, aprendo la strada verso l’utilizzo sempre più pervasivo di moduli di programmazione “negoziata” e complessa.
Una cifra distintiva del manuale rispetto ad altre più tradizionali trattazioni istituzionali di diritto urbanistico, è racchiusa nei successivi capitoli VII e VIII, dedicati a quei fattori rispetto ai quali l’azione di governo pubblicistico del territorio deve necessariamente confrontarsi per divenire autentico intervento di promozione di sviluppo economico e benessere sociale.
Una prima parte (il capitolo VII, nelle sue quattro sezioni curato nell’ordine da Tommaso Bonetti, Carmen Vitale, Paola Scarale e Roberto Manservisi) affronta in maniera piuttosto completa la disciplina delle fasi di programmazione e realizzazione delle infrastrutture focalizzando, tuttavia, in maniera preponderante sugli aspetti relativi ai moduli di esecuzione delle opere (le tipologie di contratti e le procedure d’affidamento e di esecuzione), trascurando quasi del tutto i profili forse più strettamente urbanistici, attinenti ai procedimenti di localizzazione e al loro impatto sulla pianificazione territoriale di livello regionale e locale.
Ci si limita invece ad accenni più rapidi nella disamina delle concorrenti discipline dei “servizi per il territorio” (capitolo VIII, affidato nell’ordine a Giuseppe Piperata, Paolo Amovili e Domenico Ielo) – che spaziano dai servizi pubblici locali, al trasporto, al servizio idrico, all’energia, allo smaltimento dei rifiuti – di cui si forniscono comunque i riferimenti di contesto essenziali.
A chiudere il manuale, vi sono infine due capitoli dedicati rispettivamente alla disciplina dell’attività edilizia (il capitolo IX, redatto da Debora Caldirola e Tommaso Bonetti) e a quella delle relative responsabilità e sanzioni (il capitolo X, curato da Costantino Ruscigno e Paola Scarale), che riescono a compendiare in maniera efficace tutte le evoluzioni normative e giurisprudenziali più rilevanti in materia, specie per quanto attiene agli istituti di semplificazione e alla normativa di sanatoria e condonistica.
In conclusione, può senz’altro dirsi che il volume curato da Maria Agostina Cabiddu riesca pienamente nell’intento di offrire una moderna trattazione istituzionale delle diverse tematiche afferenti la conformazione pubblicistica del territorio, coniugando la fruibilità dell’esposizione manualistica con spunti di approfondimento problematico su questioni ‘vecchie’ e ‘nuove’ emerse nell’evoluzione normativa e scientifica della materia.