(Consiglio di Stato, Sezione Sesta, 19 ottobre 2012, n. 5389)
a cura di Filippo Degni
La sentenza che si segnala consente di formulare alcune considerazioni in ordine a due profili di particolare attualità: l’identificazione dell’interesse a ricorrere dell’impresa rispetto ai provvedimenti assunti dalla stazione appaltante ed il principio di ragionevolezza quale criterio orientativo nell’identificazione dei limiti di legittimità delle clausole di esclusione.
La fattispecie controversa riguardava un appello proposto da un operatore economico avverso la sentenza di primo grado con la quale era stata disposta la usa esclusione per avere omesso nella domanda la determinazione degli oneri per la sicurezza. Con appello incidentale, peraltro, l’aggiudicatario dell’appalto impugnava il capo di sentenza in cui era stata respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso avversario per carenza di interesse, in quanto la controparte non avrebbe dimostrato in alcun modo di essere in grado di aggiudicarsi l’appalto, data la conclamata impossibilità per la sua offerta di superare quella poi risultata aggiudicataria.
A questo proposito, la Sezione Sesta conferma la sua adesione all’orientamento giurisprudenziale estensivo secondo il quale “l’interesse a ricorrere avverso il provvedimento di esclusione da una gara pubblica è configurabile ex se e non richiede la dimostrazione che l’esito della gara sarebbe stato sicuramente o probabilmente favorevole al ricorrente nelle ipotesi in cui (come nel caso che qui ricorre) il criterio di aggiudicazione previsto sia di tipo non automatico, in quanto la parte ricorrente ha interesse a veder valutata la propria offerta in sede di gara e dunque è portatrice di un interesse strumentale all’annullamento degli atti impugnati e alla rinnovazione della procedura atteso che dal rinnovo deriva una nuova chance di partecipazione e di vittoria (Cons. Stato, V, 17 maggio 2012, n. 2826; id.,V, 18 novembre 2011, n. 6090)”.
Tale orientamento, del resto appare coerente anche rispetto a quanto affermato nell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2011, in cui si ammette la sussistenza della legittimazione a proporre il ricorso non solo in capo agli operatori economici che abbiano partecipato alla gara, ma anche a quelli c.d. “di settore”, ossia titolari di una posizione giuridica differenziata consistente nell’astratta attitudine a vedersi aggiudicato l’appalto previa rinnovazione della procedura ritenuta lesiva.
La Sezione non manca di osservare, infine, come il ricorso a quella che sembra essere una sorta di prova di resistenza è precluso laddove si risolva in valutazione sostanzialmente prognostiche e prive di stretta aderenza al dato obiettivo verificale in sede giurisdizionale: in altri termini, non è possibile fondare la tesi dell’impossibilità che un’offerta sopravanzi un’altra in una procedura da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in quanto non è prevedibile, se non attraverso un giudizio sostitutivo di quello della commissione di gara, quale punteggio sarebbe stato in concreto attribuito.
Passando al secondo profilo di interesse della sentenza oggetto di segnalazione, va osservato come il Consiglio di Stato abbia ritenuto meritevole di accoglimento il gravame nella parte in cui censura la sentenza di primo grado per non avere rilevato l’irragionevolezza dell’esclusione disposta ai danni dell’operatore economico appellante.
La Sezione assume quale presupposto di partenza della sua analisi la circostanza che la lex specialis di gara prevedeva, da un lato, un “importo degli oneri della sicurezza è pari a zero, trattandosi di affidamento di servizi di natura intellettuale”; dall’altro, l’imposizione dell’obbligo per i soggetti interessati a partecipare di “indicare e specificare analiticamente a pena di esclusione i propri costi … relativi alla sicurezza dell’impresa …”.
Rilevato come la natura dell’oggetto dell’appalto – prestazione di servizi di natura intellettuale – fosse incompatibile con la previsione di oneri per la sicurezza, il Collegio ritiene che l’obbligo imposto di rendere la prescritta dichiarazione a pena di esclusione sia del tutto irragionevole e, quindi, inidoneo a fondare la successiva esclusione dell’operatore.
E’ interessante notare come il Consiglio di Stato sul punto affermi che “anche a prescindere dall’applicabilità al caso in esame della previsione di cui al comma 1-bis dell’articolo 46 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (secondo cui «la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta (…); i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle»), la disposizione in questione risulterebbe comunque illegittima in applicazione di generali princìpi in tema di ragionevolezza delle clausole escludenti”.
La Sezione Sesta sembra quindi aderire ad un’interpretazione del principio di tassatività delle clausole di esclusione particolarmente attento alla necessità di tutelare, per quanto possibile, il principio del favor partecipationis, tanto che nella sentenza si legge che “le clausole della lex specialis, ancorché contenenti comminatorie di esclusione, non possono essere applicate meccanicisticamente, ma secondo il principio di ragionevolezza, e devono essere valutate alla stregua dell’interesse che la norma violata è destinata a presidiare per cui, ove non sia ravvisabile la lesione di un interesse pubblico effettivo e rilevante, deve essere accordata la preferenza al favor partecipationis (in tal senso: Cons. Stato, III, 12 maggio 2011, n. 2851; id., VI, 8 marzo 2010, n. 1305)”.
Proprio in considerazione di tali interessi non si sono ritenuti sussistenti i presupposti per l’esclusione dell’operatore che non aveva dichiarato l’ammontare degli oneri, perché: (i) gli oneri per la sicurezza, per espressa previsione della stessa lex specialis erano pari a zero e, quindi, la loro indicazione risultava del tutto superflua; (ii) la sanzione dell’esclusione, a fronte del mancato rispetto di un onere “meramente formale e, per di più, sostanzialmente inutile, palesava l’evidente irragionevolezza della previsione … del disciplinare di gara”.
Ad ulteriore conferma della propria decisione, la Sezione Sesta ha altresì richiamato “l’orientamento secondo cui l’esclusione da una gara pubblica può legittimamente essere disposta ove il concorrente abbia violato previsioni poste a tutela degli interessi sostanziali dell’Amministrazione o a protezione della par condicio tra i concorrenti e la carenza essenziale del contenuto o delle modalità di presentazione, che giustifica detta esclusione, deve in primo luogo riferirsi all’offerta, incidendo oggettivamente sulle componenti del suo contenuto ovvero sulle produzioni documentali a suo corredo dirette a definire il contenuto delle garanzie e l’impegno dell’aggiudicatario, in rispondenza ad un interesse sostanziale della stazione appaltante, costituendo il canone dell’utilità delle clausole e della necessità di evitare inutili appesantimenti, nonché di garantire in massimo grado la partecipazione dei concorrenti, nel rispetto della par condicio, metodo operativo ed interpretativo irrinunciabile (Cons. Stato, V, 28 febbraio 2011, n. 1245)”.
Al contrario, secondo il Consiglio di Stato la fattispecie controversa non poteva essere ricondotta ad alcuna delle ipotesi descritte, sia perché “nessun interesse sostanziale dell’amministrazione poteva essere in concreto tutelato da una clausola la quale imponeva un onere dichiarativo meramente formale a fronte di un dato sostanziale (l’assenza di oneri per la sicurezza) di fatto pacifico”, sia perché “riconoscere il c.d. ‘soccorso istruttorio’ a un soggetto … il quale era stato verosimilmente indotto in errore da clausole della lex specialis dal contenuto di fatto opposto e aveva prescelto l’opzione maggiormente conforme a canoni di ragionevolezza e alla stessa ratio legis non avrebbe certamente alterato la par condicio concorrenziale, ma avrebbe – al contrario – rappresentato un comportamento del tutto auspicabile nell’ottica del favor participationis“.