Caritas in veritate: etica, educazione, economia e lavoro

29.05.2011

Il 30 marzo, presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura, si è tenuto il seminario dal titolo “Caritas in veritate: etica, educazione, economia e lavoro”, al quale sono intervenuti il Professor Antonio Cocozza (Università Roma Tre e Luiss Guido Carli), il Dottor Giovanni Ajassa (Direttore Servizio Studi BNL Gruppo BNP Paribas), il Dottor Giorgio Santini (Vice Segretario Generale Cisl), il Professor Roberto Cipriani (Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Ateneo di Roma Tre) e Monsignore Lorenzo Leuzzi (Direttore dell’Ufficio Pastorale Universitaria Vicariato di Roma).

La tavola rotonda ha dato vita a un dibattito incentrato sui contenuti della Lettera Enciclica Caritas in Veritate, emanata da Papa Benedetto XVI nel 2009, intesa, da un lato, come “grido di allarme” che scaturisce da una società globalizzata, profondamente disorientata e bisognosa di nuovi riferimenti e nuove regole e, dall’altro, come richiamo al valore della caritas (amore ricevuto e donato), sentimento che spinge l’uomo ad agire in modo generoso e corretto, secondo i principi etici e morali della tradizione cristiana, senza necessariamente porre in primo piano i soli bisogni individuali, di carattere materiale, l’uno a discapito dell’altro.

Ad introdurre i lavori è stato il Professor Antonio Cocozza, che, in riferimento ai passi salienti dell’Enciclica, ha affrontato le seguenti tematiche:

 l’insegnamento dell’Enciclica Caritas in Veritate

 il ruolo dell’educazione nello sviluppo della persona

 attività economica, etica e mercato

 l’impresa come risorsa per il bene comune

Il relatore ha, innanzitutto, sottolineato l’importanza delle tematiche educative, sociali, economiche e del lavoro trattate nell’Enciclica. Il testo del Pontefice propone, infatti, un percorso ampio, articolato e denso di contenuti attuali e imprescindibili per la comprensione delle dinamiche evolutive correlate alla persona e non ai beni strumentali che, troppo spesso, sembrano invece polarizzare l’attenzione tanto dei Governi, quanto degli individui. Si legge all’inizio dell’Enciclica: “L’amore – caritas – è una forza straordinaria che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace”. Il Pontefice, nella scia dei suoi Predecessori, contribuisce a rinforzare, attualizzandolo, il messaggio di solidarietà che deve contraddistinguere il concetto stesso di sviluppo, nelle sue molteplici e concrete manifestazioni. A fronte di tale principio, il testo ben evidenzia i molti rischi insiti in un mondo sempre più tecnologico ma sempre più disumanizzato. Tra questi, il rischio dell’appiattimento culturale e dell’omologazione dei comportamenti e degli stili di vita.

La dottrina sociale della Chiesa – che ha “un’importante dimensione interdisciplinare” – è “annuncio e testimonianza di fede… strumento e luogo imprescindibile di educazione”.

L’educazione svolge, infatti, un triplice ruolo: ha il compito di istruire, formare al lavoro e partecipare allo sviluppo della persona quale cittadino del mondo.

Tra gli insegnamenti rivolti alle nuove generazioni, verso cui la Chiesa auspica maggior considerazione, spicca la salvaguardia del creato (o educazione alla sostenibilità). In questo senso, le istituzioni in primo luogo dovrebbero dare il buon esempio attraverso una più attenta applicazione delle leggi vigenti.

Il Professor Cocozza ha inteso, quindi, far notare l’importanza dell’educazione come elemento di solidarietà, la cui promozione e accessibilità sono essenziali per l’efficacia della cooperazione internazionale.

Indubbiamente, il “tema educazione” stigmatizza l’Italia che risulta, dai dati emersi dalle indagini Ocse, in una posizione di arretratezza rispetto al livello d’istruzione dei paesi industrializzati, con una percentuale di laureati e diplomati ampiamente migliorabile.

Per rimarcare la funzione inclusiva e di promozione sociale dell’educazione vengono richiamate le parole di Don Lorenzo Milani, tratte dal libro “Lettera ad una professoressa” del 1967, il quale sostiene: «Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati».

La terza tematica affrontata riguarda l’attività economica, in termini di rapporti tra etica e mercato, ponendo particolare attenzione sui concetti di fiducia e di solidarietà, indispensabili per permettere al mercato di espletare la propria funzione economica in una prospettiva sociale e di giustizia, non solo commutativa ma soprattutto distributiva.

Attraverso la fiducia e la solidarietà, infatti, è possibile dar luogo a un libero confronto tra le persone e a una corretta azione degli operatori economici nell’incontro tra domanda e offerta. Abbiamo recentemente assistito, tuttavia, a eventi che hanno incrinato e compromesso questa fiducia; basti pensare alla bolla speculativa del mercato finanziario che ha investito gli Stati Uniti d’America, con successive gravissime ricadute a livello mondiale.

L’attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della mera logica mercantile che andrebbe, piuttosto, finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico innanzitutto la comunità politica.

La Chiesa, peraltro, ritiene da sempre che l’agire economico non sia da considerare antisociale; Giovanni Paolo II spiegava: «La globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva, sarà ciò che le persone ne faranno».

Il mercato non è, e non deve perciò diventare, il luogo della sopraffazione del forte sul debole, ma un momento di confronto e di scambio per migliorare se stessi e la società.

L’Enciclica si spinge ancora oltre, lancia una sfida, invita gli uomini ad adottare il principio della gratuità e la logica del dono, come espressione di fraternità, cercando di includere tali valori entro la normale attività economica.

Già Aristotele pensava che gli accumulatori di denaro, di tutte le facoltà e le arti dell’uomo, fossero da considerarsi puri “mezzi per procurarsi ricchezze nella convinzione che sia questo il fine e che a questo fine deve convergere ogni cosa”.

Un’autorevole conferma dell’osservazione aristotelica è offerta dall’economista Galbraith che ammonisce chi subordina ogni sforzo e coscienza personale al frutto pecuniario e sulla base solo di questo misura ogni risultato.

«Forse a Wall Street bisognerebbe leggere ancora Aristotele». (Galbraith, 1990)

Non bisogna quindi anteporre il libero mercato ai valori sociali, quali la giustizia, la libertà personale e la tutela dell’ambiente, altrimenti distruggeremmo l’ecosistema, l’economia e l’intera società.

«L’economia senza etica è diseconomia». (Sturzo, 1897).

Nell’ambito di un simile contesto di discorso, l’azienda dovrà essere intesa come risorsa per il bene comune.

Le profonde trasformazioni del sistema economico internazionale, caratterizzate da gravi distorsioni e disfunzioni, richiedono radicali cambiamenti anche nel modo di intendere un’organizzazione: “la gestione dell’impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa (shareholder), ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita della stessa: i lavoratori, i clienti, i fornitori, i vari fattori di produzione, la comunità di riferimento (stakeholder)”.

Andando ad esplorare la Costituzione della Repubblica Italiana per ricercare tratti di un approccio etico, sembra proprio che i padri costituenti abbiano previsto un’evoluzione del pensiero economico in questa direzione, tanto che l’art. 41 asserisce: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

A conferma di ciò, l’art. 46, riferendosi alle condizioni del personale dipendente e al loro benessere psico-fisico, enuncia: «Ai fini dell’elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende».

E’ evidente che le materie in esame non sono nuove, si rileva tuttavia il bisogno di una maggiore attenzione e concretezza. E’ necessario garantire l’attuazione delle leggi e proseguire sulla strada indicata, diffondendo e condividendo il senso civico, nel rispetto di una visione solidaristica della società.

Sarebbe sufficiente osservare ed emulare, al riguardo, l’operato di Paesi quali: il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda o, dei più vicini Stati del nord Europa per riuscire a trovare formule adeguate, efficaci ed efficienti per la nostra Italia.

Le imprese, quindi, in sintonia con tale visione dovrebbero adottare politiche di maggior trasparenza, di responsabilità sociale e inclusione delle diversità.

«Investire ha sempre un significato morale oltre che economico» (Giovanni Paolo II)

Ma non sono solo le imprese a determinare le interazioni di mercato. Un nuovo soggetto ha progressivamente conquistato una posizione strategica e rilevante sul mercato: il consumatore.

E’ bene che le persone si rendano conto che acquistare è un atto morale, oltre che consumistico, e che l’utente ha il potere di premiare o punire un’azienda che compie azioni lodevoli o irresponsabili, attraverso il non acquisto o perfino il boicottaggio.

C’è una precisa responsabilità sociale del consumatore che si accompagna alla responsabilità sociale dell’impresa.

“I consumatori vanno continuamente educati al ruolo che quotidianamente esercitano e che essi possono svolgere nel rispetto dei principi morali, senza sminuire la razionalità economica intrinseca all’atto dell’acquistare”.

Altro protagonista influente nella complessa rete d’interazioni che costituisce il mercato globalizzato, è sicuramente il sindacato.

Le organizzazioni sindacali dei lavoratori, da sempre incoraggiate e sostenute dalla Chiesa, devono distinguere ruoli e funzioni da quelli della politica:

 individuare nella società civile l’ambito più consono alla loro azione (rappresentanza, tutela) nel mondo del lavoro, nei confronti di una serie di fenomeni particolarmente gravi e insidiosi (disoccupazione, sottoccupazione, discriminazione e sfruttamento), soprattutto per le fasce più deboli: giovani (quelli non lavorano e non studiano denominati “Neet” = non in education, employment or training) donne, immigrati, disabili;

 promuovere strumenti concreti di politiche attive del lavoro a sostegno di innovazione, ricerca e formazione, nonché una politica orientata ai principi del Diversity Management e del Work Life Balance.

Le statistiche ci forniscono un quadro deprecabile sull’attuale situazione italiana; l’indagine potrebbe rappresentare uno stimolo per i Governi traducibile verso la ricerca di risoluzioni valide.

Il tasso di disoccupazione generale si posiziona, infatti, all’8,9%, mentre quello dell’inoccupazione giovanile si attesta intorno al 30%.

L’Italia ha il più alto numero di giovani (oltre 2 milioni) che non lavorano e non studiano (Neet).

Si tratta di un fenomeno in crescita: oltre un milione si trovano nel Mezzogiorno.

Occorre ricordare che per combattere efficacemente la disoccupazione bisogna conoscerla e studiarla, poiché essendo un “dramma umano”, in certi casi può rappresentare una fonte di grave squilibrio e di malessere personale, familiare e sociale.

Per il futuro, ha concluso il Professor Cocozza, è auspicabile e fondamentale collocare la persona al centro delle politiche, tanto è vero che “il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità: l’uomo infatti è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale”.

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Il successivo intervento ha visto protagonista il Dottor Giovanni Ajassa che ha incentrato la sua riflessione sul policentrismo e le disuguaglianze soffermandosi sugli aspetti economici e statistici inerenti al background che lo caratterizza.

Con l’espressione policentrici e diseguali il relatore ha intenso sintetizzare la situazione attuale sul nostro Pianeta che la Caritas in Veritate espone al punto 22: «Oggi il quadro dello sviluppo è policentrico. Gli attori e le cause sia del sottosviluppo che dello sviluppo sono molteplici, le colpe e i meriti sono differenziati. (…) Continua lo scandalo di disuguaglianze clamorose».

I media ogni giorno proclamano rivoluzioni e grandi scoop, mentre in realtà la storia procede a ritmi lenti e sotterranei, divulgando tendenze che non lasciano scampo e portano alla globalizzazione delle economie, delle culture e delle società.

Da un mondo che ruotava attorno ad un grande epicentro politico ed economico, gli Stati Uniti d’America, e che ha funzionato fino al decennio scorso, oggi ci troviamo a vivere una realtà policentrica, costituita da centri economici, differenti per tradizione e per caratteristiche, quali: la Cina, l’India, il Brasile e la Germania.

Il grande problema che in passato affliggeva il mondo inerente alle scandalose disuguaglianze tra i paesi e le regioni del mondo, che Paolo VI descriveva nella Populorum Progressio, oggi si è addirittura accentuato.

Nel suo intervento il Dottor Ajassa fornisce una fotografia della situazione mondiale attraverso una serie di dati statistici, prendendo come riferimento, non più solo la locomotiva degli Stati Uniti che traina l’economia del mondo, ma anche le nuove potenze economiche.

Analizzando il PIL (Prodotto Interno Lordo) e osservando la crescita di questi nuovi centri economici, dal 2006 al 2010, si rileva che, in soli quattro anni, il PIL ha ottenuto i seguenti risultati: in Cina è lievitato del 50%, in India del 40%, in Brasile del 20% e in Germania del 2%.

L’Italia ha invece subito un ridimensionamento pari al -4%.

Si arresterà il progresso di questi nuovi baricentri dell’economia mondiale? La risposta è negativa. Gli economisti prevedono che nel 2012 il prodotto interno lordo migliorerà ulteriormente e l’Italia riuscirà a riavvicinarsi alla situazione più vantaggiosa risalente al 2006. Per esemplificare ulteriormente questi dati, possiamo comparare la situazione dell’Italia e della Cina nel 1991 e nel 2011. Venti anni fa, la potenza economica italiana era tre volte superiore alla concorrente, oggi la situazione si è capovolta simmetricamente, il PIL della Repubblica Popolare Cinese è tre volte quello italiano.

La direzione policentrica del mondo si denota anche osservando la “ristrutturazione” inerente il numero di Paesi partecipanti al forum dei governi delle principali nazioni industrializzate del mondo, il G8, che fino al 2009 includeva: Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada e Russia, sostituito con il G20, che ha incluso dodici nuove potenze economiche tra le quali: India, Brasile, Cina, Corea del Sud, Turchia, Australia, Arabia Saudita ecc…

Il ragionamento prosegue andando ad abbracciare un ulteriore tema caro alla Chiesa e ripreso nell’Enciclica: le disuguaglianze, con riferimento ai dati del Fondo Monetario Europeo (FMI).

L’FMI (un’organizzazione composta dai governi di 186 nazioni e dal Gruppo della Banca Mondiale, con lo scopo di regolamentare la convivenza economica e sostenere lo sviluppo dei paesi del Sud del mondo) constata, seguitando la comparazione Italia – Cina, che nel 2000 il reddito mensile di un cinese era pari solo al 10% rispetto ad un italiano, nel 2010 è salito al 25% e tra quattro anni sarà del 40%.

L’andamento repentino in direzione ascendente della Cina e di altri paesi, fino a pochi anni fa definiti in via di sviluppo, diverge dalla situazione generale planetaria di regresso e stallo, annunciando un futuro in cui le distanze aumenteranno e la situazione si aggraverà ulteriormente.

E’ possibile inoltre entrare nel dettaglio per rilevare le disuguaglianze all’interno di ogni singola nazione ricorrendo all’utilizzo dell’indice Gini, che permette di osservare, data la situazione generale della ricchezza di un paese, come si distribuisce tale risorsa al suo interno. Ad esempio, potremmo avere contesti costituiti da poche famiglie abbienti e masse indigenti, oppure situazioni più equilibrate. Quando questo indice di concentrazione dei redditi familiari (indice Gini) ha un valore intorno a 25, come in Germania, accerta una situazione di buon equilibrio, mentre un valore superiore a 50, presente in Brasile ad esempio, attesta l’esistenza di un forte iniquità.

In Italia nel 1995, l’indice Gini era di 27, mentre nel 2006, c’è stato un ampliamento delle disparità, raggiungendo il valore 32.

Lavorare per promuovere lo sviluppo e la riduzione delle disuguaglianze è materia affrontata nell’Enciclica Caritas in Veritate e in più occasioni rievocata dalla Chiesa e dal Papa in persona, esortando i governi ad attivarsi e ad investire per risolvere questioni fondamentali per l’economia e la ripresa di un paese quali: la deindustrializzazione, la disoccupazione e la precarietà.

Curare il problema del lavoro vuol dire creare migliori prospettive per il vivere comune.

Nel corso dell’intervento, il Direttore Ajassa, ha anche narrato la sua esperienza presso l’Ufficio Studi della Banca, impegnato ad aprire centri per il supporto alle imprese nelle varie regioni d’Italia e a condurre ricerche statistiche per comprendere dettagliatamente le problematiche delle realtà locali.

Dalle indagini svolte dall’Ufficio, con l’intento di misurare il tasso di occupazione media e giovanile, emerge la seguente situazione: in Sicilia su cento persone solo quarantaquattro lavorano.

La situazione si fa ancor più critica con i giovani siciliani, di cui solo il 14% risulta occupato e a Palermo, lavora regolarmente solo un ragazzo su sette.

Nelle regioni dove il tasso d’occupazione è più elevato, come l’Emilia Romagna, è possibile raggiungere il 70% della popolazione totale, ma il dato crolla vertiginosamente al 29% se si allude ai giovani (lavora un giovane su tre).

Questi dati diventano ancora più scandalosi se paragonati con i giovani delle altre regioni europee, invero in Germania, e più precisamente nella provincia della Pomerania ritenuta la più povera del paese, il tasso di occupazione giovanile è del 54%.

Questo enorme divario è il risultato di una politica economica tedesca più attenta ed impegnata alle relazioni industriali, alla cultura economica, alle politiche attive e passive, agli investimenti nella ricerca, nell’innovazione e nelle tecnologie ecc…

L’analisi successiva concerne i dati di un’indagine sui salari nel settore manifatturiero in Italia (un settore molto forte tanto da permettere al paese di entrare nel G8 fin dalla fondazione nel 1976) comparati alla Cina. In Italia nel 2001 il salario medio di un operaio era di 1.250 euro, laddove in Cina era di 110 euro; nel 2008 nella nostra penisola aumentava di circa trecento euro, mentre in Asia orientale di appena novanta euro.

Se ci chiedessimo quando i salari di questi due paesi, che crescono a ritmi notevolmente differenti, saranno equivalenti, la risposta è: nel 2045.

Questo significa che i nostri imprenditori continueranno ad investire all’estero a seguito del costo vantaggioso della manodopera (secondo l’Istat il costo del lavoro procapite che paga un azienda italiana, con filiali nella Repubblica Popolare Cinese, per un operaio è di 2.700 euro l’anno) e se non ci si ingegna e adopera nel reperire soluzioni competitive, se non si investe sull’istruzione e la ricerca e non si provvede a rettificare l’ordine nell’economia planetaria, non si può sperare di incentivare il mercato nostrano e uscire dalla crisi.

Nel 2008 la Cina risulta aver investito in educazione e ricerca ben cinquanta milioni di dollari contro i trentasette della Francia e i quattordici dell’Italia.

Ulteriore riprova dell’impegno di questi paesi emergenti ci giunge dai risultati del test Pisa che vedono la Cina al primo posto, seguita dalla Corea del Sud, nella graduatoria sulle conoscenze matematiche degli studenti quindicenni. L’impulso all’economia parte dai banchi della scuola primaria, con l’educare alla competitività e al sapere come risorsa

Ritornando al testo in esame, il Direttore del Servizio Studi BNL evidenzia altri passi dell’Enciclica che esulano dal discorso del policentrismo, pur restando in tema di educazione, quali ad esempio la lettera numero 66 e 67, che vertono sulla responsabilità del risparmiatore.

Il risparmiatore è colui che oggi rinuncia al consumo, mette i soldi da parte, per impiegarli domani o donarli a terzi.

Nel contempo, questo soggetto ha bisogno di informazioni, dati e notizie circa i suoi risparmi, per difendersi da eventuali insidie e per meglio orientarsi nell’uso delle proprie risorse.

La BNL Gruppo BNP Paribas ha messo in pratica questi concetti attraverso il progetto EduCare, iniziativa che ha l’intento, attraverso incontri informativi gratuiti presso le agenzie BNL, di diffondere e sviluppare la cultura finanziaria per aiutare i clienti a districarsi e comprendere i meccanismi delle banche e per poter così effettuare scelte finanziarie consapevoli.

Si evince, complessivamente, da questo secondo intervento, in riferimento alla lettera numero 71 dell’Enciclica Papale, che la rettitudine, la coerenza morale, l’onestà e le competenze degli uomini sono indispensabili per poter aspirare allo sviluppo della società e al raggiungimento del bene comune.

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Il Professor Roberto Cipriani ha, a sua volta, ripreso e ulteriormente evidenziato l’importanza del progetto EduCare realizzato dalla BNL Gruppo BNP Paribas, da lui particolarmente apprezzato, avendo egli stesso, alcuni anni prima, proposto all’Associazione Europea delle Associazioni Nazionali Bancarie un’iniziativa simile, ovvero educare i clienti delle banche a usare i prodotti bancari. Questa proposta sembrava allora utopica. L’idea di fondo verteva sull’importanza dell’educazione dell’utente (effetto diretto) e sui positivi effetti indiretti, quali, tra i più rilevanti, il potenziamento dell’immagine aziendale attraverso una politica trasparente, chiara e di qualità che focalizzi l’attenzione sui clienti e i suoi loro bisogni (customer satisfaction).

Successivamente, il relatore si è soffermato ad analizzare il titolo dell’Enciclica: “Caritas in Veritate”, rilevando un assonanza e, nello stesso tempo, un’anomalia con la precedente Lettera agli Efesini di Paolo, inserita nel Nuovo Testamento, nel capitolo quarto, versetto 15, nella quale è inserita la preposizione:«Veritas in caritates».

Nasce spontanea la domanda circa quale delle due affermazioni sia corretta. In realtà, nel sottotitolo dell’Enciclica di Papa Benedetto XVI: «Sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità» è possibile rintracciare la risposta: la carità e la verità sono complementari, agiscono nel contesto sociale e partecipano allo sviluppo umano integrale, intendendo, con il termine “integrale”, sia l’insieme degli aspetti economici e sia gli aspetti legati alla dimensione psicologica e alla sofferenza interiore degli uomini.

La suddetta Enciclica incentrata sui temi dell’economia globalizzata e delle sue ripercussioni sulla vita delle persone doveva essere pubblicata nel 2007, allo scoccare del quarantesimo anno dalla pubblicazione della Populorum Progressio, redatta da Paolo VI nel 1967, e venti anni dopo la Sollicitudo Rei Socialis di Giovanni Paolo II (1987).

La promulgazione è stata posticipata al 2009 perché nel 2007 si sono verificati una serie di importanti eventi di natura economica che hanno investito l’intero pianeta e che la Chiesa non poteva non considerare. Così il documento è stato completamente rivisto e attualizzato.

Il messaggio che maggiormente si evince dall’intervento del Professor Cipriani, concerne il significato profondo del termine carità, ossia amare in modo autentico, fondamento di ogni forma di relazione (amicale, familiare, sociale, economica, politica), una strada percorribile per ritrovare valori perduti e senso dell’orientamento.

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Il Dottor Giorgio Santini si sofferma, innanzitutto, ad analizzare gli accadimenti che hanno segnato il mondo dall’autunno 2008 e che hanno costretto, come opportunamente osservato in precedenza, l’Enciclica Caritas in Veritate ad essere sostanzialmente riscritta.

In particolare, si è fatto riferimento allo straordinario coinvolgimento economico dell’area orientale del mondo che ha segnato un nuovo andamento della storia dell’umanità.

L’Enciclica a questo punto non si è limitata ad affrontare il solo tema della globalizzazione e dei modelli economici, ma ha esteso l’analisi alle nuove tendenze dell’economia, valutandone criticamente la coerenza con le finalità comportamentali che riguardano il vivere in comunità.

La Chiesa s’interroga al riguardo, se si stia cioè verificando uno sviluppo integrale dell’uomo; vale a dire, se l’economia è raccordata con lo sviluppo della persona e della persona nella comunità, oppure se sia necessario ricostruisce una gerarchia di valori per tentare di ridare all’umanità disorientata nuovi punti di riferimento, seppur nel segno della tradizione cristiana.

Un elemento sul quale bisognerà porre particolare attenzione è l’inclusione sociale; ciò comporta l’impegno a creare le condizioni per riuscire a dare un’opportunità di realizzazione a ogni persona, poiché ogni individuo è una risorsa preziosa per la comunità ed il mercato.

Concretamente l’Enciclica suggerisce la costituzione di un’entità mondiale che riesca ad impedire atti irresponsabili, azioni finanziarie scorrette, che elimini i paradisi fiscali, che scoraggi la speculazione; in definitiva, come esiste un’autorità politica mondiale, l’ONU, è necessario istituire un’autorità economica mondiale.

Altra problematica da affrontare, che rientra nella globalizzazione, è la necessità dei paesi di avere condizioni sociali e lavorative adeguate e regole omogenee sul rispetto dei diritti umani, in linea con il principio di libertà economica.

In Cina come in India e in Brasile le condizioni dei lavoratori sono ancora critiche: si rilevano ancora gravi ambiti di sfruttamento, divieti di costituire organizzazioni sindacali, diritti violati, ambienti di lavoro insalubri, norme sulla sicurezza inesistenti ecc…

Le condizioni disumane e disagiate sono, purtroppo, considerate dagli imprenditori senza scrupoli, un vantaggio competitivo, riassumibile con il termine concorrenza sleale.

In questo senso, vi sono politiche e pratiche finanziarie che la comunità internazionale deve assolutamente scongiurare.

L’egocentrismo, nella sua accezione positiva, inteso cioè come posizionamento dell’uomo, con i suoi bisogni materiali e spirituali, al centro del mondo, è una meta da perseguire.

La persona umana è il fulcro dell’economia e il lavoro, a sua volta, è l’elemento centrale nella vita delle persone poiché garantisce dignità e libertà.

A parere del Dottor Santini, porre l’uomo al centro del sistema economico può rivelarsi una strategia risolutiva anche dal punto di vista dell’incremento delle risorse finanziarie, attraverso la costruzione di nuovi settori con conseguenti opportunità occupazionali.

E’ è il caso di lavori come:

 i green job che danno vita a servizi e prodotti volti a migliorare la qualità della vita e dell’ambiente (economia sostenibile): ciò favorisce una riconciliazione tra le persone, le comunità e l’economia.

 I white job o lavori socialmente utili, inclusi nel settore sanitario e servizi sociali collegati all’economia sociale.

Queste attività non devono più essere considerate come un costo per il paese, ma una risorsa, un volano economico.

La Francia è un paese che ha attuato iniziative interessanti in questa direzione: ad esempio, sono state previste forme di reddito detassato per le famiglie, a fronte di spese per l’acquisto di servizi della tipologia in questione, a patto che fossero regolari, certificati e qualificati. Ciò ha permesso di ottenere circa 150.000 nuove opportunità di lavoro, mediamente l’anno.

L’Enciclica, più volte, ha ribadito l’importanza del lavoro per l’uomo, come fonte di sussistenza, di realizzazione personale e crescita, esortando i governi a farsi carico di risolvere il problema della disoccupazione.

La Comunità Europea, ad esempio, nel 2000 ha realizzato un’interessante iniziativa, fissando un indice percentuale pari a 70, come traguardo ottimale da conseguire entro il 2010, che tutti i paesi membri dovevano impegnarsi a raggiungere attraverso posti di lavoro almeno al 70% della popolazione attiva e l’istituzione di servizi di assistenza sociale di qualità.

Nonostante i buoni propositi, i risultati non sono stati affatto lusinghieri; l’Italia, ha rimarcato la sua divisione interna, dando luogo a due indici differenti tra il Nord, con un indice del 70%, e il Sud, del 50%.

Faro d’Europa è sicuramente la Germania, che ha attuato politiche volte a favorire il rapporto scuola-lavoro e si è impegnata a costruire un ponte agevole e utile per entrambi le parti, in un’ottica in cui alla scuola viene attribuita una funzione strumentale e funzionale.

Tra gli obiettivi tedeschi troviamo inoltre un nuovo approccio al lavoratore, non più come subordinato ma come collaboratore, come risorsa e capitale umano.

Un’operazione che potrebbe avvicinare il mondo della scuola a quello delle imprese e integrarsi nei programmi didattici dei diversi istituti scolastici superiori, è costituita dai percorsi di tirocinio e stage da svolgere nelle aziende.

Queste iniziative aiuterebbero entrambe le parti a conoscersi e trovare congiuntamente modalità efficaci per rapportarsi proficuamente e collaborare fattivamente.

Santini ha concluso il proprio intervento incitando l’Italia a prendere posizioni ferme e decise, esortando il Paese a non rimanere sospeso tra un “non più e non ancora”.

Il seminario si è chiuso con l’intervento di Monsignore Lorenzo Leuzzi, che ha evidenziato come la realtà globale sia bisognosa di ritrovare un senso di comunità e di civiltà e si riveli desiderosa di intraprendere un percorso etico coerente e giusto da condividere insieme all’umanità (una globalizzazione sia economica che etica).

L’attuale contesto sociale e culturale, ha bisogno di liberarsi dell’inquietante ospite (la precarietà, intesa in senso lato) e di ritrovare la fiducia, la verità e i valori del Cristianesimo per erigere una società responsabile che permetta il raggiungimento di uno sviluppo umano integrale.

L’economia sta cambiando, questo non deve spaventarci, al contrario, deve essere un’occasione per liberare la società dalle insidie degli interessi meramente privati e dalle logiche di potere, per aspirare concretamente alla costruzione di una società dell’amore basata sulla logica del dono.

a cura di Elisa Badini e Fabrizio Dafano