Il 25 febbraio ultimo scorso, presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università Luiss Guido Carli, il Centro di Ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet” ha organizzato un seminario avente come tema “Modificazione o applicazione dell’articolo 41 della Costituzione ?”, presieduto dal Prof. Gian Candido De Martin.
Il convegno si è incentrato sulla relazione introduttiva del Prof. Di Gaspare, cui ha fatto seguito un ampio dibattito con numerosi interventi propositivi fra cui, di rilievo, quello dell’On. Prof. Ceccanti e del Prof. Clarich.
In via preliminare, il Prof. De Martin ha enucleato gli aspetti innovativi e la portata della proposta governativa di modifica dell’art. 41 della Carta, così espressa: “la Repubblica promuove il valore della responsabilità personale nelle attività economiche. Gli interventi regolatori di Stato, Regioni, Enti locali nell’attività economica si informano al controllo ex post”.
Tuttavia, secondo il Prof. De Martin l’attuale formulazione dell’art. 41 -lungi dal porre “lacci e lacciuoli” all’iniziativa economica privata- ha comunque consentito lo sviluppo economico del nostro Paese, nell’ambito del modello dell’economia sociale di mercato. La proposta di riformulazione dell’art. 41, peraltro, si andrebbe a configurare come una sorta di “norma manifesto”, tenuto conto che la normativa primaria sarebbe già, essa stessa, idonea a dar vita a forme di liberalizzazione del sistema economico, senza necessità di effettuare cambiamenti nella prima parte della Costituzione.
L’intervento del Prof. Di Gaspare, in contiguità con le premesse indicate dal Prof. De Martin, si è soffermato, “in primis”, sull’assunto metodologico secondo il quale una disposizione costituzionale deve essere analizzata mediante l’interpretazione testuale della stessa, analogamente a quanto viene comunemente praticato dai giuristi nei confronti della legge (interpretazione logica, analitica e sistematica), secondo il metodo indicato dall’art. 12 del Capo II del Codice Civile.
Tuttavia, la “praxis”, spesso seguita dalla dottrina nell’esaminare l’art. 41 co. 1, è stata quella di estrapolare singoli enunciati del testo per poi pervenire a dubbie “induzioni”, quale, ad esempio, contrapporre l’iniziativa economica privata dell’imprenditore/capitalista con l’ “utilità sociale” ed i “fini sociali” di cui ai commi 2 e 3 della stessa disposizione nonché, più in generale, con il lavoro -inteso unicamente quale lavoro dipendente- destinatario del diritto di cui all’art. 4 della Costituzione.
Per contro, una lettura più “laica” del testo consentirebbe, secondo Di Gaspare, di apprezzare più coerentemente la consequenzialità logica dei tre commi dell’art. 41; l’iniziativa economica libera si configurerebbe un assunto di portata generale, limitato dal rispetto dei diritti fondamentali (libertà, sicurezza e dignità della persona) nonché dal suo svolgersi non in contrasto con l’utilità sociale, cioè nel quadro di una economia di mercato, ove vige un regime di libera concorrenza che, in quanto tale, deve assicurare che tale libertà sia un diritto universale accessibile a tutti i cittadini.
L’iniziativa economica privata in un regime di libera concorrenza, quindi, non contrasterebbe, per definizione, con il vincolo dell’utilità sociale previsto in Costituzione, in quanto favorirebbe sia i produttori, non ostacolati dalla presenza di “distorsioni” del mercato, a causa di monopoli e/o oligopoli, sia i consumatori, destinatari finali di beni dalla qualità migliore ad un prezzo più basso rispetto quello che si verrebbe a verificare in caso di “fallimenti” del mercato.
Insomma, secondo il Prof. Di Gaspare, il limite del citato comma 2 si qualificherebbe, di fatto, alla stessa stregua del principio civilistico del “neminem ledere”, con un implicito riferimento al concetto di danno ingiusto di cui all’art. 2043 del Codice Civile.
Tale meccanismo del “lecito”, peraltro, se correttamente applicato, potrebbe risolvere anche il problema del controllo ex post, esplicitamente indicato nella nuova formulazione dell’art. 41.
Il Prof. Di Gaspare ritiene che la mancata applicazione dell’art. 41 sarebbe da rinvenire nella mancata tutela giudiziaria del diritto di iniziativa economica, pur consacrato in Costituzione. Pertanto, la “liberazione” dell’attività economica a tutela dei cittadini potrebbe giovarsi dello strumento della “disapplicazione” da parte del giudice ordinario -ad oggi limitato ai soli casi di contrasto della normativa interna con quella comunitaria- in occasione dell’accertamento della lesione del diritto di iniziativa economica individuale a seguito di giudizio per una azione di riconoscimento del diritto, ovvero di danno, proposto da un cittadino che si ritenga leso.
Infine, ulteriore spinta alla liberalizzazione -senza necessità di addivenire a specifiche modifiche costituzionali- sarebbe favorita dalla valorizzazione della discrezionalità tecnica, in luogo di quella amministrativa, da parte della pubblica amministrazione, passando, in tal modo, dall’autorizzazione puntuale all’esercizio dell’attività economica ad una autorizzazione -di fatto- generale, stabilita dalla legge in base a specifici parametri per i quali il potere amministrativo sarebbe chiamato solo a riscontrarne la rispondenza.
Nel successivo intervento, l’On. Prof. Ceccanti ha premesso, in via generale, che le norme costituzionali sono per loro natura “a fattispecie aperta”, in quanto delimitanti il campo di scelta del Legislatore senza mai restringerlo eccessivamente: nel caso in esame, come indicava all’epoca della Costituente Meuccio Ruini, il modello economico presente nella Carta non era né il liberismo estremo né il comunismo puro, ma era delineato in modo da consentire l’adozione di “pacchetti economici” applicativi diversi, in funzione delle contingenze e necessità storiche.
Con specifico riferimento al tema dell’incontro, il Prof. Ceccanti ha evidenziato che l’interpretazione “statalista” dell’art. 41 appare una forzatura, che non trova riscontro né nella “temperie” politica dell’epoca -tenuto conto che, proprio quando la disposizione veniva messa in discussione nella Costituente, entrava in crisi il governo De Gasperi, con la successiva uscita dall’esecutivo di comunisti e socialisti- né alla luce di una analisi comparativista delle Carte di altri Paesi Europei, quali la Germania e la Francia, al cui interno vengono sostanzialmente ripresi i contenuti della Costituzione economica italiana.
Il tutto, senza dimenticare che la bozza dell’art. 41 venne predisposta dal citato Meuccio Ruini di Democrazia del Lavoro e Paolo Emilio Taviani della Democrazia Cristiana, e che gli emendamenti proposti da socialisti e comunisti per una stesura “più di sinistra” del testo vennero bocciati in Costituente.
Risulta, peraltro, priva di reale fondamento anche l’idea di una contrapposizione tra una Costituzione di presunto orientamento “statalista” ed un diritto comunitario “liberalizzante” che, con il tempo, ne avrebbe smantellato l’assetto economico dirigista, in quanto i “filoni teorici” che hanno provveduto alla stesura della Carta fondamentale sono gli stessi che hanno promosso la partecipazione dell’Italia alla costruzione europea, facendosi altresì promotori delle successive fasi dell’integrazione comunitaria.
Il riferimento ai “programmi” indicati nel comma 3 dell’art. 41, e non ai più ben pervasivi “piani” economici, rappresenta, secondo Ceccanti, un’ulteriore conferma della dinamicità di una norma volta a prefigurare una programmazione per incentivi dell’attività economica, anziché una “paventata” gestione diretta da parte dello Stato.
In conclusione, il Prof. Ceccanti consiglia di “non prendere troppo sul serio la modifica proposta dal Governo”, anche per la particolarità della procedura di revisione dell’art. 138 della Costituzione, che rende difficile portare a termine tale proposito, e consiglia, piuttosto, di concentrarsi sulla legislazione ordinaria quale strumento principale per avviare le riforme di liberalizzazione di cui l’economia nazionale avrebbe urgente bisogno.
Il Prof. Clarich, a sua volta, ha introdotto nel convegno un nuovo e più articolato punto di vista: l’art. 41 comma 1 non sarebbe mai stata una norma “mordente”, in grado di difendere l’iniziativa economica privata, rispetto alle corrispondenti disposizioni nelle Costituzioni degli altri Paesi.
La stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana ha esaltato maggiormente gli altri due commi, mentre è stato piuttosto il diritto comunitario quello che ha più d’ogni altro stimolato la libertà d’impresa. Al riguardo, il Prof. Clarich ricorda i contenuti della sentenza sulla privatizzazione dell’Alitalia laddove, nel bilanciare il comma 1 dell’art. 41 con i commi 2 e 3, è stata, di fatto, salvata una legge che deroga ai principi di concorrenza.
In ogni caso, fermo restando l’invariabilità dell’art. 41, sarebbe auspicabile che la Corte Costituzionale dia una versione più “stretta” del principio di proporzionalità, da intendere come misura unica possibile per raggiungere l’obiettivo di utilità sociale, conferendo all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato la possibilità di adire direttamente la Corte Costituzionale in luogo dell’attuale sistema delle “segnalazioni”, giudicato inidoneo.
A conclusione degli interventi, il Prof. De Martin, nell’evidenziare l’interesse e la ricchezza dei punti di vista dei tre relatori, ognuno dei quali ha fornito una propria linea interpretativa sulla tematica in esame, ha precisato come i Paesi europei membri dell’Euro dovranno predisporre una nuova “governance” economica, mediante l’adozione di “piani” che garantiscano la competitività dell’Unione europea rispetto alle altre grandi aree economiche mondiali implementando ricerca ed innovazione (“l’Unione europea non vuole programmi, ma piani nazionali di riforma”).
In tal quadro, la sfida del futuro sarà quello di far progredire insieme il diritto comunitario e le Costituzioni nazionali, nel quadro delle nuove linee di politica economica stabilite a livello europeo.
Nel dibattito che è seguito all’intervento dei relatori, è intervenuta, tra gli altri, la Prof.ssa Decaro, che ha sottolineato la necessità di “difendere”, in linea di principio, il testo costituzionale dalle proposte di modifica, stante la bontà dello stesso ed il rischio di soluzioni peggiorative da parte del Legislatore, come già avvenuto in passato a proposito del nuovo del Titolo V della Costituzione e del successivo progetto di riforma (c.d. “devolution”).
Con riferimento all’art. 41, la Prof.ssa Decaro ha evidenziato come il dibattito sulla nozione di “programmi” ed “indirizzo”, di cui al comma 3, appare ormai superato, alla luce del fatto che, con la nuova stretta sui conti pubblici decisa di recente a Bruxelles, i Paesi dell’Eurozona dovranno adottare veri e propri “piani” di rientro del disavanzo e del debito pubblico.
Anche il Prof. Satta ha espresso la propria contrarietà alla proposta di riforma dell’art. 41 avanzata dal governo, considerando piuttosto che “bisogna interpretare e vivere le norme secondo un certo spirito”, più che adoperarsi, “sic et simpliciter”, a cambiarle secondo le contingenze.
Da ultimo, il Prof. Rivosecchi ha considerato, tra l’altro, come la promozione della tutela della concorrenza da parte dell’ordinamento comunitario si sia giovata del fatto che tale principio è già desumibile dall’art. 41, motivo per cui le riforme di liberalizzazione del sistema economico nazionale, sotto la spinta europea, sono potute avvenire nel tempo “a Costituzione invariata”; il dibattito sulla proposta governativa in esame, peraltro, appare superato dai nuovi orientamenti di politica economica e di bilancio di Bruxelles, aventi una portata ben più rivoluzionaria per il nostro Paese.