Cade anche l’ultimo argomento a sostegno della c.d. pregiudiziale di annullamento, ovvero l’impossibilità per il giudice amministrativo di conoscere incidenter tantum dell’illegittimità di un atto amministrativo, posta a presidio del breve termine di decadenza entro cui azionare la tutela costitutiva.
Nella sentenza in commento, il Consiglio di Stato accoglie il ricorso[1] proposto da una società avverso tutti gli atti relativi ad una procedura di affidamento di un appalto di servizi, applicando la nuova disciplina di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a., che consente al giudice amministrativo di accertare in via incidentale “l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”, qualora nel corso del giudizio si accerti l’inutilità per il ricorrente dell’annullamento del provvedimento impugnato.
La V Sezione, infatti, ritiene fondato l’appello, riscontrando effettivamente che lo svolgimento delle operazioni di gara era stato condotto in palese «violazione del principio di trasparenza» di cui all’art. 97 Cost., poiché i verbali di gara attestano l’assoluta carenza di appropriate misure di custodia dei plichi contenenti le offerte.
L’impossibilità per la ricorrente di conseguire, mediante l’annullamento degli atti impugnati, la rinnovazione della gara in assenza di un’apposita richiesta di declaratoria di inefficacia del contratto[2] (che, tra l’altro, si trova in stato di avanzata esecuzione), non costituisce un ostacolo all’accoglimento del gravame, poiché l’illegittimità degli atti in questione diventa elemento alla stregua del quale valutare la sussistenza e l’ingiustizia del danno subito.
Pertanto, in mancanza della disciplina di cui all’art. 34, comma 3, il ricorso avrebbe dovuto essere respinto, essendo venuto meno l’interesse dell’appellante all’annullamento dei provvedimenti impugnati. Invece, questa norma consente al giudice amministrativo di accertare l’illegittimità dell’atto ai soli fini di un eventuale risarcimento del danno, anche in assenza di un’apposita istanza dell’interessato.
In particolare, nel caso di specie, la sussistenza di «un interesse ai fini risarcitori» viene ravvisata nella necessità per la ricorrente di recuperare le spese di partecipazione alla gara (danno emergente), nonché nella perdita di chance (lucro cessante) che la stessa ha subito.
La disposizione costituisce una deroga al divieto imposto al giudice amministrativo di “conoscere della legittimità di atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l’azione di annullamento”. L’accertamento incidenter tantum dei vizi che inficiano un provvedimento illegittimo, infatti, può essere compiuto sia nel caso in cui, nel corso del giudizio, emerga che la tutela costitutiva non apporterebbe nessun vantaggio utile al ricorrente, sia quando questi proponga un’azione di risarcimento autonoma, assurgendo l’illegittimità dell’atto a parametro di valutazione della sussistenza dell’an e del quantum del danno (art. 30, comma 3).
Il Codice del Processo Amministrativo ha realizzato una rivoluzione copernicana sull’oggetto del giudizio: non sono più le situazioni sostanziali a ruotare intorno alle azioni ammissibili, ma queste a modellarsi sulle prime. Il giudice amministrativo si spoglia della veste di giudice incaricato di sindacare la mera legittimità dell’azione amministrativa, per acquisire il ruolo di giudice della potestà pubblica.
La sentenza in esame rappresenta un segnale inequivocabile del superamento di quella barriere e preclusioni, che da sempre hanno reso il processo amministrativo un campo minato, piuttosto che il luogo naturalmente deputato a garantire una tutela celere ed effettiva al privato leso dall’esercizio scorretto del pubblico potere.
Ciò che conta è la concreta possibilità per il ricorrente di conseguire il bene della vita. In mancanza di questo, non può che residuare un interesse al ristoro per equivalente.
[1] Il ricorso era stato respinto da T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, n. 16615/2010, disattendendo le censure dedotte dalla ricorrente in ordine alla carenza di misure idonee a salvaguardare l’integrità dei plichi contenenti le offerte, «ritenendole in parte inammissibili ed in parte infondate».
[2] La ricorrente, infatti, essendosi classificata sesta, non ha né la possibilità di conseguire in via diretta l’aggiudicazione a causa della natura prettamente strumentale dei vizi riscontrati, né di subentrare nel contratto.