Con tre ordinanze “gemelle” depositate il 23 marzo 2011, in sede di regolamento di giurisdizione, la Corte di Cassazione devolve alla giurisdizione del G.O. il risarcimento del danno derivante dalla lesione dell’affidamento incolpevole nella (apparente) validità dell’esercizio della funzione pubblica, in ossequio ai principi di buona fede, correttezza e solidarietà che regolano il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione.
Nella prima pronuncia (n. 6594/2011), il caso di specie sottoposto al vaglio della Suprema Corte riguarda la richiesta di risarcimento dei danni per aver confidato il ricorrente nell’apparente legittimità di una concessione edilizia – in seguito alla quale erano stati avviati i lavori per la costruzione dei manufatti – successivamente annullata, in via di autotutela, dalla pubblica amministrazione. «Il proprietario o il titolare di altro diritto reale» non può invocare la tutela risarcitoria per ottenere il ristoro dei danni derivanti dalla perdita della facoltà di edificare, verificatasi in seguito all’annullamento d’ufficio della concessione edilizia, secondo la Cassazione. Sussisterebbe la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo se il ricorrente volesse dolersi dell’illegittimità di qualche atto della procedura (ad esempio, del provvedimento di ritiro) e, contestualmente o successivamente, dei danni da esso derivanti. In tal caso, lo strumento risarcitorio sarebbe, conformemente al dictum della Consulta (sentenze n. 292 del 2000 e 281 del 2004), «ulteriore e di completamento» rispetto al rimedio classico demolitorio, giustificando la concentrazione di entrambe le tutele dinnanzi al giudice amministrativo.
«Una volta intervenuto legittimamente l’annullamento della concessione edilizia può rilevare esclusivamente una diversa situazione, sulla quale fondare il risarcimento del danno». In altre parole, il danno che il ricorrente ha subito è imputabile ad una condotta scorretta della parte pubblica, consistita «nell’emissione di atti favorevoli, poi ritirati [..] in autotutela, atti che hanno creato affidamento nella loro legittimità ed orientato una corrispondente successiva condotta pratica, poi dovuta arrestare» e, pertanto, passibile di risarcimento dinnanzi al giudice ordinario, avendo la situazione giudica fatta valere in giudizio la consistenza di diritto soggettivo.
Non si tratta di un danno contra ius, ossia privo di una causa di giustificazione, giacché l’operato della parte pubblica è formalmente legittimo.
Ciò che la Cassazione mira a tutelare è l’affidamento del ricorrente che, senza sua colpa, ha confidato nella validità (poi venuta meno) della condotta della pubblica amministrazione, la quale è tenuta a rispettare «principi generali di comportamento, quali la perizia, la prudenza, la diligenza, la correttezza».
Il caso di specie oggetto della seconda pronuncia (n. 6595/2011) è, in parte, analogo a quello deciso nella prima. I ricorrenti chiedono il risarcimento dei danni derivanti da una condotta scorretta della parte pubblica, consistente nell’attestazione (rivelatasi, in seguito, errata) che il fondo da essi acquistato fosse «libero da pesi ed altri oneri», nonché potenzialmente edificabile e nel rilascio di una concessione edilizia – sulla quale era stata iniziata la costruzione dell’immobile – successivamente annullata dal giudice amministrativo, che ne aveva acclarato l’illegittimità.
«Il provvedimento che aveva concesso il diritto a edificare e che, perché illegittimo, è stato legittimamente posto nel nulla, rileva per il titolare dello ius aedificandi esclusivamente quale mero comportamento degli organi che hanno provveduto al suo rilascio, integrando così, ex art. 2043 c.c., gli estremi di un atto illecito per violazione del principio del neminem laedere, [..] per avere tale atto, con la sua apparente legittimità, ingenerato nel destinatario l’incolpevole convincimento (fondato sull’affidamento in ordine alla legittimità dell’atto amministrativo e, quindi, sulla correttezza dell’azione amministrativa) di potere legittimamente procedere all’edificazione».
La terza pronuncia (n. 6596/2011) rafforza il principio di diritto suggellato nelle prime due. Secondo la Cassazione, si radica la giurisdizione del giudice ordinario sulla richiesta di risarcimento di danni cagionati dalla lesione dell’affidamento generato dall’adozione di un provvedimento favorevole, poi annullato in forza di una statuizione giurisdizionale. Il ricorrente, infatti, non ha contestato l’illegittimità dell’aggiudicazione ma si è limitato ad «imputare» alla pubblica amministrazione di averlo indotto «a sostenere delle spese nel ragionevole convincimento della prosecuzione del rapporto fino alla scadenza del termine quadriennale previsto dal contratto stipulato a seguito della gara».
Le fattispecie in esame si connotano per la condotta colposa della parte pubblica che, dapprima, ha indotto a far assumere il terzo un certo contegno e, in seguito, ne ha cagionato l’arresto, integrando gli estremi di un danno passibile di risarcimento dinnanzi al giudice ordinario, non venendo in rilievo – ai fini di un legittimo radicamento della giurisdizione amministrativa esclusiva – né un provvedimento amministrativo illegittimo né i diritti patrimoniali consequenziali.
Con lo stesso spirito che ha alimentato il dibattito sulla c.d. pregiudiziale amministrativa, sulla carenza di potere e sulla teoria dei diritti incomprimibili, la Corte di Cassazione si preoccupa esclusivamente di garantire una tutela piena ed effettiva alle situazioni sostanziali dedotte in giudizio, anche a costo di travalicare gli incerti e frastagliati confini del riparto di giurisdizione e di plasmare le categorie giuridiche civilistiche per adeguarle alle peculiarità del diritto amministrativo.