Rapporto sulla sussidiarietà 2010

20.05.2011

Il Rapporto sulla sussidiarietà 2010, presentato a Roma il 13 aprile, analizza il tema “Sussidiarietà e Formazione Professionale”.
La ricerca, pubblicata dalla Fondazione per la Sussidiarietà, mette a confronto il sistema della istruzione professionale statale e le esperienze di formazione professionale nate per rispondere al bisogno dei giovani di essere educati alla realtà attraverso l’apprendimento di un lavoro.
Al momento, in Italia, l’istruzione professionale, che rappresenta un filone minoritario rispetto ai licei e agli istituti tecnici, tende ad integrarsi con la formazione professionale, dando vita a modelli di vario genere che corrispondono anche alla tradizione culturale e agli orientamenti politici delle Regioni nelle quali essi si realizzano. Si va dunque dalle Regioni che hanno percorsi triennali o quadriennali di formazione professionale completi (per es. Piemonte, Veneto e Lombardia), a quelle in cui predominano i percorsi integrati di varia durata e organizzazione (Emilia Romagna, Toscana). Tale situazione è resa più complicata da un intreccio di norme, per cui oggi un ragazzo è tenuto a frequentare un percorso di istruzione fino a 16 anni e, a seconda dell’offerta formativa della Regione in cui vive, dopo la terza media, nel caso si orienti alla formazione professionale, può decidere se iscriversi in una scuola in cui è aperto un percorso integrato oppure direttamente in un centro di formazione accreditato. La Riforma Gelmini ha assegnato una identità più chiara agli istituti professionali (conferire una solida istruzione di base su cui si innesta la specializzazione tecnico professionale); essi però essendo obbligati ad attivare percorsi quinquennali, non possono rilasciare qualifiche al terzo anno se non in accordo con le Regioni, cui fa capo tutta l’istruzione e formazione professionale. È dunque la singola legislazione regionale che stabilisce, nel rispetto dei livelli essenziali definiti a livello nazionale, le modalità di conferimento di qualifiche e diplomi. In questo senso, la ricerca della Fondazione analizza quattro campioni regionali, in cui le soluzioni istituzionali sono state diverse: il Piemonte (creazione di un’offerta formativa unitaria che integri i due sottosistemi dell’istruzione e formazione professionale), la Lombardia (forte valorizzazione degli enti di formazione storicamente presenti sul territorio), Lazio (minore grado di integrazione tra i due sottosistemi), Sicilia (crescita della domanda di formazione professionale). L’aspetto più interessante della ricerca ruota, ad ogni modo, attorno al confronto tra statale/ non statale, ovvero tra il modello della istruzione professionale erogata dagli istituti professionali di Stato e quello della formazione professionale erogata dai centri di formazione professionale. In questo confronto, un ruolo particolare riveste il metodo formativo: più curvato sulla didattica laboratoriale (usata nel 46% dei casi) nei centri di formazione rispetto alla lezione frontale (usata dal 64% delle scuole). In alcuni casi, cioè quando i centri sono aiutati ad esprimere il meglio della loro tradizione, è evidente la importante funzione da essi svolta come strumento di abbattimento della dispersione scolastica. È molto interessante anche l’attenzione per i luoghi e le strutture attraverso i quali vengono trasmessi i contenuti da apprendere: sono i centri di formazione che esprimono una più convinta adesione alla necessità di rendere accoglienti ed esteticamente stimolanti gli ambienti in cui si svolgono le attività. Quanto all’indicatore, molto significativo, concernente le condizioni lavorative dei giovani usciti dai vari percorsi, il 59% degli studenti diplomati nel 2008 negli istituti professionali statali risulta occupato al momento dell’intervista (la rilevazione dei dati si riferisce ai mesi di ottobre e novembre 2010), a fronte del 44 % dei ragazzi che hanno conseguito una qualifica nei centri di formazione (59% in Lombardia). Le parti si rovesciano quando si tocca il tema della coerenza tra titolo di studio e impiego conseguito: nei centri il 57% dei qualificati si esprime positivamente sulla coerenza; tra i diplomati negli istituti statali la percentuale scende al 50%. In conclusione, la ricerca è da apprezzare per la novità dell’impostazione (l’analisi trasversale di istruzione professionale e formazione professionale) e per come fa emergere gli aspetti qualitativi dell’offerta di formazione, rappresentati in una didattica attenta a valorizzare sia il livello dell’istruzione generale, sia quello della preparazione professionale in senso proprio. Insomma, come si stanno ponendo le varie realtà, statali e non statali, di fronte alla trasformazione degli assetti normativi e organizzativi avviata dalla riforma della scuola? Il dossier della Fondazione sottolinea che è dalle “buone pratiche”, cioè da esperienze in atto, che nasce il desiderio di affrontare il cambiamento. Tra queste, le reti che si costituiscono attorno a soggetti eccellenti risultano così importanti da essere di stimolo per i decisori politici. Ancora una volta si dimostra che l’esperienza vince sulle formulazioni più astratte con cui spesso viene trattato il nesso tra cultura e lavoro.
Il Rapporto sulla sussidiarietà 2010.

a cura di Rosalba Picerno