Il 14 ottobre 2010, a Kabul, il rappresentante speciale dell’UE in Afghanistan, Vygaudas Ušackas (inizialmente nominato dal Consiglio con decisione 2010/168/PESC del 22 marzo 2010 e il cui mandato è stato poi prorogato con la decisione 2010/439/PESC dell’11 agosto 2010), e il rappresentante per gli Affari politici del Ministero degli Esteri afgano, Eklil Ahmad Hakimi, hanno concluso, rispettivamente per l’UE e per la Repubblica islamica di Afghanistan, l’Accordo sullo status della missione di polizia dell’UE EUPOL (di seguito, “Accordo EUPOL”). La missione era stata istituita con l’azione comune 2007/369/PESC del Consiglio del 30 maggio 2007 sulla base degli artt. 14 e 25, terzo comma, del TUE, nel testo previgente al Trattato di Lisbona, e aveva il compito di contribuire «in modo significativo all’istituzione sotto direzione afghana di un dispositivo di polizia civile sostenibile ed efficace, che garantirà un’adeguata interazione con il più vasto sistema giudiziario penale, in accordo con la consulenza politica e l’opera di rafforzamento istituzionale della Comunità, gli Stati membri ed altri attori internazionali». La missione, inoltre, «sosterrà […] il processo di riforma che dovrebbe portare ad un servizio di polizia affidabile ed efficiente, che operi conformemente agli standard internazionali nell’ambito dello stato di diritto e rispetti i diritti umani». La durata iniziale della missione, fissata dall’art. 1, par. 1, dell’azione comune 2007/369/PESC, doveva essere di tre anni, con scadenza 31 maggio 2010. Il Consiglio, tuttavia, con decisione 2010/279/PESC del 18 maggio 2010, ha prorogato il termine di ulteriori tre anni, fino dunque al 31 maggio 2013, così come raccomandato l’8 marzo 2010 dal Comitato di politica e sicurezza il quale, sulla base dell’art. 9 dell’azione comune 2007/369/PESC, ha il controllo politico e la direzione strategica di EUPOL.
La decisione 2010/279/PESC prevedeva, peraltro, che «[l]o status del personale dell’EUPOL Afghanistan in Afghanistan, compresi, se del caso, i privilegi, le immunità e le altre garanzie necessarie ai fini del compimento e del buon funzionamento dell’EUPOL Afghanistan, è stabilito in un accordo da concludere in conformità dell’articolo 37 del trattato». Ebbene, l’art. 37 TUE prevede la competenza dell’UE a concludere accordi con uno o più Stati o organizzazioni internazionali nei settori relativi alla PESC, mentre l’art. 218 TFUE indica la procedura da seguire per la stipulazione dell’accordo; essa, come noto, prevede incisive varianti rispetto alla procedura standard, amputandola quasi del tutto del ruolo della Commissione e del Parlamento europeo. Nella PESC, infatti, è, secondo l’art. 218, par. 3, TFUE, l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza che «presenta raccomandazioni al Consiglio, il quale adotta una decisione che autorizza l’avvio dei negoziati e designa, in funzione della materia dell’accordo previsto, il negoziatore o il capo della squadra di negoziato dell’Unione»; inoltre, in virtù del par. 6 della stessa disposizione, il coinvolgimento del Parlamento europeo, in via consultiva o di approvazione, è previsto «tranne quando l’accordo riguarda esclusivamente la politica estera e di sicurezza comune».
L’Accordo EUPOL, approvato, prima della firma del rappresentante speciale Ušackas, con decisione del Consiglio 2010/686/PESC del 13 settembre 2010, si segnala per alcune caratteristiche che, consolidando ulteriormente, nell’ambito della PESC, una prassi inaugurata con l’Accordo, del 16 giugno 2006, con la repubblica gabonese sullo status delle forze dirette dall’Unione europea nella Repubblica gabonese, finiscono con l’attribuire alla missione dell’UE e al suo personale uno spazio di applicazione delle immunità che si spinge ben oltre i limiti concessi da quei «“principi diplomatici” […] pertinenti contenuti nella convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18 aprile 1961», che pure l’art. 1, lett. i), dell’Accordo EUPOL richiama.
Intanto, l’art. 4, par. 7, di tale accordo, nel riferirsi alla libertà di movimento di personale e mezzi della missione, riconosce che essi «possono spostarsi liberamente e senza restrizioni attraverso il territorio dello Stato ospitante, compreso il suo spazio aereo»; esso, tuttavia, è meno perentorio dell’art. 26 della Convenzione di Vienna nell’ammettere deroghe a tale libertà, dovendo essa esercitarsi «tenendo conto della sicurezza, valutata congiuntamente dal capomissione e dalle autorità competenti dello Stato ospitante» (a fronte del testo di detto art. 6, che prevede una libertà di movimento «con riserva delle […] leggi e regolamenti relativi alle zone cui l’accesso è vietato o disciplinato per motivi di sicurezza nazionale»).
In secondo luogo, l’art. 5, par. 3, dell’Accordo EUPOL afferma che «[l]’EUPOL Afghanistan, i suoi beni e averi, ovunque si trovino e chiunque li detenga, godono dell’immunità giurisdizionale totale». Qui, la deviazione rispetto a quei “principi diplomatici” richiamati dall’art. 1 dello stesso accordo appare più evidente, in quanto, allo stato attuale, non è possibile riconoscere la natura assoluta dell’immunità delle organizzazioni internazionali dalla giurisdizione civile dello Stato ospitante, ed anzi è facile rilevare segni di una prassi opposta, che depone a favore di un’immunità relativa (si veda, per tutti, la sentenza della U.S. Court of Appeals for the third circuit del 16 giugno 2010, No. 09-3640, OSS Novalka, Inc. v. European Space Agency, come pure, mutatis mutandis, l’art. 10 della recente Convenzione delle Nazioni Unite del 2 dicembre 2004 sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, non ancora in vigore).
Infine, giusta l’art. 6, par. 4, dell’Accordo EUPOL, «[i]l personale dell’EUPOL Afghanistan gode dell’immunità dalla giurisdizione penale dello Stato ospitante in ogni circostanza», in ciò equiparando i membri della missione ad agenti diplomatici e in tal modo ampliando l’ambito di applicazione dell’immunità dalla giurisdizione penale, normalmente limitata a quella c.d. funzionale (così è, salvo alcune eccezioni, per gli agenti delle Nazioni Unite secondo la Convenzione di New York sui privilegi e immunità delle Nazioni Unite, del 13 febbraio 1946). Per l’immunità dei membri della missione dalla giurisdizione civile, invece, l’art. 6, par. 5, dell’Accordo EUPOL prevede che «[i] membri del personale dell’EUPOL Afghanistan godono dell’immunità dalla giurisdizione civile e amministrativa dello Stato ospitante per quanto concerne le parole pronunciate o scritte e tutti gli atti da essi compiuti nell’esercizio di funzioni ufficiali» (cors. agg.). La stessa norma, tuttavia, prevede un singolare meccanismo di verifica della natura funzionale o meno dell’atto posto in essere da un membro della missione (in ciò riprendendo proprio il citato accordo con il Gabon): infatti, «[p]rima dell’avvio del procedimento dinanzi al giudice, il capomissione e l’autorità competente dello Stato d’origine o l’istituzione UE certificano al suddetto giudice se l’atto in questione è stato compiuto dal membro del personale dell’EUPOL Afghanistan nell’esercizio delle sue funzioni ufficiali»; inoltre, «[l]a certificazione del capomissione e dell’autorità competente dello Stato d’origine o dell’istituzione UE è vincolante per la giurisdizione dello Stato ospitante che non può contestarla».