Corte costituzionale, 19 luglio 2011, n. 234
Norme impugnate e parametri di riferimento
Il Tribunale di Bologna dubita, in riferimento agli articoli 3 e 38 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’art. 1 della medesima legge, nella parte in cui non prevedono che i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, possono optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità, limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.
La disposizione censurata, come integrata dall’art. 2 del decreto-legge n. 299 del 1994 e dalla sentenza n. 218 del 1995, determina un’oggettiva diversità di trattamento tra il lavoratore inabile – titolare di un assegno o di una pensione di invalidità che, al momento del licenziamento, rientri nel novero dei lavoratori aventi diritto al trattamento di mobilità – e quello che abbia, invece, diritto al solo trattamento ordinario di disoccupazione.
Infatti, se nel primo caso, il lavoratore che, a causa del regime di incompatibilità, non può percepire entrambi gli assegni (di invalidità e di mobilità), ha però la facoltà di scegliere tra le due prestazioni, a seconda di quale dei due trattamenti sia, in concreto, più conveniente; nel secondo caso, non ha tale possibilità di scelta e si trova, di fatto, obbligato a beneficiare di quello connesso al suo stato di invalidità. L’impossibilità di optare per il trattamento di disoccupazione in occasione del licenziamento, determina, dunque, per i soli lavoratori inabili non aventi diritto alla mobilità, la concreta inutilizzabilità di tale tutela assicurativa.
Argomentazioni della Corte
La Corte ricorda che il legislatore, nel regolamentare il concorso tra più assicurazioni sociali e, in particolare, tra quelle connesse allo stato di invalidità e vecchiaia e quelle connesse allo stato di disoccupazione, gode certamente della più ampia discrezionalità. Tuttavia, la scelta effettuata deve soddisfare il principio di eguaglianza e di ragionevolezza (sentenza n. 218 del 1995).
In particolare, nel caso oggetto d’esame, la Corte valuta “non ragionevole” la diversa disciplina che connota l’indennità di disoccupazione e l’indennità di mobilità, perché, non essendo connessa a rilevanti differenze strutturali delle due situazioni poste a confronto, risulta irragionevolmente discriminatoria.
La Corte, a differenza delle posizioni assunte dall’INPS e dal Presidente del Consiglio dei Ministri, afferma che “le differenze tra i due emolumenti (…) sono marginali e non giustificano, per i lavoratori non aventi diritto alla mobilità, la mancata previsione del diritto di opzione”. L’indennità ordinaria di disoccupazione e l’indennità di mobilità − valutate non in astratto ma con specifico riferimento alla ratio della disposizione di cui si chiede l’estensione – presentano, nella finalità e nella struttura, assorbenti analogie, perché tali sussidi rientrano nel più ampio genus delle assicurazioni sociali contro la disoccupazione.
La stessa giurisprudenza della Corte costituzionale ha considerato l’indennità di mobilità finalizzata a favorire il ricollocamento del lavoratore in altre imprese ed è, dunque, collegata ad una crisi irreversibile dell’impresa. Essa, cioè, deve considerarsi un vero e proprio “trattamento di disoccupazione” (sentenza n. 184 del 2000).
La corte, in aggiunta, ravvisa un altro elemento discriminatorio della legge 19 luglio 1993, n. 236. Infatti, quest’ultima discrimina i lavoratori disoccupati invalidi, non aventi diritto alla mobilità, anche rispetto agli altri lavoratori disoccupati pienamente validi. I primi, ai sensi della normativa vigente, percepiscono la sola indennità di invalidità (che potrebbe, peraltro, essere solo parziale), mentre i secondi, a partire dal momento del licenziamento, godono del più vantaggioso trattamento, ordinario o speciale, di disoccupazione. Quindi, anche sotto questo profilo, la norma censurata determina una lesione del principio di uguaglianza (sentenza n. 218 del 1995).
Decisione della Corte
La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, nonché dell’articolo 1 della stessa legge n. 236 del 1993, che ha fatti salvi gli effetti prodotti da analoghe disposizioni di decreti-legge non convertiti (decreto-legge 10 marzo 1993, n. 57, decreto-legge 5 gennaio 1993, n. 1, decreto-legge 5 dicembre 1992, n. 472, decreto-legge 1° febbraio 1993, n. 26, decreto-legge 8 ottobre 1992, n. 398, decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478 e decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31), nella parte in cui dette norme non prevedono, per i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, il diritto di optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità, limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato.