Corte costituzionale, 7 giugno 2011, n. 181 – Ancora in tema di espropriazione di pubblica utilità

07.05.2011

Corte costituzionale, 7 giugno 2011, n. 181

Norme impugnate e parametri di riferimento

La Corte di appello di Napoli ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, 42, terzo comma, e art. 1, primo protocollo allegato alla CEDU (così violando l’art. 117, primo comma, Cost., rispetto al quale la disposizione convenzionale opera come norma interposta) – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 4, decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359; dell’art. 16, commi 5 e 6, legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche e integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n.847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come sostituiti dall’art. 14 legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli).

La Corte di appello di Lecce ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli articoli 3 e 117 Cost. – del citato art. 5-bis, commi 3 e 4, del decreto legge n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, nonché dell’art. 40, commi 1 e 2, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A).

Argomentazioni della Corte

La Corte costituzionale, innanzitutto, prende in esame la normativa censurata: l’art. 5-bis, del d.l. n. 333 del 1992, il quale dispone che l’indennità di espropriazione debba essere commisurata al valore agricolo medio annualmente calcolato da apposite commissioni provinciali, valore corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare (comma 5); ed aggiunge che, nelle aree comprese nei centri edificati, l’indennità è commisurata al valore agricolo medio della coltura più redditizia tra quelle che, nella regione agraria in cui ricade l’area da espropriare, coprono una superficie superiore al 5 per cento di quella coltivata della regione agraria stessa (comma 6).

Dunque, una volta compreso le modalità attraverso le quali il legislatore determina il calcolo dell’indennità di espropriazione, la Corte, sulla base della propria giurisprudenza, dispone che “l’indennizzo assicurato all’espropriato dall’art. 42, terzo comma, Cost., se non deve costituire un’integrale riparazione per la perdita subita – in quanto occorre coordinare il diritto del privato con l’interesse generale che l’espropriazione mira a realizzare – non può essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, ma deve rappresentare un serio ristoro” (vedi sentenza n. 173 del 1991; sentenza n. 1022 del 1988; sentenza n. 355 del 1985; sentenza n. 223 del 1983; sentenza n. 5 del 1980). Un’altra importante pronuncia della Corte ha ribadito che “deve essere esclusa una valutazione del tutto astratta, in quanto sganciata dalle caratteristiche essenziali del bene ablato” (sentenza n. 355 del 1985).

Infine, sia la giurisprudenza della Corte costituzionale sia quella della Corte europea concordano nel ritenere che il punto di riferimento per determinare l’indennità di espropriazione deve essere il valore di mercato (o venale) del bene ablato (sentenza n. 348 del 2007).

La Corte ritiene che la norma censurata abbia “un carattere inevitabilmente astratto che elude il ragionevole legame con il valore di mercato, prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il “serio ristoro” richiesto dalla giurisprudenza consolidata della Corte”.

Pertanto, la Corte dichiarata l’illegittimità costituzionale della normativa censurata, perché in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, e con l’art. 42, terzo comma, Cost.

Decisione della Corte

La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con gli articoli 15, primo comma, secondo periodo, e 16, commi 5 e 6, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche e integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come sostituiti dall’art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli).

La Corte, inoltre, dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell’articolo 40, commi 2 e 3, decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).

Infine, la Corte dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 3, del d.l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 117 della Costituzione, dalla Corte di appello di Lecce.

Luca Di Donato