In un’importante decisione del 6 aprile scorso la Court of Appeals del Distretto di Columbia degli Stati Uniti si è pronunciata sulla complessa questione della gestione della rete a banda larga stabilendo che non rientra tra i poteri della Federal Communications Commission (FCC, l’agenzia federale che regola le comunicazioni) stabilire il divieto di discriminazioni di prezzo e di qualità delle connessioni internet da parte dei fornitori di reti internet (nel caso Comcast, la principale compagnia di cavo del paese); in altre parole: la FCC non può imporre la cd. “Net Neutrality”, ossia non può richiedere ai fornitori di reti a banda larga di dare accesso su basi eque a tutto il traffico internet che vi passa.
In breve i fatti. Il caso nasce da molteplici denunce fatte da gruppi di interesse pubblico, supportati anche dal mondo accademico, nei confronti di Comcast – il principale provider di servizi internet via cavo del paese – per avere questa posto delle limitazioni all’utilizzo del peer-to-peer (ossia quel programma che consente lo scambio reciproco di contenuti senza passare dal provider) da parte dei propri utenti. Con un Order del 2007 la FCC ha stabilito, facendo uso dei propri poteri di aggiudicazione (anziché di quelli di regolazione), che la pratica di Comcast contravveniva al diritto degli utenti di accedere a qualunque contenuto legale e di utilizzare i servizi e le applicazioni liberamente scelte, incluso il peer-to-peer, ponendosi in contrasto con il proprio Internet Policy Statement del 2005. Da parte sua, Comcast riteneva di poter restringere l’uso del peer-to-peer in quanto necessario a gestire nel modo più appropriato la capacità (scarsa) della rete. A tale difesa la FCC obiettava che Comcast aveva a disposizione soluzioni meno invasive per gestire il traffico sulla propria rete rispetto alla discriminazione delle comunicazioni peer-to-peer e in generale alla riduzione della capacità della banda trasmissiva. In risposta alla decisione della FCC Comcast si impegnava ad adottare un nuovo sistema di gestione della domanda di capacità trasmissiva e a diffondere alcune informazioni agli utenti. Ciononostante, Comcast decideva di impugnare l’Order della FCC dinnanzi alla Court of Appeals del Columbia District, competente a conoscere tutte le decisioni delle agenzie federali, presentando tre argomenti.
In primo luogo, un difetto di competenza della FCC a decidere sulle modalità di gestione delle reti da parte degli ISP; in secondo luogo, Comcast contestava il ricorso ai poteri aggiudicatori anziché a quelli regolatori, più garantisti sotto il profilo del due process; infine, rilevava il difetto di motivazione, ritenendo l’Order arbitrario e “capricious”.
In diritto. Nelle parole del Giudice Tatel, relatore dell’opinion, la FCC non possiede l’autorità per regolare le modalità con cui un ISP (nel caso Comcast) gestisce la propria rete. La legge istitutiva (il Communications Act del 1934 e.s.m.), infatti, non le riconosce espressamente tale funzione, né un simile potere può ritenersi implicito, basandosi sulla clausola dei cc.dd. “poteri ancillari”, ovverosia sulla Section 4(i), che autorizza la FCC ad adottare atti e regolazioni che possano rendersi necessari per eseguire le proprie funzioni. Affinché la FCC possa esercitare tali poteri ancillari è necessario che dimostri che i propri atti siano “ragionevolmente ancillari rispetto … all’effettivo esercizio delle proprie responsabilità statutarie”, cosa che, nel caso di specie, è mancata. La FCC, secondo la Corte, ha rinvenuto la fonte del proprio potere (implicito) di vietare a Comcast ogni discriminazione nell’uso di internet da parte degli utenti nelle dichiarazioni politiche del Congresso americano, dichiaratosi da ultimo favorevole alla Net Neutrality. Ad avviso della Corte, però, per costante giurisprudenza della Corte Suprema e del D.C. Circuit, le asserzioni politiche non sono base giuridica sufficiente a fondare il potere implicito della FCC nel caso di specie.
Così argomentando la Corte ha annullato l’Order della FCC e garantito la piena review dell’Order, aprendo la via a possibili legittime discriminazioni sull’uso della rete internet a banda larga.
La decisione si segnala per il fatto di segnare un importante passo avanti nel dibattito sulla Net Neutrality, sinora generalmente favorevole a che non vi siano differenziazioni nell’accesso ad internet dei produttori di contenuti (siano essi piccoli blogger o grandi siti di acquisti online) in funzione della loro capacità di pagare tariffe più o meno elevate. Tecnicamente questo è ciò che consente attualmente agli utenti internet di visualizzare con la stessa rapidità (dipendente dal tipo di connessione cui ci si abbona) pagine web di qualsiasi produttore. Questa posizione, portata avanti dalla FCC sin dal 2005 ed esplicitamente sostenuta dall’amministrazione Obama, potrebbe ora risultare recessiva.
La decisione si può leggere qui:
http://pacer.cadc.uscourts.gov/common/opinions/201004/08-1291-1238302.pdf