Chi, prendendo in mano questo libro, volesse interrogarsi su quale il suo oggetto, troverebbe agilmente risposta a partire da quanto già magistralmente esemplato nel retroverso della quarta di copertina (raro esempio di sintesi perfetta); ma non solo, evidentemente, perché seconda ben più ampia risposta troverebbe già nella Prefazione, ove Roberto Cipriani, oltrepassando la tessitura del libro, ne indica nuove strade e nuovi orizzonti aprendone così, volutamente, il raggio di lettura.
Infine, tertium datur, l’esemplare Introduzione di Antonio Cocozza che ne definisce, vorrei dire ne disegna l’ oggetto, gli ambiti e, soprattutto, le prospettive.
Infatti, è questa una caratteristica (anzi, direi di più, un pregio di questo volume) che assegna – pur nelle differenze dei diversi case studies presi in considerazione – assegna alla parte propositiva, sperimentale, innovativa vorrei dire ,un ruolo dominante.
Si tratta, infatti, di materia di non facile approccio, come ogni volta che ci si rivolge diremmo da giuristi ad uno ius condendum. Di qui la difficoltà ed all’un tempo il merito di un panorama quale quello che il volume ci presenta.
Ho parlato di ius condendum, e non solo per deformazione professionale, ma perché in queste pagine, sovente all’orecchio del sociologo del diritto tornano in mente pagine della teoria istituzionale di Santi Romano, in ispecie allorché si viene a delineare la nuova facies assunta dall’impresa/organizzazione.
Ricorda esemplarmente Antonio Cocozza :“ l’impresa/organizzazione non è più una ‘macchina’ ma un organismo intelligente.. è un sistema aperto…capace di autoriprodursi.”(p.18).E’ una bella definizione sociologica anche del concetto di istituzione.
Santi Romano, infatti, nella sua grande opera, L’ordinamento giuridico, allorché ne ha definito le note essenziali, vale a dire quelle che permettono di indagare sulla sua essenza introduce una parola che di per se è necessaria e sufficiente per chiarire la natura dell’istituzione, questa magica parola è appunto, «organizzazione».
Di qui la riformulazione del concetto di «cultura organizzativa» che in tal modo diviene – così in una pregnante definizione – un processo di costruzione della realtà”(Morgan,p.19). Siamo nell’era dell’immagine, e Morgan parla di processo di «immaginizzazione» (Starobinski ne La rélation critique, aveva parlato nello stesso senso di immaginario , restituendo al concetto il secondo significato della sua duplice accezione che lo vede sia come comunicazione con l’anima del mondo (idea che è del romanticismo e del Surrealismo), sia come strumento di conoscenza , necessario allo scienziato per formulare la sua ipotesi.
Ma non solo perché cultura organizzativa è processo di concettualizzazione che fa sì che le organizzazioni non abbiano solo una cultura comune ma siano delle culture in quanto espressione di “ un orizzonte condiviso di significati.” (p.19)
Questa la ragione del mio richiamo a Santi Romano, il quale, quasi un secolo fa, introduceva , appunto, ‘mediante il suo concetto di istituzione (di relazioni, entità, )una visione oggettiva, non volontaristica, del diritto, ove l’universo giuridico non appariva popolato soltanto da individui singoli portatori delle proprie volontà imperiose ( si pensi alla differenza che nel testo è fatta (tra leader e manager)bensì anche di “individui plurali, sociologici : le persone collettive sociali. ’
Quegli individui in grande che non sono uomini singoli, ma associazioni di uomini” ; noi diremmo organizzazioni.
Ho parlato di immaginario ; ora l’immaginario è abitato dalle metafore, e questo volume le percorre , attraversando nuvole(p.19), bolle di sapone(p.20), entrando ed uscendo da una ‘casa di vetro’ (p.422), trepidando di fronte all’ agile figura del ‘trapezista’(p.21), o osservando l’armonia dell’ orchestra(p.428).
Sono le figure del modello di indeterminazione di Popper (le nuvole), del sistema aperto (la bolla di sapone), del modello di trasparenza e visibilità dei prodotti/servizi (la casa di vetro), dell’assoggettamento dei lavoratori flessibili alle dinamiche dei mercati del lavoro (il trapezista), del modello della concertazione (l’orchestra).
Ora benché la metafora possieda un suo proprio linguaggio, tuttavia costruire un mondo, ovvero avviare quel processo di costruzione della realtà”(Morgan,p.19) che è proprio della cultura organizzativa, obbliga a costruirsi un linguaggio ; di qui, prepotente, imprescindibile il discorso sulla comunicazione, anzi sulla (necessaria) cultura della comunicazione della quale questo testo è tutto tramato.
Cultura della comunicazione che però sarebbe errato pensare non comporti anch’essa un forte dato normativo(prescrittivo). Forte, anzi, fortissimo ! E’ il grande Roland Barthes, che nella sua indimenticabile Lezione, ricorda la dimensione prescrittiva della linguaggio. Il ‘fascismo’ della lingua – come lui lo definisce – che risiede nel fatto non di proibire ma di obbligare. (e l’obbligazione è propria della sematica giuridica).
E su questo forse una breve riflessione deve essere fatta. Sappiamo tutti la differenza tra informazione e comunicazione ; ed anche come, comunicare sia infinitamente più che informare : l’uomo si esprime per convincere, vale a dire, per modificare le conoscenze, le opinioni ed i comportamenti degli altri) e questo è in qualche maniera il lato solare ma anche il lato oscuro della comunicazione.
Infatti, comunicare significa rendere comune, ma in questo cum munus, rendere comune, comunicare c’è la radice di munus.
Come già il pharmacon degli antichi, all’un tempo rimedio e veleno, anche il munus, il dono, porta in sé questa bifida ambivalente eredità (timeo danaos ..).
Ora con la rimozione di questa ambivalenza, del lato oscuro, del munus – – rimozione assai risalente nella cultura occidentale ad opera del cristianesimo, con l’introduzione del concetto di Xaris – è venuta meno anche la necessità di sospettare sub-specere del munus della comunicazione.
Ora, se ricordo tutto questo, perché tutti concordiamo sul fatto che lo strumento migliore ai fini della realizzazione degli interessi predicati (ed in non pochi casi l’unico strumento) non sia più il potere, bensì la convinzione vhe diviene pertanto vero e proprio ‘valore aggiunto’ delle dinamiche sociali.
Detto altrimenti, delle cosiddette “tre C”, costrizione, controllo e convinzione, che tradizionalmente costituivano gli strumenti principe usati dalle pubbliche amministrazioni, per realizzare gli obiettivi individuati dal legislatore, le prime due (ovvero il potere pubblico) sono venute meno.
E questo per una serie di fattori che vanno in primo luogo dall’indebolimento ed erosione del rapporto con l’autorità ( potere affievolito, flessibile, debole come il pensiero o mite)
ed in secondo luogo, dell’evoluzione dell’attività amministrativa. Fatto questo non secondario, se si riflette su come l’amministrazione più che consolidarsi in una funzione di controllo e di gestione appaia, invece, sempre più appiattita nella mera erogazione di servizi.
Preclusa la strada della costrizione e del controllo, cioè del potere pubblico, le amministrazioni devono sempre più usare la convinzione .
Di qui la pervasività della comunicazione di cui accennavamo poc’anzi.
Fenomeno peraltro non nuovo, nihil sub sole novi, perché lo ricorda J.J.Rousseau nel suo Saggio sull’origine delle lingue : ‘Nei tempi antichi, durante i quali la persuasione sostituiva la forza pubblica, l’eloquenza era necessaria’. Oggi il nome che assume l’eloquenza è comunicazione e lo strumento che essa usa attraverso la dialogicità della dimensione fàtica è la procedimentalizzazione come elemento di attenuazione dell’ autoritatività dell’azione.
Si avverte, infatti molto antiautoritarismo in questi discorsi sulla mediazione della comunicazione e me ne rallegro, la comunicazione sempre più sta diventando questo irenico mondo (si pensi all’Habermas della Teoria dell’agire comunicativo) dal quale appaiono bandite parole minacciose come autorità o sopraffazione.
Ma sono davvero bandite ? E ad esempio, davvero il discorso assertivo è meno autoritario ? Infatti, se comunicare è convincere, ovvero modificare le conoscenze, le opinioni ed i comportamenti degli altri, ecco allora il terzo grande tema di questo volume il tema, l’antico sempre nuovo tema dell’etica.
Agli orecchi del sociologo il tema del rapporto tra etica ed economia rinvia immediatamente quella grande opera che è L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber, ma non solo e lo ricorda di nuovo Cocozza, in Italia già Luigi Sturzo parlava di diseconomia, per indicare un economia priva di etica. Sono ancora gli interrogativi della filosofia del diritto, ora nel nostro caso l’ancoraggio all’etica avviene attraverso il recupero di quell’individuo elevato a valore ( la definizione è di Norberto Bobbio) che è la persona.
Il concetto di persona diviene pertanto il fondativo principio di imputazione dell’azione organizzativa, ed allora, il cammino diviene lungo ed asperrimo e bisogna prestarvi attenzione (p.455), e diviene l’ultima metafora, quel meta-odòs, quel metodo che ci insegna sempre la maniera di arrivare e ci arricchisce mentre lo percorriamo.