SUI LIMITI DEL DIRITTO D'ACCESSO ESERCITATO DA CONSIGLIERI COMUNALI NEI CONFRONTI DEGLI ATTI ASSUNTI DAL COMUNE (TAR Campania – Napoli – Sez. VI, 2 dicembre 2010 n. 26573)

14.05.2010

La sentenza in oggetto merita di essere segnalata perché offre interessanti spunti ricostruttivi in tema di coordinamento delle disposizioni relative all’accesso agli atti con quelle relative all’esercizio delle prerogative proprie dei componenti elettivi degli enti locali.

La controversia prende le mosse dalla richiesta di alcuni consiglieri comunali di minoranza di un Comune volte ad ottenere l’accesso agli atti relativi alla riscossione delle imposte ICI di competenza dello stesso Comune, accompagnata dalla precisazione che i documenti in questione venivano richiesti al fine di poter espletare al meglio le funzioni di consiglieri comunali e che i dati in essi contenuti sarebbero stati trattati con la riservatezza dovuta in considerazione delle funzione ricoperta dagli istanti medesimi.

L’Amministrazione comunale accoglieva solo in parte tale richiesta, consentendo la sola visione degli atti, i quali avrebbero altresì dovuto essere in alcuni punti “oscurati” per ragioni di privacy, qualificando l’istanza dei consiglieri ai sensi e nelle forme di cui alla l. n. 241 del 1990 e non, come sostenuto dai consiglieri ai sensi dell’art. 43, co. 2, del d.lgs. n. 267 del 2000.
In via preliminare, il TAR ritiene necessario precisare come l’art. 25 della legge n. 241 del 1990 ed oggi anche l’art. 116 c.p.a. caratterizza le controversie sull’accesso agli atti nei termini di un giudizio di accertamento e di condanna stante la prevista pronuncia, in caso di accoglimento del ricorso, dell’ordine di esibizione dei documenti richiesti. La descritta natura del giudizio implica che eventuali integrazioni della motivazione del diniego da parte dell’Amministrazione devono ritenersi senz’altro consentite, in quanto utili ad accertate appunto l’esistenza del diritto alla luce dei parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte per giustificarne il diniego (Cons. Stato, sezione quinta, 11 maggio 2004 n. 2966 e, omisso medio, Tar Puglia, Bari, sezione prima, sentenza 4 novembre 2010, n. 3859).

Nel merito, il Collegio ha riconosciuto anzitutto che i consiglieri comunali di minoranza rivestono una posizione qualificata per accedere agli atti formati dall’amministrazione attiva del proprio Comune.
Tale conclusione discende, secondo il TAR da quanto stabilito dal già richiamato art. 43, co. 2, del d.lgs. n. n. 267 del 2000, a tenore del quale “i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.

Rifacendosi ad un precedente del Consiglio di Stato (Sez. V, 17 settembre 2010, n. 6963), la Sez. VI risolve agevolmente il dubbio relativo ai limiti dell’accesso esercitabile dai consiglieri comunali ribadendo come “i consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere di valutare – con piena cognizione – la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell’ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale“.

Il Consiglio di Stato, dunque, distingue “Il diritto di accesso loro riconosciuto” da quello genericamente inteso, ravvisando l’esistenza di “una ratio diversa” della prerogativa attribuita dall’art. 43, co. 2, del d.lgs. n. 267 del 2000, in quanto “mentre in linea generale il diritto di accesso è finalizzato a permettere ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti per la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, quello riconosciuto ai consiglieri comunali è strettamente funzionale all’esercizio del proprio mandato, alla verifica e al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell’ente locale (Cons. Stato, sezione quarta, 21 agosto 2006, n. 4855) ai fini della tutela degli interessi pubblici (piuttosto che di quelli privati e personali) e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività (Cons. Stato, sezione quinta, 8 settembre 1994, n. 976)“.

Sulla scorta di tali considerazioni, si comprende agevolmente anche come la richiesta di accesso dei consiglieri comunali non sia gravata da alcun particolare onere di motivazione, essendo la ragione della richiesta giustificata ipso facto dalla carica rivestita. Anzi, osserva il TAR come il diritto di accesso appare ancor più meritevole di tutela qualora a formulare l’istanza siano consiglieri di minoranza, ai quali, in virtù dei principi di democrazia (recepito anche dall’art. 44 del d.lgs. n. 267 del 2000) vengono attribuiti particolari compiti di controllo dell’operato della maggioranza e, quindi, dell’esecutivo.

Né possono essere validamente opposte ai consiglieri comunali eccezioni fondate sulla riservatezza dei dati contenuti negli atti per i quali si è formulata istanza di accesso in quanto, sempre secondo il Consiglio di Stato “il diritto del consigliere comunale ad ottenere dall’ente tutte le informazioni utili all’espletamento del mandato non incontra neppure alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato al segreto d’ufficio”.
L’unico limite alla richiesta di accesso formulata da consiglieri comunali, dunque, è quello del divieto posto espressamente e direttamente dalla legge avendo riguardo alla particolare natura dell’atto. Il tutto ovviamente, ferma restando l’applicabilità, in caso di utilizzo improprio dei dati ai quali si è avuto accesso delle sanzioni penali previste dall’art. 167 del codice in materia di protezione dei dati personali e del codice penale.

Il Collegio, inoltre, esclude che i ruoli relativi al pagamento delle imposte comunali possano considerarsi come documenti sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 24 della l. n. 241 del 1990, non costituendo essi documentazione interna ai singoli procedimenti tributari, “per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano”.

Del pari, il TAR ha escluso che tali atti possano contenere dati sensibili, ancorché anche tale qualificazione non ne precluderebbe in ogni caso l’accesso.

Ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 196 del 2003, per dati sensibili si intendono solo  i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.

Per converso i ruoli oggetto di richiesta di accesso vanno qualificati alla stregua di meri dati personali, ossia qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale.

A cura di Filippo Degni