Consiglio di Stato, Sez. V, 4 agosto 2010, n. 5214, in tema di affidamento di un servizio pubblico locale ad una società mista con gara ad evidenza pubblica per la selezione del socio privato e dei relativi limiti allo svolgimento di attività extramoenia

10.05.2010

L’affidamento di un servizio pubblico ad una società mista appositamente costituita con un socio privato operativo, scelto mediante procedura ad evidenza pubblica, è da equiparare all’affidamento mediante gara. Tale procedura garantisce, infatti, il rispetto dei principi comunitari in tema di libero mercato, in quanto non realizza un affidamento diretto alla società, ma piuttosto un affidamento con procedura di evidenza pubblica dell’attività operativa della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta all’individuazione di quest’ultimo. Il modello, in altre parole, trae la propria peculiarità dalla circostanza che la gara ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato abbia ad oggetto, al tempo stesso, l’attribuzione dei compiti operativi e quella della qualità di socio.

Relativamente ai limiti che tale società mista affidataria incontra per lo svolgimento di attività extramoenia, va ribadito l’orientamento espresso in una precedente pronuncia della medesima Sezione (12 giugno 2009 n. 3767), secondo cui «la sussistenza di un interesse di una società mista alla partecipazione ad una gara in ambito extra territoriale non può che essere valutata dall’ente esponenziale della comunità di riferimento, ossia il Comune che ha costituito la società».

Da tale assunto, deriva che, ove il Comune, che detiene la quota maggioritaria del capitale sociale, autorizzi una modificazione statutaria finalizzata a consentire la partecipazione alla gara in questione, non sembra si possa dubitare che abbia ritenuto la gestione di una nuova farmacia come rispondente all’interesse della comunità di riferimento.
Nel caso di specie, inoltre, deve ritenersi inconferente il richiamo all’art. 3, comma 27 della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008).

Ad avviso del Collegio, infatti, la norma, che, nella sostanza, riproduce l’art. 13, comma 1, del d.l. 4 luglio 2006 n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006 n. 248, si riferisce, per giurisprudenza costante, alle c.d. società strumentali, ossia che svolgono attività amministrativa per conto dell’ente territoriale, ma per dettato normativo espresso non si applicano alle società che svolgono servizi pubblici.

Sul punto, i Giudici richiamo la sentenza della Corte costituzionale n. 326 del 2008, nella quale si è affermato che «[tali] disposizioni sono fondate sulla distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività d’impresa di enti pubblici. L’una e l’altra possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse. Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza..[Esse] dunque…mirano a separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d’impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione. Non è negata né limitata la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative, rimediando a una frequente commistione, che il legislatore statale ha reputato distorsiva della concorrenza».

a cura di Luigi Alla


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