Corte costituzionale, 18 febbraio 2010, n. 52
Giudizi di legittimità costituzionale in via principale promossi dalle Regioni Veneto e Calabria avverso lo Stato
Norme impugnate e parametri di riferimento:
E’ impugnato l’art. 62, commi 01, 1, 2 e 3 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e dell’art. 3 della legge 22 dicembre 2008, n. 103, il quale detta una disciplina volta a contenere l’uso degli strumenti finanziari derivati da parte delle Regioni e degli Enti locali, in modo da contenere l’indebitamento. Sarebbero, in particolare, violati gli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, nonché il principio di leale collaborazione.
Argomentazioni della Corte:
Ricostruita la ratio della disposizione, la Corte evidenzia come essa contenga una duplice normativa, la prima a regime (la quale prevede una ricognizione della tipologia dei contratti relativi agli strumenti finanziari derivati), la seconda transitoria (la quale fa divieto agli enti territoriali di stipulare, per un determinato periodo di tempo, contratti relativi agli strumenti finanziari derivati). Nel complesso, la contrattazione relativa agli strumenti finanziari derivati si colloca nel mercato mobiliare che, pur avendo conosciuto un processo di privatizzazione, ha visto confermati importanti strumenti di diritto pubblico, a partire da quelli di vigilanza affidati alla Banca d’italia e alla Consob, finalizzati a tutelare la stabilità del mercato ed i risparmiatori. Tale disciplina può essere ricondotta a tre distinti ambiti materiali: la competenza esclusiva statale in materia di tutela del risparmio e mercati finanziari (art. 117, co. 2, lett. e); la competenza esclusiva statale sull’ordinamento civile (art. 117, co. 2, lett. l); il coordinamento della finanza pubblica, di potestà legislativa concorrente. I primi due ambiti materiali risultano prevalenti nella disciplina legislativa in esame. Risultano quindi infondate le censure sollevate dalle ricorrenti in rapporto all’art. 117 della Costituzione.
Tali rilievi consentono di ritenere infondate anche le censure relative alla disciplina transitoria, la quale trova la sua giustificazione nella necessità di impedire che le finanze degli enti siano sottoposte ad esposizioni debitorie molto gravose; è questa una lettura che appare coerente con l’ultimo comma dell’art. 119, che vincola gli Enti locali a ricorrere all’indebitamento solo per finanziare le spese di investimento (il legislatore ha infatti ritenuto che la stipula di contratti relativi a strumenti finanziari derivati, per la sua natura altamente rischiosa e il suo carattere aleatorio, non possa essere qualificata come attività di investimento).
Decisione della Corte:
La Corte dichiara in parte inammissibili e in parte non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle ricorrenti.
Giurisprudenza richiamata:
– Sulla legittimità dei vincoli alla spesa corrente delle Regioni imposti dalla legislazione statale per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva: Corte cost., sentt. n. 417 del 2005, n. 289 del 2008 e n. 237 del 2009;
– Sulle nozioni di “indebitamento” e di “investimento”: Corte cost., sent. n. 425 del 2004