Roma, 26 ottobre 2010
Il 26 ottobre, presso il teatro Don Orione in Roma, è stato presentato il Dossier Statistico 2010 sull’immigrazione in Italia, redatto, per il ventesimo anno consecutivo, dalla Caritas e dalla fondazione Migrantes. Al centro della presentazione del rapporto l’importanza dell’immigrazione per l’economia e la società italiana; importanza che richiederebbe una maggiore e più complessiva attenzione al tema da parte del mondo politico e delle istituzioni.
Ad aprire gli interventi è stato Monsignor Enrico Feroci, che, ricordando la figura di Monsignor Luigi Di Liegro, indimenticato direttore della Caritas diocesana di Roma, ha espresso la sua preoccupazione per la situazione attuale del dibattito sull’immigrazione in Italia ed ha auspicato la promozione di una positiva convivenza tra cittadini ed immigrati.
Ha fatto seguito la relazione di Franco Pittau, coordinatore del dossier. Gli immigrati regolari nel 1990 erano circa 500 mila. Oggi sono 5 milioni. Con l’aumento dell’immigrazione è diminuita però, specie negli anni 2000, la capacità di inquadrare il fenomeno, mentre sono aumentate ostilità e diffidenza.
Manca nella nostra società un clima positivo; manca, nonostante il diffuso benessere, speranza nel futuro e creatività. Siamo in un momento in cui il nostro Paese sta perdendo quote nel commercio internazionale, non riesce ad incrementare la produttività, ad attirare investimenti esteri, il rapporto debito/Pil cresce (a fine anno, secondo alcune stime, potrebbe superare il 128%): il nostro Paese è in affanno. In questo scenario come si colloca l’immigrazione? L’immigrazione porta manodopera. Oggi i lavoratori immigrati sono circa 2 milioni. Senza di loro l’economia non si terrebbe in piedi, la nostra società sarebbe impensabile: si pensi alla loro attività di assistenza alle famiglie, al loro impiego nell’edilizia, nell’agricoltura, etc. Trattasi spesso di persone che, nonostante un elevato livello di istruzione e qualificazione professionale, accettano lavori che noi non siamo più disposti a fare. Ciò ha contribuito in misura rilevante ad un miglioramento della collocazione professionale di noi cittadini italiani. Si pensi poi alla previdenza sociale: gli immigrati sono in media più giovani di noi e i contributi che pagano vanno a vantaggio del nostro sistema previdenziale (si pensi che di quanto versato solo il 2% viene poi “redistribuito” a stranieri). Si può, dunque, affermare che il nostro sistema previdenziale si sta risanando grazie a questi contributi.
In Italia un ostacolo all’integrazione è rappresentato dalla rigidità della normativa. Si pensi a come sino a poco tempo fa l’immigrato giunto in Italia avesse 1 anno per trovar lavoro, mentre oggi ha 6 mesi: è quasi impossibile trovare lavoro in un paese toccato dalla crisi (o a chi cerca lavoro in un’area travolta dal terremoto come quella de L’Aquila). Si guardi anche al permesso di lavoro stabile, indispensabile, per esempio, per ottenere un mutuo. Ciò va anche a nostro danno, perché riduce le possibili iniezioni di denaro nella nostra economia.
Come gestire, allora, la presenza degli immigrati regolari sul nostro territorio? Di certo non minimizzando i problemi: basti pensare alle problematiche connesse agli alloggi, ai trasporti, alla scuola, etc. Accettare l’altro richiede risorse: risorse proporzionate a problemi che sono grandi quanto gli obiettivi che bisogna porsi. Superando la “sindrome da invasione” che percorre la società, spaventata dai numeri diffusi sull’immigrazione. Il punto è che bisogna iniziare a fare informazione senza dare notizie sbagliate: è fondamentale diffondere numeri veri per superare questa paura. Non è, per esempio, vero che il tasso di criminalità sarebbe più alto tra gli immigrati (ed alcuni recenti numeri diffusi a riguardo dal CNEL in proposito sono sbagliati). Non è altrettanto vero che gli immigrati ci costerebbero troppo: in realtà essi pagano al sistema-Italia molto più di quanto ci costano (si pensi alla previdenza sociale, cui si è fatto riferimento prima).
Non è possibile una politica dell’accoglienza senza investire soldi, risorse. Si pensi alla Germania, che spende un’enormità di risorse per l’integrazione.
Il Governo ha presentato a giugno un piano per l’integrazione, che presenta tanti punti interessanti. Per esempio interessante è l’importanza riservata al requisito della lingua italiana. Ma la lingua italiana va insegnata e bisogna destinare risorse all’insegnamento della stessa. A proposito poi del permesso di soggiorno “a punti”, è previsto che la certificazione dell’italiano debba esser pagata dagli immigrati: perché non la paga lo Stato?
Interessantissima poi la proposta di superare l’attuale impossibilità di accesso agli uffici pubblici da parte degli stranieri.
La parola d’ordine di una politica dell’immigrazione non può essere il contrasto degli irregolari: dev’essere “cultura dell’altro”. Solo così supereremo la fase di stanchezza che vive l’Italia.
È intervenuto poi Radwan Khawatmi, per dare la sua testimonianza di straniero immigrato, che ha avuto successo in Italia come imprenditore. Questi ha messo in evidenza l’impatto positivo del lavoro degli immigrati – da lui definiti “nuovi italiani” – sull’economia italiana, smentendo l’opinione secondo cui essi ruberebbero lavoro agli italiani: essi, in realtà, hanno ridato ossigeno a mestieri ormai abbandonati dagli italiani, lavorando in concerie, carpenterie, raccolte stagionali, imprese edili, società di servizi, etc.; realtà, oggi, in molti casi in grande crescita nonostante la crisi, proprio grazie ai “nuovi italiani”. L’immigrazione, dunque, “non è una questione di lavavetri o di delinquenti”.
I lavoratori “nuovi italiani” pagano all’INPS circa 9 miliardi di euro all’anno, senza ricevere nulla in cambio: è grazie a questi contributi che si sta risanando l’INPS. Anche questo prova come i nuovi italiani siano ormai una colonna portante dell’economia del nostro Paese. Eppure, proprio in quanto stranieri, sono quelli che stanno pagando più duramente la crisi economica: si pensi ai licenziamenti, di cui prime vittime in genere sono i lavoratori stranieri ed alle difficoltà connesse al limite di 6 mesi entro cui devono trovar lavoro per non esser costretti a lasciare il territorio italiano (od a restarvi da clandestini).
La risorsa-immigrati va valorizzata. E la Bossi-Fini ormai va adeguata al notevole incremento delle presenze degli stranieri oggi in Italia. In questo contesto si inserisce la proposta di un Alto Commissariato per l’immigrazione: non si possono trascurare, come oggi di fatto avviene, 5 milioni di nuovi cittadini né lasciare questa politica a partiti dalle tendenze evidentemente razziste.
Accanto all’aspetto economico, c’è quello sociale. Si pensi all’accesso all’istruzione o all’’esercizio del culto. A quest’ultimo proposito, c’è necessità che la politica si occupi di questi temi: si pensi agli Imam, i quali devono essere controllati nell’esercizio delle loro funzioni; esercizio che deve avvenire nel rispetto delle regole e dei valori democratici del nostro Paese. Sinora, invece, su questi temi ci sono state solo provocazioni (si pensi ai porci davanti alle moschee, od al rapporto con il dittatore Gheddafi).
C’è poi la questione del diritto al voto: perché chi lavora e rispetta le leggi non ha diritto al voto amministrativo? “Non si deve aver paura dei diritti democratici”: l’integrazione non può prescindere dalla partecipazione.
È seguita la relazione di Monsignor Guerino Di Tora, il quale ha proposto un discorso di valori, capace di riportare il messaggio della Chiesa sul tema dell’immigrazione. “L’immigrazione interpella nell’ottica del bene comune”. L’immigrazione va letta storicamente. Senza negare le problematicità. Se, nella nostra storia passata, da immigrati abbiamo chiesto rispetto, da ospitanti dobbiamo darne.
È arrivato il momento, oggi, di fare un salto in avanti: bisogna passare da una società multiculturale ad una società interculturale. Gli scenari più realistici vedono l’Italia raggiungere a metà del secolo la posizione di Paese europeo con maggior numero di presenze di immigrati. È necessaria un’interculturalità che superi l’estraneità del diverso; estraneità che, invece, resta nel modello del multiculturalismo. “Multicultura”, del resto, è un dato di fatto, mentre “intercultura” è una strategia, un confronto vero, una mediazione tra differenze. Secondo la Chiesa cattolica il diritto all’accoglienza va affiancato al dovere del rispetto delle leggi del Paese che accoglie. D’altro canto ci vuole buonsenso e non sovrapporre “immigrati” e “delinquenti”. Il fenomeno delle migrazioni può essere un’occasione provvidenziale per la diffusione di una cultura della tolleranza e dell’accoglienza rispetto alla differenze: una via per compensare almeno in parte gli squilibri esistenti tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Anche per questo ogni immigrato è una risorsa.
È, dunque, necessario aggiornare l’agenda degli impegni pubblici. Ci vuole una nuova sensibilità sociale. “È inaccettabile una doppia verità”, dove ad una retorica buonista fanno poi seguito scelte razziste. Perché essere diffidenti verso chi professa altri credo religiosi? Perché discriminare chi ha un colore di pelle diverso dal nostro? Perché giustificare il pensiero unico contro i Rom? Perché non facilitare l’accesso alla cittadinanza a chi nasce in Italia? Perché ritenere che gli stranieri non debbano avere accesso ai servizi previdenziali?
L’immigrazione comporta problemi, ma fondamentalmente è un’opportunità. L’Italia ha bisogno di voglia di ricominciare, di riprendere a sognare: si deve aprire alla solidarietà. I problemi dell’immigrazione devono entrare nell’agenda politica, che non può contemplare solo politiche di contrasto alla clandestinità. “L’immigrazione è un segno dei tempi”, come insegnava Papa Giovanni XXIII. Contrastarla non è fare il bene dell’Italia.
L’incontro si è chiuso con l’intervento dell’ Assessore al Lavoro, Formazione professionale e Politiche sociali della giunta regionale del Lazio, Mariella Zezza, la quale, dopo aver proposto di introdurre la felicità interna lorda al posto del PIL per misurare l’apporto degli immigrati nel sistema Italia, ha illustrato i dati dell’immigrazione nel Lazio e le iniziative contenute nell’agenda della Regione per fronteggiare le problematiche dell’inclusione.