Il 16 e 17 aprile si è tenuto, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, l’incontro primaverile del Gruppo San Martino, sul tema “La legge sul procedimento amministrativo venti anni dopo”.
L’evidente ampiezza degli spunti di riflessione che l’oggetto dell’incontro suggerisce è stata gestita attraverso il ricorso ad una formula che ha affidato l’intera discussione ad interventi programmati di giovani studiosi, preceduti e chiusi dalle relazioni di due importanti testimoni, rispettivamente il Prof. G. Pastori e il Prof. G. Corso, ed animati da un interessante dibattito aperto, che ha visto il coinvolgimento di tutti i partecipanti. Il sabato mattina è stato dedicato alla discussione sugli ipotetici temi cui dedicare i prossimi incontri del San Martino.
La scelta di una simile impostazione per l’incontro si pone in continuità con una prassi già consolidata, ed in particolare con un precedente convegno del Gruppo, avente ad oggetto sempre la legge sul procedimento amministrativo, tenutosi nel 2000 ad Urbino, rispetto al quale Palermo rappresenta il tentativo di riflettere e dare risposta, a dieci anni di distanza e alla luce delle intervenute modifiche legislative, agli interrogativi posti in quella sede.
In particolare, la riflessione si è mossa su linee guida volte ad indagare cosa abbia rappresentato l’approvazione della legge 241 per il diritto pubblico ed amministrativo italiano, in termini di funzionamento della macchina amministrativa, ma anche, come è stato più volte sottolineato nel corso del dibattito, in termini di tutta quella serie di attività da essa regolate e che trovano un sostrato giuridico “oltre il procedimento”. Si è tentato poi di fare un quadro del modo in cui la legge stessa è riuscita, nel corso degli anni, a modificare i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino, e di dare una risposta alla domanda relativa all’impatto che la legge 241 ha avuto sull’intera cultura amministrativa italiana.
Una prima riflessione su questi ed altri quesiti, scaturenti dalla analisi dei singoli istituti della legge effettuata negli interventi programmati degli studiosi, è stata introdotta dal Prof. Pastori.
La legge in questione ha rappresentato un punto di svolta nei rapporti tra amministrazione e cittadino, e le soluzioni da questa introdotte, nonostante i limiti persistenti, portano a ragionare in termini di “sistema 241”, alla luce di una serie di ragioni, la prima delle quali è connessa alla copertura costituzionale che la legge ha dato ai principi in essa enunciati. Se è pacifico il riferimento all’art. 97 Cost., di cui la legge costituisce attuazione, e agli altri principi di elaborazione giurisprudenziale in materia più strettamente procedimentale, di più complessa lettura sembrerebbe il riferimento all’art. 117, co. 2, lett. m, soprattutto in ragione di un necessario ed adeguato coordinamento con il legislatore comunitario, oltre che con quello nazionale. L’aver affrontato in termini di obblighi e diritti il tema dei rapporti tra apparato amministrativo ed interessati, d’altro canto, introducendo tutta una serie di garanzie, ha aperto la strada alla democratizzazione del procedimento stesso, in linea con la progressiva definizione di uno “statuto” della cittadinanza, in Italia e in Europa. E questo, nonostante i problemi di coordinamento tra il “principio di sostanzialità”, derivante dalla enunciazione delle garanzie in questione, e il più recentemente introdotto “principio del risultato” (con particolare riferimento ai problemi lasciati aperti dalla formulazione dell’art. 21-octies).
Per queste macro ragioni – all’interno delle quali si collocano ulteriori riflessioni, tra cui quelle in merito al perfezionamento della disciplina dei pareri, agli strumenti di “concentrazione” dei procedimenti, alla partecipazione dei cosiddetti interessi a valenza plurima, a tutti quegli altri aspetti che vanno al di là o, come si è detto, “oltre il procedimento” – la valutazione complessivamente positiva della legge 241 non può prescindere da una caratterizzazione in chiave sistemica della stessa, in ragione delle implicazioni di cui si è dato brevemente conto, e nonostante i molti passi in avanti che a venti anni dalla sua approvazione sono ancora necessari.
I brevi interventi, della durata di 8 minuti ciascuno, dei diciotto studiosi che hanno seguito la relazione del Prof. Pastori, hanno toccato diversi aspetti tra quelli di maggiore interesse rispetto ai singoli contenuti della legge. Tra ciascun gruppo di interventi è stato lasciato spazio ad un interessante dibattito ed ai liberi interventi dei presenti.
Nell’ordine, sono intervenuti: Elisa Cavasino, Principi costituzionali ed europei, legge generale sul procedimento e differenziazione del modello generale fra legislazione statale e regionale nella giurisprudenza costituzionale; Carmen Vitale, I principi fondamentali dell’attività amministrativa: verso un’amministrazione “diligente”?; Antonella Spezzati, Obbligo di conclusione del procedimento e responsabilità dell’amministrazione; Tommaso Bonetti, Le deroghe all’obbligo di motivazione: venti anni dopo; Marco Brocca, I rapporti tra la legge 241/90 e i procedimenti d’emergenza; Silvia Pellizzari, L’art. 10 bis della legge 241 del 1990: le potenzialità del dialogo procedimentale nel contesto della semplificazione; Chiara Cudia, Procedimento amministrativo e interessi ultraindividuali: una interpretazione centrata sul soggetto; Ignazio Impastato, Il principio consensuale prevale sul principio concorrenziale: anzi no!; Francesco Rota, Efficacia e resistenza giuridica degli accordi tra pubbliche amministrazioni; Fulvio Cortese, La legge sul procedimento e i problemi del coordinamento amministrativo; Monica Delsignore, La mancata produzione della valutazione tecnica ed i suoi riflessi sul procedimento; Lorenzo Saltari, L’espansione del modello DIA. Spunti da una comparazione tra la “DIA generale” e la DIA per la banda larga; Benedetto Ponti, Le vicende del vizio di incompetenza tra dequotazione e resistenza; Giulia Mannucci, La convalida in corso di giudizio: spunti ricostruttivi alla luce del mutato regime d’invalidità dell’atto; Anna Simonati, La legittimazione passiva all’accesso tra interventi normativi e suggestioni giurisprudenziali; Francesco Ferrara, La silenziosa modifica della normativa sul diritto di accesso (art. 25 l. 241 del 1990) operata dalla legge finanziaria per il 2010: l’abolizione del difensore civico: gli archivi della p.a. pauperibus clausi sunt?; Miriam Allena, Disciplina generale del procedimento e ordinamento autonomistico; Caterina Ventimiglia, L’art. 29 della l. n. 241 del 1990 e l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina: il legislatore va “oltre il procedimento”.
Dal punto di vista sistematico, tutti gli interventi sono stati ripresi ed analizzati nella relazione conclusiva del Prof. G. Corso, che ha tenuto conto, da un lato, dell’attività di analisi dei singoli istituti svolta da ciascun giovane studioso, dall’altro, delle valutazioni circa il bilancio complessivo sull’attuazione della legge, effettuate nel corso degli interventi liberi, prevalentemente dai professori che hanno preso parte al dibattito in sala.
La relazione ha preso inizio dal problema delle fonti connesso alla legge 241, mettendo in luce due diversi aspetti dello stesso: da un lato la complessa relazione tra competenza statale e competenza regionale in materia, dall’altro il rapporto tra legge sul procedimento e singole leggi di settore. In generale, la non semplice formulazione dell’art. 29 della legge 241, che deve le sue asimmetrie ai processi di stratificazione normativa cui la legge è andata incontro, fissa oggi obblighi, oltre che per le amministrazioni statali e gli enti pubblici, anche per i diversi livelli territoriali di governo. Al di là della possibilità di configurare o meno gli elementi elencati nell’articolo in questione come prestazioni – cosa che ha fatto interrogare la dottrina, oltre che alcuni dei relatori presenti, circa l’effettiva copertura costituzionale ai sensi della lettera m, art. 117, co. 2 -, resta l’evidenza che le «prestazioni» o «garanzie» citate nell’art. 29 come limitazioni al legislatore regionale, non sono altro che la derivazione diretta di principi che si impongono correttamente allo stesso legislatore come obblighi inderogabili, in virtù di vincoli costituzionali e comunitari. Principi che hanno portata «espansiva», come si evince da una corretta interpretazione delle norme dettate dalla legge in materia, ad esempio, di motivazione, secondo tema trattato dal relatore. Se da un lato, infatti, potrebbe trarsi dal generale “obbligo di diligenza”, che si impone all’amministrazione in virtù di una lettura sistematica dei principi fondamentali che regolano l’attività amministrativa, una (probabile) espansione del generale obbligo di motivazione e comunicazione, dall’altro, in relazione alla più particolare formulazione dell’art. 10-bis, andrebbe messa in luce la valenza difensiva dello stesso articolo in materia di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, a testimonianza di una impostazione della legge 241 che tende sempre più a configurarsi non solo (o non tanto) come legge sull’amministrazione, ma come legge per il cittadino innanzi all’amministrazione.
L’altro argomento trattato in modo trasversale nei vari interventi, come ha sottolineato il Prof. Corso, è stato quello della partecipazione, con particolare rifermento alla legittimazione degli interessi ultraindividuali alla stessa. A questo proposito è emersa l’esigenza di attribuire alla disciplina in questione una lettura che tenga conto della evidente impossibilità di dare un esercizio capillare al diritto di partecipazione, e che, al di là della retorica, sia in grado di contemperare in modo realistico simili istanze partecipative con il principio del buon andamento.
Si è dato conto, poi, degli ulteriori ambiti su cui si sono soffermati gli interventi, tra cui la disciplina sugli accordi, che di fatto non ha registrato numerosi casi applicativi, dimostrando la difficile praticabilità della scelta effettuata dal legislatore; le disposizioni in materia di DIA, riguardo alle quali è emersa l’auspicabilità di una lettura (e di una ricaduta applicativa) non solo in termini di semplificazione, ma anche in termini di meccanismo in grado di ingenerare pratiche liberalizzanti dei settori coinvolti; la conferenza di servizi, vista, tra l’altro, come il tentativo di risolvere il problema della moltiplicazione delle sedi decisionali.
In conclusione, la valutazione complessiva emergente dalla analisi dei diversi aspetti citati, oltre che dalle singole relazioni, è positiva: nonostante le sue ombre i limiti persistenti (si ricordano soltanto, tra gli altri, la disciplina in materia di validità e invalidità, e segnatamente l’art. 21-octies, con la degradazione del vizio di incompetenza a vizio formale; la mancata integrazione con norme di natura processuale; la disciplina sugli accordi), la legge 241 ha avuto il merito di porre in essere una certa rivoluzione nel mondo dei rapporti tra amministrazione e cittadino, ma non solo. Essa ha altresì ingenerato un mutamento nella cultura amministrativa di non trascurabile importanza.
Le maggiori disfunzioni, allora, sarebbero da analizzare anche sotto l’aspetto applicativo, ed imputabili, più che alle singole disposizioni della legge, alle resistenze dell’organizzazione di fronte alle stesse.
Ne è esempio il diritto di partecipazione. Si è già detto delle perplessità espresse nel corso del dibattito a proposito delle norme ad esso relative. Tuttavia, applicando all’analisi sin qui condotta schemi che derivano dalla scienza della politica, è possibile assumere come data l’esistenza, in ciascun sistema politico, di centri di potere la cui legittimazione deriva, oltre che dalle modalità di reclutamento dei soggetti che lo esercitano, anche dal “contatto” con il soggetto destinatario della decisione. La partecipazione, allora, applicando lo schema appena citato al procedimento amministrativo, non è soltanto un principio che rileva in chiave “protettiva” rispetto al cittadino, ma va considerata, altresì, come lo strumento necessario alla legittimazione dell’amministrazione stessa. Il procedimento amministrativo in sé, inoltre, non è che una forma di controllo delle modalità attraverso cui le domande poste dai cittadini-destinatari vengono trasformate in decisioni. E questo oggi è, in virtù della legge sul procedimento, e nonostante i suoi limiti e le sue ombre, trasparente.