CORTE COSTITUZIONALE – 22 luglio 2010, n. 273

02.05.2010

Il Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Pontassieve, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 4, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), come modificato dall’art. 7 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258 (Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, a norma dell’articolo 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128), nella parte in cui, sostituendo l’art. 17 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), sanziona come mero illecito amministrativo le condotte di derivazione o utilizzazione di acqua pubblica in assenza di provvedimento di autorizzazione o concessione dell’autorità competente.

Il rimettente censura come irragionevole la scelta del legislatore di depenalizzare l’impossessamento abusivo di acqua pubblica, perché in contraddizione con il complessivo indirizzo legislativo degli ultimi decenni, volto a rafforzare la tutela del bene acqua, preservando la sua fruizione da parte della generalità dei cittadini. Tale orientamento di maggior tutela dell’ambiente e degli interessi della collettività sarebbe in contrasto con l’attenuazione del rigore punitivo nei confronti dei soggetti che sottraggono quantitativi più o meno ingenti di acqua all’uso pubblico, per realizzare profitti diretti, derivanti da eventuali commercializzazioni dell’acqua abusivamente captata, o indiretti, derivanti da utilizzazione dell’acqua stessa per finalità industriali o comunque produttive, ottenendo la disponibilità del bene senza sostenere alcun costo.

Tuttavia, la Corte dichiara che la scelta legislativa di sanzionare solo in via amministrativa eventuali comportamenti trasgressivi delle regole di utilizzo delle acque non è manifestamente irragionevole, giacché deve aversi primariamente riguardo al rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione nell’accesso ad un bene che appartiene in principio alla collettività. Tale rapporto viene alterato dalla violazione di norme che non sono poste soltanto a presidio della proprietà pubblica del bene, collocato in una sfera separata rispetto a quella dei cittadini, ma soprattutto a garanzia di una fruizione compatibile con l’entità delle risorse idriche disponibili in un dato territorio e con la loro equilibrata distribuzione tra coloro che aspirano a farne uso. Se tutti hanno diritto di accedere all’acqua, l’aspetto dominicale della tutela si colloca in secondo piano, rispetto alla primaria esigenza di programmare e vigilare sulle ricerche e sui prelievi, allo scopo di evitare che impossessamenti incontrollati possano avvantaggiare indebitamente determinati soggetti a danno di altri o dell’intera collettività.

Laura De Vito