TAR Lazio – Roma, Sez. II, 5 gennaio 2010, n. 36 – Limiti alla partecipazione alle gare per le società pubbliche

07.04.2010

La sentenza del TAR Lazio – Roma, Sez. II, 5 gennaio 2010, si segnala in quanto affronta il tema della concreta definizione della portata del divieto posto dall’art. 13, co. 1, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 e s.m.i. con il quale è stato fatto divieto alle società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle Amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività (con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici) di partecipare alle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici disciplinati dal d.lgs 12 aprile 2006, n. 163.

Come noto, tale disposizione è stata introdotta al dichiarato scopo di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, data la considerevole diffusione sul territorio di società (formalmente private ma sostanzialmente) pubbliche, a partecipazione pubblica mista o totalitaria.

E’ bene evidenziare, d’altra parte, come il punto di equilibrio raggiunto nell’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006 è il risultato dalla attenta ponderazione di due interessi di rilevanza costituzionale, ossia la tutela della concorrenza e la libertà di iniziativa privata.

Sotto il primo profilo, è appena il caso di ribadire come la ratio ispiratrice della norma appena richiamata sia stata quella di porre rimedio alla situazioni di evidente privilegio in cui si trovavano le società pubbliche rispetto agli operatori privati, laddove le prime operino nella loro veste di enti strumentali dell’Amministrazione di riferimento (ed azionista), fruendo così dei vantaggi derivanti dalla stretta connessione con l’ente pubblico (in questo senso, si veda Cons. Stato, Sez. IV, decisione, 5 marzo 2008 n. 946). Proprio a tal fine, la stessa Unione Europea aveva espresso la necessità che gli Stati membri provvedessero alla regolamentazione dell’accesso al mercato degli appalti pubblici da parte di organismi di proprietà o partecipati da enti pubblici (si veda la Direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004).

Sotto il secondo aspetto, va comunque evidenziato come la forma imprenditoriale delle società pubbliche estende nei loro confronti la sfera di tutela assicurata dall’art. 41 della Costituzione, il quale garantisce la libertà di iniziativa economica. Conseguentemente, ogni limitazione nella definizione delle autonome scelte imprenditoriali deve essere oggetto di attenta ponderazione.

Ed è proprio muovendo da tali premesse ricostruttive generali che il TAR è pervenuto alla conclusione che l’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006 e s.m.i. non è applicabile anche alle società c.d. di terzo grado, ossia a quelle indirettamente partecipate dai soggetti individuati dall’art. 13 precitato.

Pur nella consapevolezza che tale orientamento estensivo ha trovato accoglimento presso altri Tribunali Amministrativi Regionali (Tar Sicilia, Palermo, I, 29 aprile 2009, n. 785 e Tar Puglia, Lecce, I, 06 maggio 2009, n. 908), ritiene la Sez. II che la riferita interpretazione contrasti con il dato letterale dell’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006; ciò soprattutto in considerazione del fatto che la disposizione in esame, introducendo una deroga rispetto alla generale libertà di iniziativa economica, costituisce norma eccezionale e, pertanto, di stretta interpretazione (così, del resto, anche Cons. Stato, Sez. V, decisione 7 luglio 2009, n. 4346).

A tale argomentazione se ne aggiunge un’altra, fondata sulla interpretazione sistematica e teleologica dell’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006. Assume rilievo, anzitutto, la circostanza che il Legislatore, nell’imporre il divieto, non ha operato alcun riferimento alle situazioni di controllo indicate dall’art. 2359 c.c., circoscrivendo l’operatività del precetto ai soli rapporti di dipendenza diretta. si noti, poi, che lo stesso art. 13, del d.l. n. 223 del 2006 stabilisce come sia ammesso lo scorporo di attività non consentite a favore di altro soggetto appositamente costituito per svolgere servizi rivolti al mercato (fermo restando, dunque, il rapporto proprietario, seppure diluito per effetto della partecipazione indiretta). Questa ultima soluzione, secondo il TAR, rappresenterebbe una sufficiente garanzia della libertà di concorrenza, anche per effetto della separazione dei bilanci di questi ultimi soggetti rispetto alle società direttamente partecipate dagli enti locali (così aderendo all’orientamento espresso dal TAR Liguria, Sez. II, sentenza 9 gennaio 2009, n. 39 e dal TAR Molise, Sez. I, sentenza 18 luglio 2007, n. 628).

Appare opportuno soffermarsi, infine, sulle considerazioni esposte dal TAR relativamente alla nozione di “strumentalità” dei servizi forniti dalle società pubbliche, al fine di meglio individuare la sfera di applicazione del divieto posto dall’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006.

A questo proposito, la Sez. II sottolinea come possano definirsi strumentali i beni ed i servizi erogati da società pubbliche a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica attribuite all’Amministrazione di riferimento, espressione della loro istituzionale attività di cura dell’interesse pubblico. In questo senso, allora, le società pubbliche trovano la loro ragion d’essere (ed il limite della loro attività) nel rendere le prestazioni essenzialmente a favore della Amministrazione pubblica e non al pubblico; proprio tale profilo vale a distinguere la posizione delle società in esame da quelle incaricate della gestione di servizi pubblici locali, per le quali il divieto espressamente non opera.

Anche se le società incaricate di erogare servizi pubblici locali svolgono comunque un’attività di tipo imprenditoriale assume rilievo dirimente il fatto che la loro costituzione  risponde ad un apprezzabile interesse collettivo (non solo di natura organizzativa), in funzione della cui tutela è ragionevole il sacrificio dell’interesse privato imprenditoriale (si veda in tale senso, Cons. Stato, Sez. IV, decisione 5 marzo 2009, n. 946).

Si vengono così a delineare due categorie di società a partecipazione pubblica, entrambe caratterizzate in senso lato dal nesso di strumentalità rispetto all’Amministrazione che le ha costituite, ma differenti sotto il profilo delle modalità attraverso le quali lo stesso legame opera. Come si è visto, infatti, le società strumentali considerate dall’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006 sono solo quelle i cui beni e servizi prodotti sono direttamente finalizzati a soddisfare l’esigenza dell’ente pubblico partecipante; diversamente, le altre società, incaricate ad esempio dei servizi pubblici locali, svolgono attività diretta verso il pubblico come e, quindi, appaiono piuttosto espressione di moduli paritetici in cui il ruolo degli enti territoriali non si differenzia da quello dell’azionista di una società per azioni.

A sostegno di tale tesi, peraltro, la Sezione II richiama anche una recente sentenza della sentenza della Corte Costituzionale (13 agosto 2008, n. 326), nella quale si è distinta l’attività amministrativa svolta in forma privatistica e  quella d’impresa di enti pubblici. Secondo la Corte Costituzionale entrambe possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse: nella prima ipotesi vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione; nella seconda, invece, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza.

Come si vede, la sentenza segnalata s’inserisce nell’orientamento giurisprudenziale più recente (e, ormai, maggioritario) in virtù del quale si riconosce che la portata dell’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006 non va individuata riferendosi al titolo giuridico in base al quale le società operano, ma in ragione del loro oggetto sociale, così riducendo la sfera di applicazione del divieto posto.

a cura di Filippo Degni


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