Cos’ha di “speciale” questo federalismo? Il ruolo delle Regioni autonome dopo l’approvazione del “federalismo fiscale” (Roma, 10 settembre 2009) – Resoconto convegno

26.10.2009

Il 10 settembre 2009, presso il palazzo delle Assicurazioni Generali, si è tenuto il primo dibattito sul ruolo delle Regioni speciali in seguito all’approvazione del “federalismo fiscale”, organizzato dall’Istituto per lo studio del federalismo e del regionalismo dell’EURAC, Accademia Europea di Bolzano .
Il convegno è stato presieduto dal Prof. Francesco Palermo – direttore dell’Istituto per lo studio del federalismo e del regionalismo dell’EURAC-, che, dopo i saluti iniziali e la presentazione del Dott. Werner Stuflesser – presidente dell’EURAC -, ha sottolineato le peculiarità delle Regioni a statuto speciale sia nella prospettiva del sistema ordinamentale unitario sia nella prospettiva del federalismo fiscale.
Infatti, le Regioni autonome sono sempre state caratterizzate dall’ “autoreferenzialità” e dall’”invisibilità” rispetto alle istituzioni centrali: alcune, quali Sicilia e Sardegna, non hanno vissuto la propria specialità ed hanno rinunciato all’esercizio di numerose potestà previste dalle disposizioni statutarie, mentre altre l’hanno sviluppata attraverso rapporti bilaterali con lo Stato. L’invisibilità delle Regioni a statuto speciale è evidente soprattutto nell’assenza di norme dettagliate di adeguamento dei loro ordinamenti al nuovo assetto costituzionale, se si esclude la clausola flessibile di maggior favore di cui all’art. 10 della l.cost. 3/2001, e nella mancata revisione degli statuti in relazione all’impianto ordinamentale successivo alla riforma del Titolo V della Costituzione. Rebus sic stantibus, un’opportunità per rilanciare la specialità e dare un nuovo contenuto a tale principio potrebbe essere proprio il ripensamento del peculiare regime finanziario delle autonomie speciali in termini di adeguamento ai principi di coordinamento della finanza pubblica contenuti nella legge delega n. 42/2009, nonostante il silenzio del legislatore sull’argomento.
I temi oggetto di discussione sono stati introdotti dall’Onorevole Linda Lanzillotta, precedente Ministro per gli affari regionali, che si è soffermata sulla ratio della riforma costituzionale del Titolo V ed in particolare sull’analisi del rapporto tra le Regioni speciali e le previsioni della legge costituzionale n. 3/2001. Per quanto concerne il primo aspetto, la relatrice ha sottolineato come il novellato Titolo V sia fondato sull’autonomia e sulla responsabilità. Infatti, il binomio autonomia e responsabilità informa di sé tutta la riforma costituzionale ed è presente soprattutto nella formulazione dell’articolo 119, Cost., dettata sia da una logica autonomistica sia dall’esigenza di contenimento della spesa pubblica e di recupero dell’efficienza della Pubblica amministrazione.
Per quanto riguarda il rapporto tra la riforma costituzionale e la specialità regionale, l’interrogativo posto dalla relatrice è il seguente: si tratta di stabilire se è il costituente che ha dimenticato le Regioni speciali o sono state le autonomie speciali a tirarsi indietro dall’applicazione del Titolo V e pertanto ad opporsi alla revisione dei propri statuti adottati con legge costituzionale. La specialità deve essere adeguata al nuovo contesto istituzionale dato che da una parte sono venute meno le ragioni storico-economiche della specialità e dall’altra è cambiato l’ordinamento in cui si inseriscono a fronte dell’allineamento di competenze tra le Regioni ordinarie e quelle speciali. Si pone l’esigenza di ripensare la specialità ed il ripensamento potrebbe venire proprio dalla revisione del regime finanziario privilegiato di cui esse godono in termini di adeguamento al principio di connessione tre le risorse e le funzioni ed ai principi di solidarietà, di cui all’art. 119, Cost.
A fronte di tali considerazioni, appare opinabile la scelta operata dal legislatore nella legge delega n. 42/2009 dato che non ha definito il ruolo della specialità nel federalismo fiscale, ma ha solamente rinviato il momento della decisione sul se e come applicare il federalismo fiscale alle Regioni speciali. Infatti, l’art. 27 della legge de quo stabilisce che “le Regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno e all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi.”
Sicuramente, nonostante il silenzio del legislatore in proposito, devono essere considerati validi anche per le Regioni speciali, il principio di correlazione tra risorse e funzioni in contrapposizione al “ modello lombardo” in base al quale si trattiene sul territorio tutto ciò che lì viene riscosso indipendentemente dal fabbisogno e dalle funzioni svolte, nonché il principio di solidarietà che impone la partecipazione di tutti gli enti costitutivi della Repubblica al finanziamento del fondo perequativo. Infatti, si tratta di due principi espressione dell’unità economico-giuridico del sistema, del principio di eguaglianza, oltre che di parità di trattamento, e che in quanto tali devono trovare applicazione anche per le Regioni a statuto speciale al fine di ripristinare condizioni di equità, eguaglianza e coerenza del sistema.
L’articolo 27, invece, non indica una direzione ben precisa; non specifica quali sono i principi di coordinamento della finanza pubblica validi anche per le autonomie speciali. Ciò impone, secondo la relatrice, l’esigenza da parte del legislatore ordinario di ritornare sull’argomento, individuando i parametri ed i criteri che le Commissioni paritetiche sono chiamate a rispettare per l’attuazione del federalismo fiscale e la revisione dell’ordinamento peculiare delle autonomie speciali.
In seguito è intervenuto l’Onorevole Enrico La Loggia, allora Ministro per gli affari regionali, che ha svolto una riflessione iniziale sullo stato dell’arte delle riforme istituzionali nel nostro paese e sulle modalità con cui si sta procedendo in proposito. Secondo l’interventore, da un punto di vista tecnico e giuridico, è opinabile la scelta che è stata fatta dal legislatore negli anni della riforma. Infatti, sarebbe stato necessario l’intervento di una assemblea costituente piuttosto che di una commissione bicamerale per garantire la coerenza e l’unitarietà della riforma che avrebbe dovuto interessare non solo il Titolo V ma tutta la Parte II della Costituzione. Il “federalismo all’italiana” è stato sicuramente un passo importante per la modernizzazione del sistema, tuttavia il suo percorso e la sua attuazione sarebbe stato più agevole qualora fosse stata garantita la contestualità della riforma del sistema di governo e delle forme di rappresentanza con quello dell’ordinamento territoriale dello Stato.
L’incompiutezza e l’inorganicità della riforma costituzionale è evidente nel caso delle Regioni a statuto speciale che sono state messe da parte dal legislatore, se si esclude l’ambigua clausola di “maggior favore” di cui all’articolo 10 della l. cost. 3/2001 e la previsione di cui al novellato art. 116 della Costituzione. Infatti, la disposizione su richiamata conferma l’esistenza della specialità nel nostro ordinamento; anzi per due autonomie speciali, ossia il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle D’Aosta/Vallèe D’Aoste, non solo sembra persistere la ratio alla base della loro specialità, ma il nuovo testo dell’art. 116, 1° comma, con l’aggiunta del nomen in tedesco ed in francese, ne rafforza la condizione di differenza linguistica e, quindi, l’idea della necessarietà della loro specialità ordinamentale. Ciò sta a significare che il legislatore costituzionale ha voluto mantenere in vita le peculiarità degli ordinamenti speciali che non sono, pertanto, privilegi, ma costituiscono elementi che rispondono ad esigenze storico-politiche ancora esistenti. Molteplici sono i fattori che ancora giustificano l’esistenza e l’attualità della specialità e del sistema finanziario delle Regioni speciali; pertanto, secondo il relatore il problema è solamente come renderlo più adeguato in modo da promuovere un efficiente e razionale impiego delle risorse già esistenti.
L’ultima riflessione concerne l’inattuazione di molte norme degli statuti speciali che avrebbero potuto garantire un’effettiva autonomia di entrata; basti pensare all’articolo 37 dello Statuto della Regione Sicilia, indispensabile sicuramente per una prima attuazione del federalismo fiscale.
Il dibattito è proseguito con l’intervento del Senatore Onorevole Antonio Fosson che ha svolto una puntuale analisi dell’art. 27 della legge 42/2009. Egli ha subito evidenziato che il come si applicherà il federalismo fiscale a Regioni, quale quelle speciali, che sono dotate di federalismo amministrativo dalla loro costituzione è una partita ancora aperta.
L’articolo 27 richiama l’esistenza del problema, ma demanda ad altri organi politico-tecnici, tra cui un tavolo di confronto, la decisione su come adeguare il regime finanziario delle Regioni speciali ai principi del federalismo fiscale. Appare opinabile, secondo il relatore, la scelta del legislatore di non coinvolgere in questo processo decisionale la Commissione bicamerale per gli affari regionali. Sia la disposizione su richiamata che il decreto anticrisi prevedono una perequazione con la partecipazione anche delle autonomie speciali, senza tuttavia indicarne le modalità; pertanto, anche la definizione del sistema di perequazione, resta un problema aperto.
Viene contestata la logica della riforma, soprattutto in riferimento al Trentino Alto Adige e alla Valle d’Aosta, in quanto si sta cercando di attuare una riforma significativa e rilevante, quale quella del federalismo fiscale, senza prendere in considerazione la specificità del territorio. Per esempio, non si può parlare di costi standard senza tener conto della territorialità e delle condizioni geografiche ed economiche del territorio: bisogna tener conto di esigenze peculiari quali possono essere quelle dei territori montani. Il costo standard è utile per ridurre gli sprechi derivati dall’utilizzo del criterio della spesa storica; tuttavia, si deve provvedere in ogni caso ad assicurare a tutti, indipendentemente dalla posizione geografica, i diritti fondamentali.
Il timore delle Regioni a statuto speciale, secondo il relatore, è che si passi dal centralismo, che aveva caratterizzato il precedente ordinamento territoriale repubblicano, all’eccessivo potere di alcune Regioni che, in quanto più forti politicamente, siano in grado di imporsi rispetto alle esigenze delle altre realtà territoriali.
In seguito è intervenuto l’Onorevole Giorgio Holzmann, il quale ha evidenziato in primo luogo la centralità del federalismo fiscale come presupposto indispensabile per la realizzazione del federalismo, ed in secondo luogo come la legge n. 42/2009 sia il frutto più evidente sia dell’attività politica della Lega nord sia della crisi del centralismo che ha informato di sé tutta la riforma costituzionale.
La sua riflessione trae spunto dagli interventi precedenti; in particolare, egli condivide quanto detto sia dall’Onorevole Lanzillotta che dall’Onorevole La Loggia in merito all’inattività delle Regioni a statuto speciale che, per timore di perdere i propri privilegi soprattutto in termini di risorse a disposizione, non hanno sfruttato le potenzialità offerte dalla riforma del Titolo V e non si sono attivate per la revisione degli statuti costituzionali.
In relazione al federalismo fiscale, due sono gli elementi ritenuti maggiormente apprezzabili dall’interventore. In primo luogo, il passaggio dalla spesa storica ai costi standard ; passaggio sicuramente indispensabile e doveroso anche per le autonomie speciali per ridurre gli sprechi e promuovere la razionalizzazione delle risorse e il recupero dell’efficienza del sistema. In secondo luogo, la predisposizione del fondo perequativo come strumento correttivo rispetto al criterio della territorialità dell’imposta che andrebbe a favorire un maggior flusso di entrata alle Regioni dotate di maggiore capacità fiscale. Infatti, proprio la predisposizione di tale fondo perequativo, rappresentando uno strumento volto a garantire i livelli essenziali delle prestazioni, ha fatto venir meno i timori delle Regioni più povere e delle Regioni speciali del sud a fronte del paventato “modello lombardo” e competitivo di federalismo fiscale.
In relazione alla particolare posizione delle Regioni a statuto speciale, è necessario revisionare gli statuti in modo da adeguarli al nuovo quadro costituzionale; tale necessità si pone soprattutto in relazione al sistema finanziario delle autonomie speciali che, in virtù del principio di eguaglianza, deve essere riformato in termini di adeguamento ai contenuti dell’articolo 119, per esigenze di tutela dell’unità economico-giuridica e sociale della Repubblica.
Il dibattito è proseguito con la relazione del Senatore Oskar Peterlini, il quale ha individuato nella differenza territoriale e culturale la ratio che dapprima, ossia nella fase costituente, ha determinato l’attribuzione ad alcune Regioni di uno status particolare ed in un secondo momento, ossia in fase di revisione dell’ordinamento territoriale della Repubblica, ha determinato la scelta del legislatore costituzionale di confermare l’esistenza delle Regioni a statuto speciale. A fronte di tale riflessione iniziale, l’interventore ha sostenuto l’impossibilità dell’eliminazione del principio di specialità che non rappresenta solamente un diverso “modus operandi” in termini di maggiori competenze , ma costituisce un modo di essere data la natura culturale-linguistica che informa di sé il criterio di specialità.
Ha sostenuto, inoltre, che le Regioni a statuto speciale non hanno assunto posizioni di chiusura rispetto ai vari tentativi di riforma che si sono registrati già a partire dagli anni Ottanta con la Commissione Bozzi e poi De Mita; anzi hanno sempre guardato con grande interesse i processi di riforma orientati ala trasformazione federalista dello Stato. Tale interesse è stato manifestato in modo particolare dalla Regione Trentino Alto Adige e dalle Province autonome che, proprio in riferimento al federalismo fiscale, hanno espresso la volontà di volersi adeguare ai principi di coordinamento della finanza pubblica e più nello specifico al principio di solidarietà dichiarando la propria partecipazione al fondo perequativo nazionale.
In seguito alla riflessione iniziali, il relatore ha proseguito sottolineando l’importanza del federalismo fiscale e della sua attuazione, attraverso la legge delega n. 42/2009, sotto un duplice punto di vista. In primo luogo, è una riforma volta a promuovere la responsabilizzazione non solo in termini di spesa ma soprattutto in termini di entrata di tutti gli enti territoriali costitutivi della Repubblica. Infatti, tale riforma è destinata ad attivare il circuito della responsabilità, favorendo la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità, dato che mira a far coincidere i soggetti predisposti al reperimento delle risorse ed all’imposizione fiscale con i soggetti istituzionali che detengono il potere di spesa di tali risorse. Ciò, inoltre, determina sicuramente un impulso al contenimento delle spese ed alla razionalizzazione delle risorse, come sottolineato da gran parte della dottrina giuridica ed economica.
In secondo luogo, la legge delega di attuazione del federalismo fiscale costituisce un importante passo in avanti verso la completa attuazione dell’”edificio della Repubblica delle autonomie”, così come delineata nel novellato Titolo V della Costituzione. È proprio in seguito all’attuazione dell’articolo 119, infatti, che sarà possibile provvedere all’attuazione del federalismo amministrativo, strictu sensu, data l’esigenza di garantire la connessione tra funzioni proprie e risorse disponibili, del principio di differenziazione, di cui all’articolo 116, comma 3, Cost., e soprattutto sarà possibile dare un quadro più compito e coerente al regionalismo italiano, dove alle maggiori e nuove formule di autonomia normativa, amministrativa e politica si affianca quella finanziaria di entrata e di spesa, che ne costituisce il presupposto effettivo.
Tuttavia, seppure il federalismo fiscale costituisce un importante tassello per l’attuazione del federalismo, per il suo completamento è necessaria la riforma del Parlamento bicamerale che, in quanto luogo dell’unità del sistema, dovrebbe rispecchiare la presenza di tutti i soggetti dell’ordinamento. Infatti, lo stabile inserimento delle Regioni e degli enti locali in seno agli organi centrali, sul modello del Bundesrat o della seconda Camera spagnola, costituisce la più efficace risorsa di cui disporre per la tutela preventiva – in fase ascendente del processo decisionale – delle loro aspettative di autodeterminazione politica.
È intervenuto, in seguito, il Prof. Beniamino Caravita di Toritto, che si è soffermato sull’analisi di due aspetti di grande interesse da parte della dottrina, ovvero sull’analisi della specialità oggi e sulla possibile applicazione del federalismo fiscale alle Regioni speciali, secondo quanto disposto dalla legge 42/2009.
Per quanto concerne il principio di specialità, il relatore ritiene che nel nuovo quadro costituzionale non ha più senso criticare la specialità, piuttosto ha senso dire che la specialità deve essere inserita nel novellato regionalismo differenziato e revisionata in termini di adeguamento ai nuovi principi costituzionali. Per esempio, l’adeguamento al modello finanziario di federalismo fiscale collaborativo potrebbe costituire il primo passo per il ripensamento delle autonomie speciali in termini di autonomia responsabile.
A fronte, pertanto, sia del mutato contesto costituzionale in cui si è registrato un allineamento di competenze tra le Regioni ordinarie e quelle speciali, sia del superamento delle ragioni storiche della specialità, la specialità non esiste più come dato storico ma esiste solamente come espressione del regionalismo differenziato, di cui rappresenta una prosecuzione naturale la previsione di cui all’art. 116, comma 3, Cost. Il necessario ripensamento della specialità richiede indubbiamente la stessa revisione degli statuti delle autonomie speciali in quanto ormai svuotati di contenuto. In tal senso, basti pensare al fatto che le norme in materia di forma di governo e legge elettorale non trovano più la loro disciplina nello statuto costituzionale, ma nelle cosiddette “leggi statutarie”, secondo quanto disposto dalla l. cost. 2/2001; le potestà legislative delle Regioni non sono più desunte esclusivamente dalle previsioni statutarie ma dal combinato disposto delle relative disposizioni statutarie, dall’articolo 10 della l. cost. 3/2001 e dall’art. 117 della Costituzione che trova applicazione per le Regioni speciali esclusivamente per le parti che garantiscono maggiori forme di autonomia; infine, le norme tributario-finanziarie sono adottate con leggi ordinarie.
Pertanto, il primo passo necessario ed indispensabile per il ripensamento della specialità è proprio la revisione degli statuti con la quale si deve provvedere finalmente a concludere la fase transitoria in cui si sono trovate le autonomie speciali, in seguito alla riforma del Titolo V, per effetto dell’applicazione della clausola flessibile di maggior favore, di cui all’art. 10 della l. cost. 3/2001. Ciò richiede, tuttavia, un mutamento di prospettiva da parte del legislatore sia ordinario che costituzionale che fino ad ora ha sottratto le autonomie speciali dai processi di riforma dell’ordinamento andando da una parte a congelare gli ordinamenti speciali e dall’altra minando la stessa tenuta d’insieme e la coerenza del sistema; mutamento che non sembra essere ancora avvenuto, a fronte soprattutto di quanto disposto dalla l. 42/2009. Infatti, secondo il relatore, la voluntas legislatoris che si evince dall’analisi delle disposizioni della legge 42/2009 sembrerebbe essere proprio quella di sottrarre le autonomie speciali dall’applicazione dell’art. 119 di cui la legge su richiamata costituisce attuazione.
Questa riflessione consente l’interventore di porre l’attenzione sul tema centrale dell’incontro, ovvero il ruolo delle autonomie speciali in merito al federalismo fiscale. Egli ha sottolineato come la legge non apporti in realtà alcuna modifica all’ordinamento finanziario delle Regioni speciali; ciò si evince dal combinato disposto degli articoli 1, comma 2, e 27 della l. 42/2009. Infatti, l’articolo 1, comma 2, disponendo che “alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformità con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27” va di fatto ad escludere le autonomie speciali dal meccanismo di perequazione, dall’applicazione dei costi standard e dal principio di connessione tra risorse e funzioni che possono trovare applicazione solo nei modi stabiliti dall’art. 27, ossia secondo i criteri e le modalità definiti dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti, adottati dalle Commissioni paritetiche.
Proprio il fatto di demandare alle Commissioni paritetiche la definizione del modello finanziario delle Regioni speciali suscita perplessità in quanto si predilige la via della trattativa bilaterale tra Stato e Regione speciale laddove, invece, sarebbe stata più ragionevole in termini di coerenza del sistema una negoziazione multilaterale con la partecipazione di tutti i soggetti costitutivi della Repubblica dato che le scelte finanziarie operate in favore delle autonomie particolari finiscono per ricedere su tutte le altre Regioni.
Maggiore perplessità deriva, infine, dalla mancata applicazione per le Regioni speciali del principio di solidarietà e, quindi, dalla mancata partecipazione al meccanismo di perequazione predisposto ex lege; infatti, l’interventore, richiamando anche una consolidata giurisprudenza costituzionale, ritiene che il principio di solidarietà e più in generale tutti i principi contenuti nell’articolo 119 della Costituzione costituiscono principi fondamentali della Repubblica che in quanto tali devono valere anche per le Regioni speciali. La specialità regionale non può costituire un pretesto per escludere l’applicazione di principi cardini dell’ordinamento costituzionale, pena la dissoluzione dell’unità repubblicana.
È, infine, intervenuto il Prof. Gianni Bonvicini, il quale ha sottolineto l’importanza di inserire l’Italia nel contesto comunitario al fine di poter comprendere al meglio la ratio dei processi di riforma che hanno interessato il nostro paese a partire dagli anni Novanta. Infatti, proprio le politiche comunitarie hanno orientato il legislatore nazionale verso l’affermazione del principio di sussidiarietà, di responsabilità in termini di accountability, nonché verso un modello multilevel e federale di governance dove ben si inseriscono le autonomie speciali. La stessa riforma del federalismo fiscale non costituisce altro che uno strumento per la responsabilizzazione delle autonomie e per la razionalizzazione dell’impiego delle risorse in modo da garantire il rispetto del patto di stabilità e dei vincoli imposti dai parametri di Maastricht. Inoltre, la legge 42/2009 impone che la gestione della leva fiscale da parte dei diversi livelli di governo avvenga nel rispetto della concorrenza e del mercato interno al fine di promuovere il rispetto dei valori comunitari importati nel nostro ordinamento.
Il relatore, infine, ha evidenziato l’importanza dell’armonizzazione e del coordinamento della leva fiscale non solo all’interno delle Regioni ma anche nel contesto europeo per evitare competizioni tra le diverse aree del mercato unico; armonizzazione che richiede la partecipazione delle Regioni sia al Parlamento sia alle istituzioni comunitarie in modo da adottare politiche univoche soprattutto in materia fiscale. Si riafferma, pertanto, la necessità di revisionare il Parlamento, come luogo dell’unità del sistema, in senso federale.

Successivamente il convegno ha offerto l’occasione per animare un dibattito sull’argomento centrale dell’incontro.
Il convegno è stato concluso dal Prof. Palermo, il quale ha affermato che, alla luce del nuovo quadro costituzionale e a fronte della legislazione ordinaria di attuazione costituiscono questioni aperte e controverse sia la definizione del principio di solidarietà che di specialità. Questione ancora più problematica, infine, appare la possibile conciliazione tra solidarietà e specialità alla luce dell’art. 27 della l. 42/2009 che rimanda tale decisione ad altre sedi, lasciando prefigurare, tuttavia, la volontà di entrambe le parti chiamate nel processo decisionale di mantenere inalterato l’attuale regime finanziario delle autonomie speciali, seppure con qualche correttivo.

Valentina Lepore