I nodi della via italiana al federalismo

21.07.2009

L’evoluzione e le prospettive di riassetto del sistema istituzionale italiano dopo la riforma del Titolo V stanno attraversando una fase di incertezza e, almeno per certi versi, di disorientamento, poiché permangono varie resistenze e contraddizioni nel dare effettivo e concreto sviluppo a un disegno che dovrebbe concorrere a rafforzare la democrazia sostanziale, responsabilizzando le autonomie regionali e locali e stimolando la stessa partecipazione dei cittadini alla gestione degli interessi comuni. L’orizzonte della nuova statualità, che potrebbe anche qualificarsi come via italiana al federalismo (termine polisenso, non riferibile al solo fenomeno dello Stato composto), basato su un forte potenziamento del ruolo delle istituzioni territoriali, delinea un modello in larga misura inedito – e per alcuni versi ancora da completare e perfezionare –, incentrato sul netto superamento dello Stato monocentrico e gerarchico e sulla valorizzazione delle funzioni sia legislative che amministrative di regioni ed enti locali, tutti da considerarsi elementi costitutivi della Repubblica. Ma risorgenti (e ricorrenti) centralismi e talune striscianti o fuorvianti controriforme finiscono per mettere in discussione, a ben otto anni di distanza dalla riforma costituzionale, le prospettive di innovazione e cambiamento del sistema prefigurate in sintonia con il fondamentale principio autonomistico dell’art. 5 della Costituzione.

di Gian Candido De Martin


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