La governance ambientale (Roma, 20 giugno 2009) – Resoconto convegno

26.06.2009

Roma, 20 giugno 2009
Facoltà di Giurisprudenza
Università “La Sapienza”

La Tavola rotonda, organizzata nell’ambito del Master di II Livello in “Diritto Ambientale” dell’Università “La Sapienza di Roma” parte con un intervento di saluto del Prof. Filippo Satta, ordinario di diritto amministrativo nell’Università “La Sapienza” e con un intervento del prof. Francesco De Leonardis, prof. di diritto amministrativo nell’Università di Macerata.

Il prof. De Leonardis, nello spiegare le complessità nella governance ambientale, parte dal concetto di tensione verticale ed orizzontale. Nella governance infatti abbiamo delle tensioni che si sviluppano all’interno dei Ministeri e già all’interno dello stesso Ministero dell’Ambiente, tra le sue Direzioni Generali e tra il livello politico e le Direzioni Generali. Inoltre, ci sono tensioni a livello verticale tra gli organismi internazionali e gli organismi nazionali, in particolare sulla competenza a fissare un certo tipo di standard. Può uno Stato nazionale adottare una normativa più o meno garantista di quella Comunitaria? Un’altra tensione c’è tra Stato e Regioni, nell’ambito della quale emerge la questione di legittimità costituzionale del Codice dell’Ambiente, considerato troppo centralistico. Anche tra le imprese ci sono portatori di interessi configgenti che creano un sistema di forze contrapposte caratterizzato dalla complessità.
Per quanto riguarda le tensioni a livello orizzontale, bisogna considerare che negli anni ’70 c’erano tensioni solo orizzontali poiché le competenze in campo ambientale erano divise tra vari Ministeri. Con l’istituzione del Ministero dell’ambiente non si è rivoluzionato tutto il sistema ma si è semplicemente aggiunto un Ministero in più, titolare solo di alcune competenze che poi negli anni sono aumentate. Il Ministero dell’Ambiente si è fatto spazio tentando di acquisire competenze dagli altri ministeri.
A livello verticale le tensioni sono riferibili a:
1) normativa nazionale ed internazionale;
2) normativa nazionale e comunitaria;
3) normativa nazionale e regionale;
4) soggetti regolatori ed imprese.
Per quanto riguarda il primo punto, una delle questioni di conflitto riguarda la fissazione di standard che possono non coincidere tra il livello internazionale e nazionale (ad esempio la questione dell’inquinamento elettromagnetico).
Per quanto riguarda, invece, le tensioni tra la normativa nazionale e comunitaria, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha affermato che è possibile adottare normative più o meno garantiste ma che gli Stati membri, in questi casi, devono dimostrare e giustificare in maniera molto stringente le loro scelte.
Il conflitto tra Stato e Regioni si è accentuato dopo la riforma del Titolo V. Anche in questo settore ci sono state delle fasi cicliche (alla fine degli anni ’70 una fase regionalista; poi, negli anni ’80 di nuovo una prevalenza del centro; alla fine degli anni ’90, con le leggi Bassanini, ritornano ad avere rilevanza le periferie; il Codice dell’Ambiente risposta il pendolo a livello centralista). Da qui nascono le contestazioni ed i conflitti. La Corte Costituzionale ha seguito queste oscillazioni. Anche il concetto di “trasversalità” nasconde un certo imbarazzo perché esprime queste tensioni.
Per quanto riguarda l’origine di queste tensioni, in realtà le stesse associazioni ambientaliste arrivano a generarle. L’aspetto più importante è che c’è una commistione fra la tecnica e la normazione che crea una profonda incertezza e che non può essere affrontata con le tecniche tradizionali. Forse bisognerebbe ripensare l’organizzazione per settori dei Ministeri, perché l’ambiente si basa su un sistema “adattativo”. Bisogna abbandonare questa logica per una maggiore adeguatezza, partendo dalla realtà: creare, dunque, enti disegnati non sulla base dei confini amministrativi e tradizionali. L’ambiente è infatti un sistema adattativo in cui la competenza per materie diventa fallace,: bisogna puntare piuttosto sui principi del coordinamento e dell’integrazione.

Segue, poi, l’intervento del prof. Pier Luigi Petrillo, ricercatore di diritto pubblico comparato nell’Università di Siena. Il prof. Petrillo parte dalla constatazione che il diritto ambientale è un punto di riferimento anche per i costituzionalisti, che fino ad ora hanno trattato poco questo tema. Infatti nella Costituzione del ’48 non c’è nessun riferimento all’ambiente come valore costituzionale e, come si è ricordato, l’ambiente era una competenza del Ministero dei Beni Culturali. Questo non è un fatto puramente formale. Se si guarda alle esperienze degli altri Paesi, la Francia ha portato avanti una riforma costituzionale e ha dedicato un preambolo all’ambiente come valore primario e lo stesso è accaduto in Spagna. Per quanto riguarda gli Stati Uniti ed il Canada, nelle Carte Costituzionali non si fanno riferimenti all’ambiente, considerando che queste non costituiscono delle carte valoriali.
Quali sono dunque le conseguenze del mancato riferimento all’ambiente come valore costituzionale? Sicuramente la difficoltà di identificare un concetto specifico di ambiente. E’ difficile identificare una nozione giuridica di ambiente senza fare riferimento alle scienze naturali e mescolare le conoscenze di questi due distinti settori. Massimo Severo Giannini aveva suddiviso l’ambiente in tre concetti: l’ambiente – paesaggio; l’ambiente – aria ed acqua; l’ambiente – urbanistica. La Corte costituzionale ha fatto propria la definizione di Giannini.
Oggi tutti siamo convinti che la tutela dell’ecosistema sia un valore fondante, anche grazie agli interventi della Corte Costituzionale, che ha affermato che l’ambiente è un valore primario e che non è suscettibile di essere subordinato ad altri valori. Nella sentenza 151/1986 si afferma che il legislatore ordinario deve considerare l’ambiente come un valore primario. Per questo le politiche ambientali non possono essere circoscritte. Concretamente però l’effetto è che alla fine l’ambiente non riceve una sufficiente tutela. A questo riguardo emergono tre elementi:
1) se la natura trasversale della materia ambientale è fondata, il legislatore deve certificare l’impatto ambientale in ogni regolamentazione. Dunque ogni disegno di legge dovrebbe essere accompagnato da una sorta di “bollino verde” che indichi l’impatto sull’ambiente della regolamentazione. La sede ideale sarebbe l’AIR. La Corte Costituzionale nella sentenza dell’86 ci dice che gli interessi ambientali devono essere sempre presi in considerazione, e nello stesso senso va la formulazione dell’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea.
2) Un secondo elemento attiene al governo di questi fenomeni: posto che le questioni ambientali sono trasversali, come si governano? Il Ministero dell’Ambiente non è l’unica amministrazione a livello centrale (c’è anche il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, il Ministero delle infrastrutture, il Dipartimento ambiente presso il Ministero degli Affari Esteri, il ministero della Salute, il sistema delle agenzie – ISPRA ). Per quanto riguarda il livello regionale, dopo la riforma del Titolo V le Regioni rivendicano delle competenze. L’articolo 117, terzo comma ci dice che il governo del territorio fa parte delle competenze concorrenti. In Francia nel 2006 il Ministero dell’Ambiente è stato fuso con il Ministero delle Infrastrutture e delle Politiche Agricole, mentre in Spagna il Ministero delle Politiche agricole ha acquisito il ministero dell’ambiente. In Canada ed in USA esistono gli Environmental National Advisory Committee che riuniscono tutti i Ministri che nelle loro funzioni possono affrontare tematiche rilevanti per l’ ambiente, al fine di fissare i principi e gli obiettivi in materia ambientale. Dunque in alternativa alla razionalizzazione dei Ministeri si potrebbe pensare almeno di istituzionalizzare meccanismi di raccordo in materia ambientale sulla base del modello CIPE o CIACE.
3) Un ultimo elemento chiave è quello della partecipazione: la normativa ambientale necessariamente richiede la partecipazione di soggetti diversi proprio per la sua natura tecnica, dunque bisognerebbe ripensare le norme che disciplinano il procedimento di formazione di norme ambientali prevedendo a pieno titolo la partecipazione.

Interviene poi il prof. Beniamino Caravita di Toritto, ordinario di istituzioni di diritto pubblico nell’Università “La Sapienza” che parte dalla ricostruzione storica della nascita dell’Agenzia per l’Ambiente nel contesto dell’ondata referendaria all’inizio degli anni ’90, mettendo in evidenza momenti di “irrazionalità” nella nascita di alcune istituzioni in Italia. In realtà l’idea di un’Agenzia per l’Ambiente era giusta ma il processo di formazione non fu adeguato. Siamo di fronte ad un meccanismo di “frammentazione” che difficilmente si riuscirà a razionalizzare.
Inoltre, bisogna stare attenti all’esaltazione della giurisprudenza della Corte Costituzionale. Il valore ambientale non può essere interpretato nel senso di una primarietà assoluta, altrimenti diventerebbe incomparabile con gli altri valori rischiando di creare confusione.
Inoltre, le politiche ambientali vanno integrate con le altre politiche e bisogna valutare come le scelte produttive possono impattare a livello ambientale complessivo.
Per quanto riguarda la nozione giuridica dell’ambiente, Giannini ha posto dei blocchi al dibattito ambientale che ci portiamo dietro ancora oggi. In realtà è possibile delineare una nozione giuridica di ambiente e individuare gli strumenti di tutela.
Il prof. Caravita di Toritto conclude il suo intervento affrontando i temi del rapporto Stato- Regioni e della partecipazione. La formula del 117 rappresenta la vittoria di una visione centralista dell’ambiente. Dopodiché le prassi che si sono consolidate hanno assunto un ruolo preponderante. Per quanto riguarda la partecipazione, soprattutto nei processi di infrastrutturazione del Paese l’informazione dev’essere senza dubbio massima. Una piena informazione permette una migliore democrazia ma anche una maggiore efficienza dei processi decisionali. L’importante è, successivamente, capire come dev’essere articolato il processo partecipativo e come ricostruire una gerarchia decisionale e di responsabilità.

La tavola rotonda si conclude con l’intervento del dott. Santini, che presenta una panoramica di strumenti e regole di governance in campo ambientale, ponendo l’accento sugli strumenti di coordinamento, sui contenziosi e sui procedimenti amministrativi.

Laura De Vito