Gian Matteo Sabatini, Tutti a scuola. La presenza degli stranieri e il ruolo di inclusione della scuola italiana, ed. La Scuola 2008

26.06.2009

Negli ultimi trent’anni, l’Italia è divenuto un paese d’immigrazione. Inoltre, nell’ultimo decennio, ha conosciuto tassi d’immigrazione tra i più alti d’Europa. Attualmente poco più di un milione di stranieri risiedono in maniera continuativa in Italia da più di un decennio. Una forte percentuale delle nuove nascite ha un genitore straniero. Una parte consistente e crescente di studenti, nella scuola dell’obbligo, ma anche nelle scuole superiori, è formato da bambini e ragazzi di nazionalità straniera. In altri termini, la popolazione immigrata è ormai divenuta una componente strutturale della popolazione insediata nel territorio italiano e uno degli aspetti più evidenti della stabilizzazione dell’immigrazione straniera in Italia è la forte presenza di minori. Più di un quinto degli oltre 3,4 milioni di stranieri registrati nelle anagrafi italiane ha meno di 18 anni e uno su dieci è nato in Italia da un genitore straniero.
Queste brevi considerazioni mettono in evidenza quanto l’avvenire del nostro paese dipenda dal processo d’integrazione degli stranieri in Italia per restarci, soprattutto dei loro figli e nipoti. In tal senso l’analisi del libro di Sabatino – Tutti a scuola. La presenza degli stranieri e il ruolo di inclusione della scuola italiana, ed. La Scuola 2008 – sulla funzione storica di inclusione caratteristica della scuola italiana e sull’andamento della presenza straniera nella società e nella scuola è assai necessario e copre uno spazio della conoscenza, in particolar modo sul ruolo che la scuola deve avere affinchè tutti, studiando fianco a fianco, possano capirsi, rispettarsi, costruire un’integrazione reale.
Del resto, l’emergere di una quota notevole di stranieri nella popolazione giovanile italiana è un processo cruciale per il nostro paese. Lo è per le dimensioni del fenomeno stesso: la percentuale di stranieri tra minorenni è marcatamente superiore alla percentuale di stranieri nella popolazione italiana, e cresce ancor più velocemente. Lo è, ovviamente, anche per le implicazioni sociali, considerato che è davvero difficile immaginare un futuro per il nostro paese che non tenga conto della loro esistenza. Vi sono buone ragioni per evitare di trattare queste generazioni con superficialità o noncuranza. Tanto più che le esperienze degli altri paesi ci rivelano che una compiuta inclusione di questi giovani nella società è tutto meno che un processo meccanico e scontato.
Molti paesi europei, dai Paesi Bassi alla Gran Bretagna alla Francia, non sarebbero quello che sono oggi senza un’importante immigrazione, anche europea. Quello che è stato vero nell’ultimo secolo è oggi ancora più vero. Le migrazioni di massa sono diventate un fatto strutturale dell’era della globalizzazione. Non perché le persone abbiano libera circolazione come le merci e i capitali: tutt’altro. Sono l’unico capitale, quello umano, che è davvero sottoposto a controlli, restrizioni, divieti, blocchi, anche se molti degli spostamenti di popolazione sono causati proprio dal riassetto costante delle economie e dalle disuguaglianze di opportunità, dagli squilibri sociali e dalle guerre: a loro volta connesse, se non causate, dalla rapida evoluzione degli equilibri e dei rapporti sociali in questo mondo globalizzato.
Per la politica italiana, ma ancora di più per l’opinione pubblica, l’immigrazione è un problema dai confini incerti, sui quali ogni commentatore può proiettare le proprie angosce. E’ evidente come, nel dibattito sull’immigrazione – ma ancor più sulle sue conseguenze per l’Italia – i dati di fatto vengono considerati poco più di nulla. Sotto molti profili, l’Italia continua ostinatamente a considerare l’immigrazione come un problema congiunturale, sperando che esso finisca per risolversi da solo. Tuttavia, al di là delle paure, gli immigrati sono una straordinaria risorsa, anche se i fenomeni migratori vanno governati per ridurre le inevitabili, temporanee, frizioni sociali. Va evitato che sia il mercato a decidere come l’immigrazione si sparge e si consolida in Italia, con tutti i fenomeni di sfruttamento, di guadagni illeciti di gruppi o privati, di urbanizzazione scomposta e di disagio urbano che ne conseguono. L’unica strada possibile è quella della integrazione sociale e di un accorciamento rapido dei tempi e dei modi della stabilizzazione degli immigrati nel nostro Paese.
Affrontare l’inclusione dei giovani stranieri comporta un grande sforzo del mondo dell’istruzione. Le esperienze degli altri paesi dell’Europa occidentale evidenziano l’esistenza di alcuni problemi comuni nell’integrazione dei figli degli immigrati nel mondo della scuola, parte dei quali presenti anche nel nostro paese. In primo luogo, i figli degli immigrati tendono ad avere un livello di istruzione inferiore a quello dei nativi e a frequentare maggiormente i rami scolastici più professionalizzanti e non quelli più prestigiosi che hanno come sbocco naturale l’università. Queste tendenze non si spiegano con le differenze culturali, dato che i giovani stranieri e quelli italiano appaiono molto simili tra loro: il tifo per le stesse squadre di calcio, i Gormiti, i Winx hanno la meglio sulle tradizioni culturali del paese d’origine. Tuttavia, pur con i suoi limiti scuola è il luogo primario dell’integrazione sociale (o della mancata integrazione) nel nostro Paese. È il crocevia del futuro, sempre, ma ancora di più in questa fase storica. La scuola concretamente può contribuire all’accorciamento rapido dei tempi e dei modi della stabilizzazione degli immigrati nel nostro Paese. Questo riduce la marginalità, diminuisce le zone grigie, la fragilità che rende nella prima fase gli immigrati anche un mondo appetibile per la piccola criminalità e per chi la controlla. Per questo – osserva giustamente Mario Marazziti nella premessa – è necessario lavorare, al più presto, per far crescere una generazione di nuovi cittadini, bambini, ragazzi, giovani, adulti, che non si sentano più chiamati e trattati come “clandestini”, che sappiano fare da ponte con la generazione dei genitori che non torneranno più nel loro Paese, se non come turisti. Sono ragazzi pieni di energia, nati per gran parte in Italia, che guardano al nostro Paese con ammirazione, passione, naturale desiderio di farne parte. In tal senso, appare una strada intelligente quella di cambiare presto la legge sulla cittadinanza per darla a chi nasce e studia fin da bambino in Italia.
Tutti a scuola di Gian Matteo Sabatino è una lettura da non perdere per maestri e insegnanti, per gli educatori, gli amministratori. E’, infine, un libro con l’ambizione di restituire alla scuola il ruolo che le spetta: essa, infatti, pur in concorrenza con diverse agenzie educative (tra le quali la televisione), continua a essere uno spazio educativo comunitario organico ed una platea privilegiata per un dialogo costruttivo col mondo giovanile sempre più bisognoso di un solido rapporto formativo. Malgrado i suoi annosi problemi, le risorse che la scuola, e in particolare modo la famiglia, possiedono sono pure sempre grandi, soprattutto per la forte incidenza della dinamiche psico-affettive che uniscono tra loro le persone che la compongono. Si tratta di tradurre concretamente la proposta che si vuole comunicare in stili di vita capaci di interpretare le istanze reali del momento; ma soprattutto di avere il coraggio di reagire al costume dominante, sapendo andare, se necessario, controcorrente.

recensione a cura di Antonio Salvati