Consiglio di Stato, 12 giugno 2009 n. 3767 su diversi profili di interesse in materia di affidamento della gestione di servizi pubblici

12.06.2009

Nella pronuncia 12 giugno 2009 n. 3767, il Consiglio di Stato affronta diversi profili di interesse in materia di affidamento della gestione servizi pubblici locali relativi e relativi, in particolare:
a) alla portata del divieto di cui all’articolo 13 del cd. Decreto Bersani (d.l. 223/2006);
b) all’irrilevanza della distinzione tra concessione ed appalti ai fini dell’esclusione dei servizi pubblici locali dal divieto previsto per le attività strumentali;
c) all’ammissibilità dei limiti territoriali all’ambito di operatività della società mista;
d) alla sussistenza o meno in capo alla società mista dell’obbligo di dimostrare che l’assunzione del nuovo appalto extra moenia non reca pregiudizio all’assolvimento degli obblighi contratti con gli enti locali autori dei conferimenti societari;
e) alla valutazione che può essere chiamata a compiere un’amministrazione aggiudicatrice in sede di verifica di ammissibilità di una società mista alla gara per l’affidamento di un servizio.
A. La portata del divieto di cui all’articolo 13 del cd. Decreto Bersani (d.l. 223/2006). Il vincolo stabilito dall’art. 13 del d.l. 223 del 2006 nei confronti delle società a capitale interamente pubblico o misto, di operare esclusivamente con le amministrazioni regionali e locali, partecipanti o affidanti, riguarda le società costituite «per la produzione di beni o servizi strumentali alla attività di tali enti in funzione della loro attività», con l’espressa «esclusione dei servizi pubblici locali», così consentendo esplicitamente che le attività concernenti la gestione di servizi pubblici locali possano essere svolte da società a capitale pubblico o misto anche a favore di  soggetti pubblici o privati diversi dagli enti «costituenti, o partecipanti o affidanti».
B. La rilevanza della distinzione tra concessione ed appalti ai fini dell’esclusione dei servizi pubblici locali dal divieto previsto per le attività strumentali. L’asserito rilievo della distinzione tra concessione ed appalti ai fini dell’esclusione dei servizi pubblici locali dal divieto previsto per le attività strumentali sembra trovare un qualche fondamento nella sentenza di primo grado (TAR Lombardia, Milano, 19 ottobre 2007 n. 6137) in cui si attribuisce importanza al fatto che «la gara aveva ad oggetto l’appalto di un servizio pubblico e non la concessione di un servizio pubblico, lasciando intendere che, se si fosse trattato di concessione, il divieto di cui all’art. 13 del d.l. 223 del 2006 non si sarebbe potuto ritenere operante». In tale linea di ragionamento, osserva il Consiglio di Stato, «la posizione dei primi giudici sembra ispirata all’opinione che solo la concessione di servizio pubblico, assentita ad una società a capitale pubblico, non altera il giuoco della libera concorrenza perché il corrispettivo della fornitura dei servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi medesimi (art. 2, comma 12, d.lgs. n. 163 del 2006), comportando quindi un rischio economico, mentre nell’appalto la società mista, in virtù della partecipazione pubblica al capitale, concorre nelle gare in condizioni di vantaggio rispetto alle società a capitale interamente privato». Tale ricostruzione non viene condivisa dal Collegio, che arriva ad affermare espressamente come tale «tesi…non appare condivisibile posto che, nell’appalto come nella concessione, se l’affidatario è una società a capitale pubblico o misto, tanto il concessionario quanto l’appaltatore verrebbero a fruire di quella posizione di vantaggio che viene ricondotta alla utilizzazione di risorse della collettività locale, di cui non fruisce il concorrente a capitale interamente privato».
C. L’ammissibilità dei limiti territoriali all’ambito di operatività della società mista. Deve richiamarsi «l’orientamento, consolidato e univoco, della giurisprudenza amministrativa che ha messo in evidenza come l’azienda mista (a differenza dell’azienda speciale la cui natura strumentale ed il cui regime normativo pretendono un collegamento molto saldo, seppur di natura funzionale, tra l’attività dell’azienda stessa e le esigenze della collettività stanziata sul territorio dell’ente che l’ha costituita) è innanzitutto un soggetto imprenditoriale, rientrante nello schema organizzativo gestionale proprio delle società di capitali e, pertanto, non sottoposto alle limitazioni territoriali di attività cui soggiacciono le aziende speciali». In tale linea di ragionamento, deve ritenersi «escluso che il riconoscimento della legittimazione a concorrere extra moenia contrasti in qualche modo con i principi comunitari in materia di concorrenza e di parità di trattamento tra imprese pubbliche e private»[1].
La richiamata giurisprudenza – osserva ancora il Collegio – «pur ponendo a carico della società mista l’onere di dimostrare che l’assunzione del nuovo servizio non comporta conseguenze negative sulla qualità e l’efficienza del servizio già in atto presso la collettività di cui è esponente l’ente locale partecipante non ha, però, messo in discussione la legittimazione della società mista già affidataria di servizio pubblico locale, a partecipare ad una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento di un nuovo appalto di servizio pubblico locale».
D. L’effettiva sussistenza dell’obbligo di dimostrare che l’assunzione del nuovo appalto extra moenia non pregiudichi l’assolvimento degli obblighi contratti con gli enti locali autori dei conferimenti societari. Devono esprimersi dubbi sulla fondatezza dell’obbligo che, in assenza di qualunque previsione legislativa specifica, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto di evincere – sulla base di una lettura sistematica del quadro normativo generale di riferimento, sia di ordine comunitario che interno – a carico delle società miste di dare dimostrazione del fatto che l’assunzione di un appalto extra moenia non pregiudichi l’assolvimento degli obblighi contratti con gli enti locali autori dei conferimenti societari.
In argomento, il Collegio osserva come «la precisa connotazione del limite all’attività extra moenia della società mista derivante dal collegamento con la collettività territoriale, per così dire, di origine, è stata condotta per la prima volta dalla decisione della Sezione 3 settembre 2001 n. 4586, con la quale si è accuratamente tratteggiata la differenza tra le società in questione e le aziende speciali, con particolare riguardo al diverso rilievo che nei due tipi assume il vincolo della strumentalità con l’ente costituente».
Nella pronuncia da ultimo richiamata, si è, nella sostanza, affermato come non possa ritenersi accettabile che «sotto le mentite spoglie del limite funzionale torni a vigere uno stringente limite di carattere fisico-territoriale, né può pensarsi ad un vincolo interpretato negli stessi identici termini delle aziende speciali».
In tale linea di ragionamento, dunque, «il vincolo funzionale va dimensionato di volta in volta valutandone gli effetti, nel senso che occorre verificare concretamente se l’impegno extraterritoriale eventualmente distolga e in che rilevanza risorse e mezzi, senza apprezzabili ritorni di utilità (anch’essi da valutarsi in relazione all’impegno profuso e agli eventuali  rischi finanziari corsi) per la collettività di riferimento».
Tale vincolo funzionale, deve però operare «in termini residuali, entrando in gioco solo qualora vi sia una distrazione di risorse e mezzi che sia effettivamente apprezzabile e che realisticamente possa portare pregiudizio alla collettività di riferimento» (Cfr. in senso conforme le pronunce della Sezione 30 maggio 2005, n. 2756 e sezione IV, 20 settembre 2005, n. 5204, e  del  C.G.A. 21 marzo 2007 n. 197 e ancora Sezione V, 25 agosto 2008 n. 4080.
L’evoluzione giurisprudenziale successiva, però, è arrivata ad «accentuare sempre più il rilievo da attribuire al collegamento funzionale della società mista con il soggetto (o i soggetti) che la ha (hanno) costituita, fino a concepire in capo alla medesima, in sede di partecipazione ad una gara per l’affidamento di un servizio pubblico indetta da un diverso ente locale, l’onere di dimostrare, a pena di esclusione, il possesso di un autonomo requisito di carattere soggettivo, anche se non richiesto dalla lex specialis, consistente nella compatibilità della assunzione del nuovo servizio con gli impegni contratti con la comunità di riferimento, ed affidandone la verifica alla commissione di gara. Con la conseguenza che, ove la commissione non sia stata messa nella condizione di effettuare tale riscontro, o comunque non lo abbia effettuato, la ammissione alla gara dell’offerta avanzata dalla società mista sarebbe illegittima».
L’evoluzione giurisprudenziale da ultimo delineata non è condivisa nella sentenza oggetto di questa segnalazione. Nella pronuncia, infatti, i Giudici affermano espressamente come tale «orientamento giurisprudenziale si risolve in una dilatazione del vincolo degli impegni assunti con la comunità territoriale di origine che appare impropria e non coerente con la ragion d’essere del vincolo stesso. E’ opinione del Collegio che, come temuto dalla decisione n. 4586 parzialmente trascritta sopra, “sotto le mentite spoglie del limite funzionale torni a vigere uno stringente limite di carattere fisico-territoriale”».
E) La valutazione che può essere chiamata a compiere un’amministrazione aggiudicatrice in sede di verifica di ammissibilità di una società mista alla gara per l’affidamento di un servizio. Sulla base della ricostruzione sopra delineata, si afferma allora che «la commissione giudicatrice di una pubblica gara deve curare l’interesse, di cui è portatore l’ente che bandisce la gara, a che le concorrenti propongano di svolgere il servizio da appaltare secondo offerte che ne garantiscano una perfetta esecuzione».
In tale linea di ragionamento – osserva conclusivamente il Collegio –, «l’attribuzione di un qualche rilievo seppure “residuale”, al profilo del rischio che la partecipazione alla gara di una società mista determini un’inaccettabile sottrazione di risorse alla collettività di riferimento, si rivela non funzionale ai (e coerente con) i compiti tipici della commissione di gara, che attengono alla cura dell’interesse dell’ente affidante, dai quali certamente esula l’apprezzamento degli eventuali riflessi negativi che l’assunzione del nuovo servizio da parte della società mista determinerebbe per la collettività di riferimento»[2].
Nel caso in cui si dovesse accettare l’opposta soluzione, infatti, «si realizzerebbe, in sostanza, una sorta di eterogenesi dei fini, perché la società mista, alla cui gestione partecipano gli enti esponenziali di determinate collettività, partecipando alla gara, dimostra l’interesse delle medesime collettività ad acquisire i vantaggi connessi all’aggiudicazione, ma questo interesse può essere negato dall’ente affidante, soggetto estraneo alla gestione societaria, che dovrebbe escludere la concorrente sacrificando il proprio legittimo interesse ad aggiudicare la gara proprio all’offerta presentata dalla società mista, in quanto più conveniente».

[1] Sul punto, nella pronuncia si afferma espressamente che la stessa Corte di Giustizia (7 dicembre 2002, Arge Gewasserschutz c/Bundesministerium für Land und forestwirtschaft), abbia ammesso che il solo fatto che amministrazioni aggiudicatici consentano la partecipazione ad un procedimento di aggiudicazione di un pubblico appalto ad organismi che beneficiano di sovvenzioni pubbliche (nel caso in esame, sotto forma di sottoscrizione del capitale sociale) non costituisce automaticamente violazione del principio di parità di trattamento (e della concorrenza), non sussistendo, del resto, a livello di normativa comunitaria un espresso divieto di partecipazione di tali organismi a dette procedure di appalto. In tale evenienza, è comunque fatta salva la possibilità di procedere ad una accorta e puntuale valutazione della congruità dell’offerta, al fine di evitare che un’offerta particolarmente bassa possa essere proprio il frutto della predetta particolare posizione dell’organismo a partecipazione pubblica che ha preso parte alla gara. Per la giurisprudenza nazionale si vedano Cons. St., Sez. V, 3 settembre 2001 n. 6525; 7 settembre 2004 n. 5843; 3 ottobre 2005 n. 5304; C.G.A. 21 marzo 2007 n. 197.
[2] I Giudici rilevano altresì come appaia «arduo rinvenire un qualche valido titolo giuridico che, in assenza di una previsione di legge generale o di lex specialis, abiliti l’ente affidante, e per esso la commissione di gara, ad esprimere una qualche valutazione sul rapporto, cui è estraneo, tra l’ente (o gli enti) costituenti o partecipanti e la società mista, e sulla capacità di questa di rispettare gli impegni assunti con l’area di riferimento». Del pari, non risulta chiarito «come potrebbe ritenersi legittima, e conforme al principio del buon andamento, ossia agli interessi della  comunità di cui l’ente affidante è esponente, una determinazione di inammissibilità di una offerta avanzata da società mista che, alla stregua del bando e del capitolato, risulti conveniente, plausibile e non anomala, e la cui esclusione sia giustificata con la sottrazione di risorse in danno degli enti che hanno proposto l’offerta, i quali, a loro volta, nell’interesse delle comunità di riferimento, hanno ritenuto utile partecipare alla gara».
a cura di Luigi Alla


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