La normativa comunitaria è contraria ad un divieto assoluto di partecipazione ad appalti pubblici a carico di imprese collegate

05.06.2009

Corte di Giustizia, sentenza 19 maggio 2009, in tema di appalti pubblici di servizi, direttiva 92/50/CEE, normativa nazionale che non autorizza la partecipazione ad una medesima procedura di aggiudicazione di società aventi fra loro un rapporto di controllo o di influenza notevole (causa C-538/07, Assitur Srl, Camera di Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura di Milano).

La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame verte sull’interpretazione dell’art. 29, primo comma, della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che definisce le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, nonché i principi generali del diritto comunitario in materia. La questione è sorta nell’ambito di una controversia tra l’Assitur Srl e la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Milano, in merito alla compatibilità con le disposizioni e i principi comunitari di una normativa nazionale, l’art. 34 dlgs. 2006, n. 163, che vieta la partecipazione ad una medesima procedura di aggiudicazione di appalto, in modo separato e concorrente, di società tra le quali sussista un rapporto di controllo o delle quali una eserciti sulle altre un’influenza notevole.
Posto che l’elenco tassativo previsto dall’art. 29 della direttiva prende in considerazione cause di esclusione riguardanti unicamente le qualità professionali degli interessati, la Corte afferma che l’elenco non esclude la facoltà degli Stati membri di stabilire, in aggiunta a tali cause di esclusione, norme sostanziali dirette a garantire, in materia di appalti pubblici, il rispetto dei principi di parità di trattamento di tutti gli offerenti e di trasparenza propri della disciplina comunitaria relativa alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, a condizione però che venga rispettato il principio di proporzionalità. È evidente, appunto, che la misura legislativa nazionale come quella di cui trattasi nella causa principale è volta ad impedire ogni possibile forma di collusione tra i partecipanti ad una medesima procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico nonché a tutelare la parità di trattamento dei candidati e la trasparenza della procedura.
Esaminando la causa principale secondo i parametri del principio di proporzionalità, invece, la Corte afferma che sarebbe contraria ad un’efficace applicazione del diritto comunitario l’esclusione sistematica, secondo presunzione assoluta, delle imprese tra loro collegate dal diritto di partecipare ad una medesima procedura di aggiudicazione di appalto pubblico. Una soluzione siffatta, infatti, ridurrebbe notevolmente la concorrenza a livello comunitario. Dunque, la semplice constatazione dell’esistenza di un rapporto di controllo tra le imprese considerate, risultante dall’assetto proprietario o dal numero dei diritti di voto che possono esercitarsi nelle assemblee ordinarie, non è sufficiente affinché l’amministrazione aggiudicatrice possa escludere automaticamente tali imprese dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, senza verificare se un tale rapporto abbia avuto un impatto concreto sul loro rispettivo comportamento nell’ambito di questa procedura.
Una tale normativa, basata su una presunzione assoluta, viola il principio di proporzionalità, in quanto non lascia a tali imprese la possibilità di dimostrare l’insussistenza di reali rischi di insorgenza di pratiche atte a minacciare la trasparenza e a falsare la concorrenza tra gli offerenti.

a cura di Ileana Boccuzzi