Corte costituzionale, 22 maggio 2009, n. 159
Giudizio di legittimità costituzionale in via principale sollevato dallo Stato avverso la Regione Friuli Venezia Giulia
Norme impugnate e parametri di riferimento:
Sono impugnate numerose disposizioni della legge della Regione Friuli Venezia Giulia 18 dicembre 2007, n. 29, recante norme per la tutela, valorizzazione e promozione della lingua friulana, nella misura in cui:
1. prevedono un obbligo generale per gli uffici dell’intero sistema regionale, anche nelle aree escluse dal territorio di insediamento del gruppo linguistico friulano, di rispondere alla generalità dei cittadini che si avvalgono del diritto di usare tale lingua, di redigere anche in friulano gli atti, nonché di effettuare in tale lingua la comunicazione istituzionale e la pubblicità (art. 6, co. 2 e art. 8, co. 1 e 3);
2. in ordine all’attività svolta in seno ai consigli comunali, delle associazioni intercomunali e delle unioni di Comuni, delle Comunita’ montane e delle Province che comprendono Comuni nei quali e’ riconosciuta la lingua friulana, prevedono una mera facoltà della ripetizione degli interventi in lingua italiana, in contrasto con il principio stabilito dalla legislazione statale sul valore esclusivo degli atti redatti in lingua italiana (art. 9, co. 3);
3. contemplano l’utilizzazione di toponimi nella sola lingua friulana (art. 11, co. 5);
4. impongono alle istituzioni scolastiche di impartire tale insegnamento (art. 12, co. 3);
5. stabiliscono che l’insegnamento della lingua friulana è garantito almeno un’ora alla settimana (art. 14, co. 2-3);
6. legittimano la Regione a “sostenere” l’insegnamento della lingua friulana anche nelle istituzioni scolastiche situate nelle aree escluse dal territorio di insediamento della minoranza friulana (art. 18, co. 4).
In particolare, le disposizioni richiamate contrasterebbero con gli artt. 3, 6 e 117 Cost.
Argomentazioni della Corte:
La Corte, richiamata la natura di principio fondamentale costituzionale della tutela delle minoranze linguistiche, ricorda che, contro l’originario orientamento giurisprudenziale che riservava allo Stato la titolarità del potere normativo derivante dall’attuazione dell’art. 6 Cost., si è successivamente riconosciuta la possibilità per le Regioni e le Province autonome di disciplinare il fenomeno, seppure nel rispetto di quanto determinato dal legislatore statale. Ne deriva un riparto di competenze tra la legislazione statale e quella regionale derogatorio rispetto alle ordinarie categorie dell’art. 117 Cost., che riserva alcuni profili di disciplina (quelli attinenti alla tutela dei diritti degli altri soggetti non appartenenti alla minoranza linguistica e all’organizzazione dei pubblici uffici) al legislatore statale, ma ammette spazi di intervento (seppure non a carattere esclusivo) al legislatore regionale.
Sul piano della legislazione statale, viene in rilievo in particolare la legge n. 482 del 1999, espressamente intesa come attuativa dell’art. 6 Cost., che si autoqualifica come non modificabile dalle Regioni ordinarie, ma che viene considerata dalla Corte vincolante anche per il legislatore della Regione Friuli Venezia Giulia.
Alla luce di tale inquadramento generale della materia, la Corte osserva come molte disposizioni della legge regionale n. 29 del 2007 risultino attuative della legge n. 482 del 1999. Nel merito, la Corte ribadisce che:
1. il sistema di tutela delle minoranze linguistiche delineato dalla lege n. 482 del 1999 è definito su base territoriale, non già personale, sicché risultano illegittime le disposizioni regionali che prescindono da questa delimitazione territoriale delle aree soggette alla tutela linguistica;
2. la puntuale comprensione degli interventi svolti in un organo collegiale è di fondamentale importanza ai fini del suo corretto funzionamento, sicchè appare imprescindibile la conoscenza, nella lingua italiana, da parte di tutti i componenti l’organo degli atti e degli interventi posti in essere;
3. la facoltà per i Comuni di adottare i toponimi anche nella sola lingua friulana è incompatibile con la previsione del legislatore statale di consentire solo “in aggiunta” l’uso di toponimi nella lingua minoritaria;
4. non è legittima l’introduzione di una sorta di “silenzio-assenso” all’insegnamento nelle scuole della lingua friulana da parte dei genitori che, all’atto dell’iscrizione dei figli, non dichiarino di rinunciare a tale insegnamento;
5. l’insegnamento obbligatorio del friulano per almeno un’ora alla settimana contrasta con l’autonomia didattica delle scuole in merito ai tempi di insegnamento della lingua minoritaria; altrettanto illegittima appare la previsione dell’apprendimento veicolare della lingua friulana;
6. la possibilità per la Regione di “sostenere” l’insegnamento della lingua friulana anche al di fuori delle aree interessate dalla presenza della minoranza linguistica, in quanto configurata come mera possibilità di sostegno economico alle scuole, non appare lesiva della loro autonomia didattica.
Decisione della Corte:
La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 6, co. 2 – 8, co. 1 e 3 – 9, co. 3 – 11, co. 5 – 12, co. 3 – 14, co. 2 e 3 ultimo periodo della l.r. n. 29/2007; è viceversa dichiarata non fondata la questione relativa all’art. 18, co. 4 della legge impugnata.
Giurisprudenza richiamata:
– Sulla tutela delle minoranze linguistiche come principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale: Corte cost., sentt. nn. 768 del 1988, 261 del 1995, 15 del 1996;
– Sull’italiano come unica lingua ufficiale del nostro paese: Corte cost., sent. n. 28 del 1982;
– Sull’originario orientamento giurisprudenziale della Corte, che riconosceva unicamente al legislatore statale la titolarità del potere normativo sull’attuazione dell’art. 6 Cost.: Corte cost., sentt. nn. 38 del 1960, 1 e 46 del 1961, 128 del 1963, 14 del 1965;
Sul successivo orientamento giurisprudenziale della Corte, che ammette l’intervento del legislatore regionale seppure nel rispetto di quanto stabilito dalla legislazione statale: Corte cost., sentt. nn. 312 del 1983, 289 del 1987, 261 del 1995.