L’articolo 13 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248 – cd. Decreto Bersani, reca una disciplina in ordine al regime giuridico delle società pubbliche locali e delle relative attività intercettando il tema del c.d. in house providing e dei limiti di operatività di tali particolari soggetti affidatari.
Nel delimitare l’ambito di propria applicazione, l’art. 13 del D.L. n. 223, oltre a far riferimento alle «società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali o locali», pone in luce come tali società devono avere come oggetto, alternativamente, o «la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti» ovvero «lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza» ove consentito.
Ad avviso del Giudici, tale aspetto assume una valenza decisiva ai fini del inquadramento sistematico della norma. Essa, infatti, detta come prima e più significativa prescrizione per le società pubbliche da essa disciplinate quella di «operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti», con il corollario che le società stesse «non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara».
La ratio legis indicata dallo stesso art. 13 nel suo incipit – evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e assicurare la parità tra gli operatori – trova la sua principale esplicazione nella precisa delimitazione del ruolo delle società costituite o comunque partecipate dagli enti locali per la produzione in house di beni e servizi strumentali alla loro attività, delimitazione realizzata attraverso la imposizione di una corrispondenza soggettiva tra enti pubblici titolari del capitale sociale, ed esercitanti il c.d. “controllo analogo”, ed enti beneficiari delle prestazioni delle società. In altre parole, il significato precipuo della normativa è che, se da un lato, è ben possibile che gli enti pubblici costituiscano società in house per lo svolgimento di attività strumentale e sottrarsi alle procedure di gara per l’affidamento di tali compiti, dall’altro, le società affidatarie in house che ne derivano dovranno operare solo per gli enti che le hanno generate, non potendo utilizzare il vantaggio che deriva loro da quella particolare origine, e dallo svolgimento privilegiato delle attività per conto degli enti costituenti, per partecipare a procedure di affidamento da parte di altri soggetti pubblici in condizione di solo apparente concorrenza con gli altri operatori economici.
Tale ricostruzione, rilevano i Giudici, lungi dal porre l’articolo 13 del c.d. Decreto Bersani in contrasto con i principi comunitari, rende evidente come la disciplina da questo dettata possa esserne considerata «una specificazione ed applicazione, in quanto l’apertura delle direttive comunitarie verso la partecipazione alle gare dei soggetti anche di matrice pubblica presuppone una loro posizione paritaria, e non può riferirsi alle società appositamente costituite dalle pubbliche Amministrazioni per l’autoproduzione di beni e servizi», cui è, invece, indirizzato l’art. 13 del D.L. 223/06. Coerentemente con questa impostazione, si muove, del resto, anche il quarto considerando della direttiva 2004/18/CE che impegna gli Stati membri a provvedere «affinché la partecipazione di un offerente che è un organismo di diritto pubblico a una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico non causi distorsioni della concorrenza nei confronti di offerenti privati».