Approvato definitivamente il ddl “Brunetta”

25.02.2009

Il 25 febbraio 2009 è stato approvato definitivamente dal Senato il disegno di legge delega (AS 847-B), in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico ed efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, c.d. ddl “Brunetta”.
Il provvedimento, collegato alla manovra finanziaria per il 2009, ha avuto un iter parlamentare piuttosto celere (è stato il primo collegato ad essere approvato) e caratterizzato da un “clima bipartisan”, con l’accoglimento di numerose proposte dell’opposizione.
Il proficuo dialogo tra forze politiche ha portato all’approvazione di una legge contenente alcune disposizioni immediatamente precettive e ben cinque deleghe, da esercitare nel breve termine di 9 mesi: per la riforma della contrattazione collettiva ed integrativa, in materia di valutazione delle strutture e del personale della pubblica amministrazione (e di istituzione dell’azione collettiva verso la PA), con la creazione nella ambito dell’ARAN di un organismo indipendente con funzioni di indirizzo e coordinamento delle strutture preposte alla valutazione, per l’introduzione di strumenti di valorizzazione del merito e di incentivazione della produttività, per la riforma della dirigenza pubblica e per la modifica della disciplina delle sanzioni disciplinari.
L’intervento contiene – specialmente tra i criteri direttivi delle deleghe che dovranno essere attuate – diverse prescrizioni più che condivisibili per chi auspica e si adopera per la modernizzazione della Pubblica Amministrazione italiana.
Si segnala, in particolare, la rinnovata attenzione alle tematiche della valutazione, estesa a tutto il personale, e dell’incentivazione anche economica della produttività, con esplicita esclusione della “corresponsione generalizzata ed indifferenziata di indennità e premi incentivanti a tutto il personale” (cfr. art. 5, comma 2, lett. a).
Rilevante è, poi, la nuova concezione della dirigenza pubblica che dai relativi principi di delega emerge: una dirigenza responsabilizzata, chiamata a rispondere sempre più del mancato raggiungimento degli obiettivi fissati, con esplicita ipotesi di decadenza dal trattamento economico accessorio (che dovrà essere almeno il 30% di quello totale) per omessa vigilanza sulla effettiva produttività delle risorse umane assegnate (art. 6, comma 2, lett. b), ma anche una dirigenza pubblica con più incisivi poteri disciplinali e di incentivazione del personale.
Inoltre, da alcuni specifici criteri direttivi sembra emergere l’intento di promuovere un’alta qualità della dirigenza pubblica: da un lato, stabilendo che una percentuale di dirigenti di prima fascia sia scelta mediante procedure concorsuali selettive e previo compimento di un periodo di formazione di almeno sei mesi all’estero (art. 6, comma 2, lettere f) e g), dall’altro, prevedendo – assai condivisibilmente – la riduzione delle percentuali di possibile ricorso al conferimento di funzioni dirigenziali tramite scelta politica discrezionale (cfr. lo specifico criterio direttivo contenuto all’art. 6, comma 2, lett. i, ma anche l’ordine del giorno De Girolamo n. 9/2031/13, accettato dal Governo, che impegna il Governo a utilizzare dirigenti esterni solo per comprovate situazioni di necessità).
In questo positivo quadro generale affiorano, però, anche alcune previsioni, non contenute nell’originario disegno di legge governativo, che destano più di una perplessità.
Si tratta, in particolare, delle disposizioni (art. 6, comma 3) che innalzano l’età per procedere al ricambio dei vertici delle pubbliche amministrazioni e, soprattutto, delle discutibili norme in materia di Corte dei Conti, che allarmano per il concreto rischio di indebolimento della terzietà della magistratura contabile: tra l’altro l’art. 11, comma 6, modifica notevolmente a svantaggio dei componenti eletti dagli stessi giudici contabili la composizione del Consiglio di Presidenza della Corte, organo di particolare delicatezza istituzionale.

a cura di Giovanni Savini