Analisi delle proposte di riforma regolamentari della XVI legislatura (Roma, 12 dicembre 2008) – Resoconto convegno

08.01.2009

Il 12 dicembre 2008 si è tenuto presso la sede della Facoltà di Giurisprudenza della LUMSA di Roma un seminario, co-organizzato con il Centro studi sul Parlamento della LUISS-Guido Carli e con il Dottorato in Diritto costituzionale e Diritto costituzionale europeo dell’Università di Teramo, dedicato all’analisi delle proposte di riforma dei regolamenti parlamentari elaborate nel primo scorcio della XVI legislatura. Dopo un saluto introduttivo del prof. Eduardo GIANFRANCESCO, il prof. Nicola LUPO ha ricordato, con un minuto di raccoglimento, la figura del prof. Massimo Baldini, Preside della Facoltà di Scienze politiche della LUISS, improvvisamente scomparso due giorni prima. Il prof. Andrea MANZELLA ha introdotto il seminario, soffermandosi, in primo luogo, sul tema dei “tempi” delle riforme. Manzella ha evidenziato come l’idea – oggi divulgata da maggioranza e (parte della) opposizione – della “politica dei due tempi”, secondo la quale i tempi delle riforme dell’ordinamento andrebbero scissi, non sia perseguibile: slegare riforme fra di loro intrinsecamente connesse (la riforma della giustizia e il giusto processo; le riforme regolamentari e quelle costituzionali; il federalismo fiscale e quello istituzionale) non è infatti possibile, se non a costo di rinunciare ad ogni riforma equilibrata. Oggi per andare avanti sul tema delle riforme istituzionali, ha proseguito Manzella, è necessario rispondere preventivamente ad una questione cruciale: quali sono i confini tra il diritto parlamentare e il diritto costituzionale; e fin dove le regole parlamentari possono supplire alle norme costituzionali. Indubbiamente interventi di “ordinaria manutenzione” sui regolamenti possono migliorare il funzionamento delle istituzioni parlamentari. Ma lo stesso non vale per le regole che disciplinano il rapporto tra Governo e Parlamento, i diritti delle maggioranza e le garanzie dell’opposizione. La questione, nel nostro Paese, è complicata dal fatto che le disposizioni sul rapporto fiduciario e sul procedimento legislativo contenute in Costituzione sono esigue. Basti il paragone con la Costituzione francese, dove gli articoli dedicati ai rapporti tra Parlamento e Governo sono oltre una ventina. Ma la Costituzione francese può essere d’esempio per l’Italia anche sotto altri punti di vista: in particolare, quanto alla distinzione tra ciò che deve andare in Costituzione e ciò che può restare all’autoregolazione delle Camere. Forzare dentro i confini delle regole parlamentari relazioni e garanzie che andrebbero invece fissate costituzionalmente – ha sottolineato Manzella – non è più possibile. Ed anche sotto questo aspetto l’esempio francese è illuminante. Da ultimo, anche con la riforma costituzionale del luglio scorso, in Francia sono stati costituzionalizzate regole e garanzie che non potevano rimanere “semplici” regole parlamentari. Ancora irrisolta risulta, poi, l’aporia tra l’art. 111 e l’art. 66 della Costituzione: è evidente, infatti, l’inconciliabilità del diritto ad avere un giudice terzo e imparziale con il principio secondo il quale ciascuna Camera è giudice dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause di ineleggibilità e incompatibilità. Infine, va rilevato il problema della fuga dalla rappresentatività del Parlamento, che si traduce nella debole capacità del Parlamento di essere oggi veramente rappresentativo della comunità politica di elezione; questione che richiama la grande esigenza di democrazia partecipativa, volta a coinvolgere tutti gli interessi della società. Rimarcando la necessità di un Parlamento nuovo e rigenerato, il prof. Manzella ha menzionato – ancora una volta – la revisione della Costituzione francese che ha attribuito al Parlamento l’ulteriore compito di valutare le politiche pubbliche.

Dopo una fitta serie di relazioni, svolte sotto la presidenza prima del prof. Andrea Manzella e poi della prof.ssa Melina Decaro, e dedicate ai singoli istituti interessati dalle proposte di modifica dei regolamenti parlamentari fin qui presentate (I gruppi parlamentari, Massimo Rubechi; L’organizzazione delle Camere: le commissioni e le prerogative parlamentari, Pietro Gambale; La programmazione dei lavori, Elena Griglio; I poteri delle minoranze e lo statuto dell’Opposizione, Giovanna Perniciaro; Il procedimento legislativo, Giovanni Piccirilli; Il rapporto fiduciario, la funzione ispettiva e il controllo parlamentare, Francesca Rosa; Parlamento e Unione europea, Maria Teresa Nigro; Parlamento e Regioni, Michela Michetti), il seminario si è concluso con una tavola rotonda. In apertura dei lavori della tavola rotonda, il prof. Vincenzo LIPPOLIS ha escluso, a suo parere, che in questa legislatura si possa arrivare a corpose modifiche dei regolamenti parlamentari, anche perché le proposte di modifica finora presentate non hanno fatto che ripercorrere problematiche assai note e discusse fin dagli inizi degli anni Ottanta, come quella della c.d. “corsia preferenziale” per i disegni di legge del Governo. Ha quindi preso la parola il prof. Luigi CIAURRO, che ha innanzitutto offerto al dibattito una provocazione, secondo la quale, al momento attuale, non si può più procedere a riforme settoriali dei regolamenti parlamentari, richiedendosi invece una loro riscrittura integrale, analogamente a quanto avvenuto nel 1971. Secondo la sua opinione, continuare con un’operazione di semplice manutenzione delle norme esistenti finirebbe per assomigliare ad una sorta di “accanimento terapeutico”, che non può risultare in alcun modo convincente. Nell’attuale fase, in cui predomina il bipolarismo, le norme scritte devono avere una precettività giuridica prevalente. Al contrario, le norme di diritto parlamentare scritto vengono sempre meno applicate, a tal punto da diventare foriere di differenti interpretazioni, per costituire poi il sostrato di precedenti parlamentari. Nell’ambito del procedimento legislativo, ha auspicato il superamento del dogma dell’unicità del procedimento (prevedendo quindi procedimenti differenziati per i diversi contenuti specifici dei disegni di legge) e, soprattutto, ha insistito sull’abolizione della discussione generale – eseguita prima di quella dei singoli articoli – in quanto causa di rallentamenti del procedimento decisionale, nonché, ai fini pratici, assai poco utile. Di conseguenza, ha guardato con favore alla proposta di modifica del regolamento del Senato avanzata dal gruppo dell’Italia dei Valori, ove si vorrebbe considerare la sede redigente quale normale sede di assegnazione dei progetti di legge. A favore delle garanzie delle minoranze, infine, non ritiene necessaria una modifica costituzionale che renda possibile il loro accesso alla Corte costituzionale: la via da percorrere è nei regolamenti parlamentari mediante la previsione di maggioranze più ampie per le decisioni fondamentali, nonché di spazi per le minoranze nell’organizzazione dei lavori. Il prof. Salvatore CURRERI ha innanzitutto sottolineato l’importanza delle condizioni politiche che si pongono alla base delle modifiche regolamentari presentate: la stesura di numerose proposte testimonia un serio sforzo riformatore. Ad oggi, le riforme regolamentari sono sostanzialmente ferme al 1997, con la modifica del regolamento della Camera dei deputati: da quel momento, si è tentata, dapprima, la strada delle riforme costituzionali, mentre ora l’impegno è volto nuovamente alla riforma regolamentare. È da notare come la Giunta per il Regolamento in questi sei mesi di legislatura non abbia ancora cominciato l’esame delle proposte presentate e, di conseguenza, non sia ancora avviato un processo di “maturazione” della decisione finale. Riprendendo le considerazioni iniziali del prof. Manzella, si è quindi interrogato sulla effettiva sussistenza di un ulteriore spazio per le riforme regolamentari, oppure se si sia giunti ad un punto in cui qualsiasi riforma si porrebbe in contrasto con le disposizioni costituzionali. Il dettato costituzionale si configura come elastico e aperto a possibili evoluzioni; all’interno della cornice di quei pochi articoli della Costituzione rientrano le diposizioni dei regolamenti parlamentari. I capi su cui intervenire sono molteplici: innanzitutto, è da prendere in seria considerazione la situazione di preponderanza del Governo nel procedimento legislativo, all’interno del quale non sembrano esistere effettivi strumenti di garanzia delle prerogative dell’opposizione. Una possibile via di soluzione potrebbe derivare dal ripescaggio delle procedure d’urgenza definite dall’art. 72 della Costituzione, di cui si è data un’attuazione del tutto insufficiente. Per quanto riguarda la crisi del Parlamento e il relativo deficit di rappresentanza, è necessario potenziare il ruolo delle minoranze, poiché l’azione dell’opposizione in Parlamento ha un senso nel momento in cui riesce a far prendere una determinata posizione al Governo. In definitiva, l’opposizione deve agire non solo nella fase del controllo, ma anche in quella dell’iniziativa, soprattutto attraverso un efficace uso dei mezzi di comunicazione, al fine di richiamare il Governo a “rispondere” in Parlamento e nel Paese del suo operato. Senza tale operazione comunicativa nei confronti dei cittadini, qualunque strumento di controllo diretto al Governo finirebbe per seguire la medesima sorte del Premier question time, del quale non basta trasfondere in Italia le dinamiche, se invece manca il retroterra culturale dell’esperienza inglese. Il cons. Luigi GIANNITI ha messo in rilievo l’assenza di un disegno organico alla base delle proposte di riforma regolamentare fin qui presentate. Non c’è un’ambizione intellettuale, una comunione d’intenti che vada al di là della revisione rapporto tra Parlamento e Governo e della necessità di tempi di decisione parlamentare più rapidi. Restano i frammenti di una necessaria razionalizzazione: regole vecchie accompagnate da precedenti stravaganti. Forse, l’unico tema su cui è possibile ritrovare una certa convergenza e omogeneità sembra quello della disciplina dei gruppi parlamentari, sul quale ci si è resi conto che, terminato il sistema dei partiti, le regole preesistenti avevano smesso di funzionare. Una riforma, quindi, è produttiva se nasce all’interno di un disegno, la cui assenza si è tradotta, ad esempio, nella mancanza di fantasia nel prefigurare valide proposte sulla funzione di controllo, magari incidenti anche sul versante delle nomine effettuate dal Governo, sull’esempio dell’esperienza statunitense (e ora anche di quella francese). La prof.ssa Tania GROPPI ha posto l’attenzione sui motivi che hanno dato vita a questa intensa stagione di proposte di modifica regolamentare, sottolineando come molti dei testi presentati nascano come tentativi di “risposta” alla proposta di riforma elaborata dalla maggioranza. Da un’analisi complessiva del sistema istituzionale, apparirebbe però, forse, non così essenziale il rafforzamento del Governo in Parlamento, specie di fronte alla enorme crisi di rappresentatività che sta vivendo il Parlamento italiano nella presente fase storica. Dunque, piuttosto che nel senso di ulteriori riforme regolamentari, si dovrebbe agire con la riforma dellla legge elettorale e, soprattutto, con l’introduzione di una legge sui partiti. Infine, lo strumento regolamentare appare inidoneo per interventi su questioni di così ampio respiro: sia perché tanti aspetti ad esso possono sfuggire, sia perché i regolamenti creano una zona franca, essendo sottraetti, in Italia, a qualsiasi controllo da parte di soggetti esterni. Il prof. Andrea PERTICI ha analizzato il rapporto tra riforme costituzionali e riforme regolamentari, sulla scia dell’iniziale interrogativo posto dal prof. Manzella, mettendo in luce una seria difficoltà nella realizzazione di riforme regolamentari disgiunte da un più ampio quadro di revisione costituzionale. Da un punto di vista metodologico, rileva come sia normale una iniziale eterogeneità tra le proposte presentate, posto che ciascun attore politico pone all’attenzione il suo interesse specifico, ai fini della ricerca di un punto di equilibrio con le altre opzioni “individuali”. La riscrittura dei rapporti tra maggioranza e opposizione in un sistema bicamerale perfetto rappresenta certamente una difficoltà, ma ritiene che comunque il “governo ombra” possa funzionare con due Camere, anche se nelle proposte di riforma dei regolamenti il ruolo del “governo ombra” non appare particolarmente significativo. Ulteriori problemi emergono riguardo alla programmazione dei lavori: non si può considerare il Parlamento un impaccio all’attuazione del programma del Governo; certo, si può prevedere la certezza dei tempi decisionali, ma la costruzione di una “corsia preferenziale” a favore del Governo senza la contestuale definizione di un limite massimo al numero delle proposte che possono beneficiarne appare eccessiva, finendo per svilire il ruolo dell’opposizione, e finanche quello della stessa maggioranza. Il prof. Guido RIVOSECCHI, affrontando il discorso dal punto di vista del metodo, ha affermato che è necessario partire da una procedura il più possibile condivisa. O si mira ad un’operazione di ordinaria manutenzione di ciascun regolamento o, in alternativa, ad una integrale riscrittura dei regolamenti delle due Camere. Se l’obiettivo è quello di adeguare i regolamenti parlamentari al principio maggioritario sarebbe necessaria una riforma bipartisan, ma l’attuale clima politico non sembra adatto per un intervento ampio sui regolamenti parlamentari. Dal punto di vista dei contenuti, si registra una scarsa attenzione a quanto è accaduto in Parlamento fino ad oggi: infatti, non si può dire che non sia stato fatto nulla con la riforma del regolamento della Camera nel 1997. Sul tema della programmazione dei lavori, sicuramente si possono ipotizzare forme più incisive di intervento. A tal riguardo, è importante che sia l’opposizione a decidere come utilizzare il proprio spazio e soprattutto come articolare l’attività di controllo. In definitiva, non si possono ignorare le progressive modifiche che sono state fatte ai regolamenti parlamentari negli ultimi trent’anni, rendendoli già oggi radicalmente diversi da quelli della codificazione del 1971. Forse il passo più importante sarebbe quello di permettere forme di giustiziabilità delle violazioni dei regolamenti parlamentari attraverso l’intervento della Corte costituzionale, a garanzia delle competenze del legislativo e dell’esecutivo. In conclusione, il prof. Vincenzo LIPPOLIS ha ritenuto naturale che si verifichi, con la progressiva affermazione del principio maggioritario, una sostanziale “eclissi” del Parlamento come organo di decisione sostanziale. Tuttavia, lo stesso Parlamento potrebbe ritrovare una rinnovata vitalità attraverso il ripensamento della funzione di controllo nei confronti del Governo. Forse, però, più che di nuove regole, il Parlamento ha anzitutto necessità di una riqualificazione della classe politica: come ricordava Karl Popper, “le istituzioni sono delle fortezze; il loro buon funzionamento dipende dalla qualità delle guarnigioni”.


Ileana Boccuzzi