Deve ritenersi costituzionalmente illegittimo l’articolo 3, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 novembre 2007, n. 12 il quale prevede che l’affidamento in house possa essere giustificato se, tra l’altro, «la società realizzi la parte più rilevante della propria attività con uno o più degli enti che la controllano» e che «la rilevanza dell’attività (…) è considerata in base al fatturato e alle risorse economiche impiegate».
La Corte rileva che la Provincia autonoma di Bolzano, che pure è titolare di potestà legislativa primaria in materia di «assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione a mezzo di aziende speciali» (art. 8 n. 19 dello statuto di autonomia), deve rispettare, nell’esercizio di tale potestà, gli obblighi internazionali ed i vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (articolo 8 dello statuto).
In tale linea di ragionamento, dunque, il Giudice delle leggi opera una ricognizione delle norme comunitarie nella specie rilevanti e dei principi affermati dalla Corte di giustizia delle Comunità europee in materia di legittimo affidamento in house, posto che «i limiti alla potestà legislativa anche delle Province autonome derivano dalle singole disposizioni europee come interpretate dalla suddetta Corte».
Il meccanismo dell’affidamento diretto a soggetti in house, secondo le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, deve essere strutturato in modo da evitare che possa risolversi in una ingiustificata compromissione dei principi che presiedono al funzionamento del mercato e, dunque, in una violazione delle prescrizioni contenute nel Trattato a tutela della concorrenza. In altri termini, tale modello operativo non deve costituire il mezzo per consentire alle autorità pubbliche di svolgere, mediante la costituzione di apposite società, attività di impresa in violazione delle regole concorrenziali, le quali richiedono che venga garantito il principio del pari trattamento tra imprese pubbliche e private (art. 295 del Trattato CE).
In relazione al requisito rappresentato dalla prevalenza dello svolgimento dell’attività a favore dell’ente pubblico conferente, la Corte osserva come sia «necessario che il soggetto beneficiario dell’affidamento destini la propria attività “principalmente” a favore dell’ente. L’effettuazione di prestazioni che non siano del tutto marginali a favore di altri soggetti renderebbe quella determinata impresa “attiva sul mercato”, con conseguente alterazione delle regole concorrenziali e violazione dei principi regolatori delle gare pubbliche e della legittima competizione». In altri termini, nella prospettiva comunitaria, una lettura non rigorosa dell’espressione “parte più importante della sua attività” inciderebbe sulla stessa nozione di soggetto in house alterandone il dato strutturale che lo identifica come una mera “articolazione interna” dell’ente stesso. Una consistente attività “esterna” determinerebbe, infatti, una deviazione dal rigoroso modello delineato dai giudici europei, con la conseguenza, da un lato, che verrebbe falsato il confronto concorrenziale con altre imprese che non usufruiscono dei vantaggi connessi all’affidamento diretto e, più in generale, dei privilegi derivanti dall’essere il soggetto affidatario parte della struttura organizzativa dell’amministrazione locale; dall’altro, che sarebbero eluse le procedure competitive di scelta del contraente, che devono essere osservate in presenza di un soggetto “terzo” (quale deve ritenersi quello che esplica rilevante attività esterna) rispetto all’amministrazione conferente.
In tale linea di ragionamento, la previsione contenuta nell’articolo 3, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 novembre 2007, n. 12, nella misura in cui prevede che «la rilevanza dell’attività (…) è considerata in base al fatturato e alle risorse economiche impiegate», limita il giudizio di verifica della sussistenza del requisito in parola alla «sola valutazione di dati di tipo quantitativo». Nella prospettiva comunitaria, invece, è necessario assegnare rilievo anche ad eventuali aspetti di natura qualitativa idonei a fare desumere, ad esempio, la propensione dell’impresa ad effettuare determinati investimenti di risorse economiche in altri mercati – anche non contigui – in vista di una eventuale espansione in settori diversi da quelli rilevanti per l’ente pubblico conferente.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte afferma che il legislatore provinciale con la previsione controversa ha «indicato criteri di verifica del requisito della “rilevanza dell’attività” meno rigorosi rispetto a quelli enucleati – sia pure nell’ambito di un complessivo giudizio che mantiene una valenza necessariamente casistica modulata sulle peculiarità delle singole fattispecie concrete – dalla giurisprudenza che si è formata al riguardo». Da ciò ne consegue «la violazione delle regole comunitarie sulla concorrenza poste dalle norme del Trattato invocate dal ricorrente, alla cui tutela è finalizzata la delimitazione, effettuata, in via interpretativa, dalla Corte di giustizia, dell’ambito di operatività del modello gestionale dell’affidamento diretto dei servizi pubblici locali».