Corte di Giustizia CE, sentenza 6 dicembre 2007, in cause riunite C-463/04 e C-464/04, in tema di compatibilità dell’art 2449 codice civile con l’articolo 56 del Trattato CE.

06.12.2008

La Corte di Giustizia si è pronunciata sulla compatibilità dell’articolo 2449 del codice civile italiano con l’articolo 56 del Trattato CE a seguito di una serie di questioni pregiudiziali sollevate dal Tar Lombardia con ordinanza 29 settembre 2004.
In tale ordinanza, il giudice nazionale aveva chiesto alla Corte di valutare la conformità dell’art. 2449 del codice civile con l’art. 56 del Trattato CE, così come interpretato dalla Corte (sentenze 23 maggio 2000, causa C-58/99, [Commissione/Italia]; 4 giugno 2002, cause C-503/99 e C-483/99, [Commissione/Belgio e Commissione/Francia]; 13 maggio 2003, cause C-98/01 e C-463/00, [Commissione/Regno Unito e Commissione/Spagna]), in quanto la sua applicazione, combinata con il sistema del voto di lista di cui all’art. 4 della legge n. 474/94, appariva idonea ad introdurre una severa limitazione alla possibilità di partecipazione effettiva alla gestione ed al controllo reale di una società per azioni al di fuori degli ambiti di esercizio legittimo dei poteri speciali.
Ad avviso della Corte, una disposizione nazionale quale l’art. 2449 del codice civile costituisce una “restrizione” ai sensi dell’articolo 56, para 1 del Trattato CE, che proibisce «qualsiasi misura nazionale idonea ad impedire o a limitare l’acquisizione di azioni nelle imprese interessate o che possa dissuadere gli investitori degli altri Stati membri dall’investire nel capitale di queste ultime».
La previsione nazionale, infatti, consente agli azionisti pubblici di beneficiare della possibilità di partecipare all’attività del Consiglio di Amministrazione di una società per azioni con maggiore rilievo rispetto a quanto sarebbe loro normalmente concesso in virtù della loro qualità di azionisti, mettendo, in tal modo, a disposizione degli azionisti pubblici uno strumento che, se da un lato fornisce a tali soggetti la possibilità di esercitare un’influenza che va al di là dell’investimento effettuato, dall’altro automaticamente riduce l’influenza degli altri azionisti limitandone, di fatto, la possibilità «di partecipare alla società interessata con l’obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli e diretti con quest’ultima, che consentano una partecipazione effettiva alla sua gestione o al suo controllo».
La Corte rileva altresì come il principio della libera circolazione dei capitali possa essere limitato solamente da provvedimenti nazionali che si giustifichino per le ragioni di cui all’art. 58 CE o per motivi imperativi di interesse generale, purché non esistano misure comunitarie di armonizzazione che indichino i provvedimenti necessari a garantire la tutela di tali interessi.
In mancanza di misure di armonizzazione comunitaria, spetta, infatti, in linea di principio agli Stati membri decidere il livello al quale intendono garantire la tutela di tali legittimi interessi, nonché il modo in cui questo livello deve essere raggiunto.
Gli Stati membri nel tutelare tali legittimi interessi devono rispettare i limiti indicati dal Trattato e, in particolare, il principio di proporzionalità, che richiede che le misure adottate siano idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (sentenza 23 ottobre 2007, causa C-112/05, Commissione/Germania, punto 73 e giurisprudenza ivi citata).
A tale riguardo, la Corte ricorda come la stessa giurisprudenza comunitaria riconosca che in determinate circostanze può essere ritenuto giustificato che «gli Stati membri conservino una certa influenza sulle imprese inizialmente pubbliche e successivamente privatizzate, qualora tali imprese operino nei settori dei servizi di interesse generale o strategici (sentenza 13 maggio 2003, causa C-463/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-4581, punto 66 e giurisprudenza ivi citata)».
In tale linea di ragionamento, i Giudici comunitari osservano tuttavia che una previsione quale quella di cui all’articolo 2449 del codice civile – che «non sottopone ad alcuna condizione» l’inserimento nello statuto di una società per azioni di un diritto per lo Stato o per un ente pubblico che hanno partecipazioni in quest’ultima di nominare direttamente uno o più membri del Consiglio di Amministrazione – non possa essere ritenuta giustificata alla luce della giurisprudenza comunitaria.
a cura di Luigi Alla


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