Presentazione del libro “Le tante laicità nel mondo” di Jean Baubérot – Resoconto convegno (Roma, 6 novembre 2008)

14.11.2008

Il 6 novembre si è tenuta alla Luiss-Guido Carli la presentazione del libro “Le tante laicità nel mondo” di Jean Baubérot, edito dalla casa editrice della stessa università.
Il rettore Massimo Egidi, dopo il saluto di benvenuto, ricorda come la scorsa estate, a Los Angeles, sia stato colpito da uno splendido edificio di acciaio e cristallo dove una setta religiosa stava celebrando le sue funzioni. Aveva ritenuto le religioni ormai assimilabili a beni offerti sul mercato ed aveva iniziato ad interrogarsi sulle motivazioni cognitive ed emotive della scelta religiosa.
Giancarlo Bosetti, direttore di Agorà, la collana della Luiss University Press che ha accolto l’opera, ribadisce che il mercato aperto del sacro è l’ultimo aspetto della laicizzazione. Questo libricino è solo un’opera sintetica di Baubérot, autore di un imponente volume storico-sociologico. Ogni sua densa pagina riordina le idee sul concetto di laicità, ad iniziare dalla diffusa convinzione che la Francia ne sia stata la inventrice. In realtà esistono tante laicità, frutto di distinti processi storici. Altra percezione approssimativa è che la laicità consista nella separazione fra il politico e il religioso. In ogni area tematica afferente oggi alla laicità, come l’istruzione o la bioetica, prevalgono forzature ideologico-propagandistiche da parte di tutti i soggetti coinvolti nel dibattito. Il processo di concretizzazione delle varie laicità va rinvenuto nella traiettoria di democratizzazione della convivenza civile, nel suo affrancamento dall’egemonia religiosa. Non si tratta di una linea retta dai Lumi al testamento biologico. Ci sono state le falle della colonizzazione e dei totalitarismi e la perversione dell’ateismo di Stato che ha dimenticato che la libertà religiosa è coessenziale alla liberazione dell’uomo da ogni sorta di asservimento. Poi c’è il peculiare assetto degli Stati Uniti, oggetto di contrapposte valutazioni. Alcuni lo considerano incerto, altri ritengono che distingua opportunamente, nell’ammissione al discorso pubblico, la religione come risorsa morale dalla religione come forma di potere. Pur relativizzando il concetto di laicità ne è individuabile una soglia minima ben espressa dal messicano Roberto Blancarte come regime sociale di coesistenza legittimato da forme esclusivamente democratiche di coesione. Si può poi oscillare dall’estremo del confinamento della religione alla sfera privata a quello della sua valorizzazione come cultura della Nazione. Accenna alla vittoria di Obama come espressiva del rapporto statunitense fra politica e religione. Anche il neo-eletto presidente, come già Martin Luther King, aveva esortato a cercare in verità più alte un contributo ad indirizzare il comune destino verso mete che altrimenti sarebbero parse irraggiungibili. E’ significativo che il recente referendum sul matrimonio omosessuale sia stato respinto non solo in Florida e in Arizona ma anche in California, pur essendo San Francisco la capitale ideale del mondo gay.
Corrado Ocone, responsabile della Luiss University Press, esprime la sua soddisfazione per la pubblicazione di questo libro magistrale. Ricorda che Baubérot è il fondatore della sociologia della laicità e il direttore dell’unico centro studi sul tema. Laicità è parola ormai abusata nel dibattito pubblico italiano. Si tratta di un termine adoperato solo in Italia e in Francia. Nei paesi anglofoni si usa “secolarizzazione”, concetto che da noi indica preferibilmente quel processo culturale di disincanto da una visione trascendente dell’esistenza. Invece laicizzazione designa il processo politico-istituzionale di autonomizzazione della sfera pubblica dalla religione. Al cattolicesimo italiano è imputabile la contrapposizione con “laicismo”. A tal proposito Bobbio disse che quando un metodo si converte in sistema e una basilare rivendicazione democratica si trasforma in intolleranza armata, il “laicismo” stesso diventa una fra le tante chiese che si vorrebbero contrastare. Molti ferventi credenti, quali Sturzo, De Gasperi, Jemolo, hanno testimoniato che la fede si purifica proprio se non si lascia invischiare dal potere temporale. Condivisibile è la conclusione di Baubérot che la laicità del nostro tempo per restare viva non possa eludere le sfide della modernità, globalizzazione e bioetica.
Il professor Luciano Pellicani vuole partire dalla bella e precisa definizione di Baubérot secondo cui laicità significa distinzione tra cittadinanza ed appartenenza religiosa. Ricorda l’auspicio del cattolicissimo Cavour ( Libera Chiesa in libero Stato) a cui fu rifiutata l’estrema unzione sul letto di morte. Certo gli aspetti degenerativi possono annidarsi in ogni idea, sono esistiti anche molti liberali cretini! Ma il punto fermo è che si rifiuta uno Stato confessionale, non la religione di per sé. Stato confessionale instauratosi grazie a Teodosio, col suo editto di Tessalonica del 380, insensibile alle proteste dei laici dell’epoca come il senatore Simmaco. Inevitabile sarebbe stata la reazione dell’Illuminismo. Nel 1935 Salvemini, ad un convegno di intellettuali a Parigi, sottolineò come fra i diritti fondamentali ci fosse quello di essere eretici, il diritto all’errore. Jefferson volle erigere un muro di separazione non fra politica e religione, i cui valori naturalmente rientreranno fra i moventi di ogni scelta, ma fra Stato e religione. Ci sono stati negli Stati Uniti alcuni tentativi di infrangere questo muro costruendo un’alleanza fra cattolici. Interessante è la lettera che Komeini, poco prima di morire, inviò al papa chiedendogli come mai non si fosse impegnato per l’instaurazione di uno Stato teocratico. L’insidia peggiore che ci viene dalla minaccia islamica è che finiamo coll’opporre ad un fondamentalismo un altro fanatismo, militarizzando la religione. Ciò sarebbe letale per la nostra civiltà. Un esempio brillante di laicizzazione in un contesto musulmano è quello della Turchia dove nel 1923 venne proclamata la Repubblica, abolito il califfato e imposta un’istruzione laica. L’alfabeto latino sostituì quello arabo, fu istituito l’uso del cognome, concesso alle donne il diritto di voto (1934). Certo si trattò di un’operazione autoritaria attuata da Kemal Ataturk avvalendosi dell’esercito e del partito unico.
La professoressa Emma Fattorini dice che il pregio del libro consiste nell’essere una sintesi chiara da molteplici punti di vista: storico, filosofico-teorico e geopolitico. Lo spirito separatista della legge francese del 1905 è riconducibile a Locke ma ormai si deve riconoscere che la religione è una caratteristica fondativa della modernità. Habermas suggerisce opportunamente che non basta più la mera tolleranza, bisogna ammettere la legittimità della teologia alla comunicazione razionale. Inoltre i maestri del pensiero filosofico-politico cattolico, come l’insuperato Maritain, hanno considerato la laicità come una conquista in una duplice direzione: evitare l’appartenenza coatta ed ipocrita del cittadino alla Chiesa, rendere responsabile il libero impegno del credente nella sfera pubblica, evitando la marginalizzazione dei valori cristiani. Dopo gli arroccamenti iniziali si è compreso che l’unico modo per reggere l’impatto con la modernità è farci i conti. Si vedano le vicende della Kulturkampf in Germania e della questione romana in Italia. La politica diventa il terreno privilegiato per una più autentica testimonianza evangelica, libera da mandati gerarchici, come nel caso di Sturzo col suo partito popolare. Le scelte devono valere secondo la retta ragione, etsi Deus non daretur, anche se la sanzione dogmatica si avrà solo col Vaticano II. Forse la involuzione della dialettica pubblica su ciò che gravita attorno al fenomeno religioso dipende da una diversa qualità dell’attuale sostegno teorico alla prassi politica.
Giuliano Amato considera che il libro dia anzitutto una lezione di umiltà ai francesi che presumono di detenere il brevetto della laicità. Baubérot rattristerà i suoi interlocutori italiani e francesi che sono incorsi nel vizio di identificare il proprio processo storico con una sorta di trascendentale kantiano. Condivide che il senso profondo del principio di laicità sia radicare le regole della democrazia liberale nella società civile che non necessita più dell’autorità religiosa per sanzionare i propri precetti. Questo non comporta automaticamente la perdita di rilevanza sociale del sentimento religioso, solo implica inderogabilmente che l’autorità civile sia svincolata da qualsiasi appartenenza confessionale. L’ex-presidente del consiglio considera laico il sistema delle intese in quanto non ha mai ritenuto corollario della laicità la rigida separazione francese che del resto si è rivelata impraticabile per la stessa Francia la quale ha dovuto adottare sottobanco intese di cui non ha mai ammesso il valore. Le intese sono un mero strumento tecnico da cui possono scaturire risultati antitetici: spartirsi i campi di dominio o garantire un effettivo esercizio della libertà religiosa, ad esempio in luoghi chiusi come carceri od ospedali in cui senza la cooperazione delle confessioni religiose resterebbe impraticabile la libertà di culto. Certo, le intese, lette solo nella loro radice storica di concordato fra potentati, assumerebbero ben altro, inquietante significato. E’ essenziale la distinzione che Baubérot rimarca fra la religione come risorsa del singolo e la religione come sistema normativo ispirato alla Verità assoluta che i chierici presumono di aver decodificato. Noi italiani, avendo la Santa Sede in casa, abbiamo sviluppato una sorta di discutibile intolleranza nei confronti del diritto della gerarchia vaticana di esprimere le proprie opinioni. E’ strisciante la convinzione che tutti possano manifestare liberamente il proprio pensiero tranne i membri del clero perché potrebbero avere un’eccessiva influenza sulla popolazione. Il problema non è nell’input ma nell’output, ossia nel tipo di recettività da parte della comunità politica. Risale a Tommaso ed è stata ripresa da Maritain l’idea che debba prevalere il perseguimento del bene comune rispetto all’indefettibile difesa delle proprie credenze quando queste potrebbero impedire la pacifica convivenza tra i consociati. Paradossalmente gli italiani sembrano avere un complesso di paura. In molte parti del mondo la separazione della religione dallo Stato non è avvenuta. Eppure l’attuale momento storico di pluralismo confessionale la necessita. Non è più possibile concedere il primato a nessuna religione nella sfera istituzionale ma tutte dovrebbero godere della stessa autonomia nella sfera civile ed è vitale evidenziare in ogni ambito l’importanza di questo obiettivo.
Infine parla Jean Baubérot. Ha provato a ricostruire la laicità come un triangolo composto dall’assenza di dominio della religione sullo Stato, dalla libertà di coscienza e di culto e dal divieto di discriminazione per ragioni religiose. Ha preferito strutturare il concetto su tre lati affinché questi mantengano sempre un equilibrio tra loro senza che nessuno di essi si trasformi in un assoluto. Cita l’articolo 2 della legge di separazione del 1905 che statuisce che la Repubblica non riconosce nessun culto. L’unica eccezione si ammette per i luoghi chiusi. Paragona la Chiesa francese a quella colombiana, altra repubblica che nella sua Carta fondamentale si proclama laica. In questo Stato è consentito l’aborto in caso di violenza sessuale, grave rischio per la madre o malformazione del feto. La conferenza episcopale colombiana ha cercato di premere ad ogni livello su cui potesse far presa affinché tali norme restassero prive di effettività. Invece la Chiesa francese si limita ad esprimere con fermezza le proprie posizioni invitando i suoi fedeli ad una continua ginnastica spirituale per discernere di quali diritti offerti dall’ordinamento statuale possano valersi. Questo ha evitato fenomeni di anticlericalismo. Insomma Chiesa e Stato si impegnano in un processo di reciproca acclimatazione nel deferente rispetto dei propri ordini di competenza. Si presti attenzione a non cadere in un rigido dualismo classificatorio fra Nazioni laiche e Stati confessionali. Per esempio in paesi con una religione ufficiale come la Norvegia o la Svezia il Tribunale Supremo si è spesso pronunciato in difesa delle religioni minoritarie. Non esiste un tipo ideale di laicità proiettabile automaticamente ad ogni latitudine. Al contrario si verifica un processo di inculturazione dagli esiti diversificati. In Giappone, per esempio, l’imperatore era considerato di origine divina e la religione uno strumento privilegiato di controllo sociale. Nel 1946 l’imperatore stesso autolimitò il suo ruolo a simbolo di unità nazionale. Nello stesso mondo mussulmano ci sono dei teologi che ritengono catastrofica l’alleanza fra il potere spirituale e quello temporale. Conclude dichiarando che nella prossima edizione del suo libro parlerà della vicenda di Obama, emblematica di un certo tipo di desacralizzazione di quel potere che si riteneva prerogativa sacra e inviolabile dell’uomo bianco. Obama ha vinto perché invece di rivendicare i diritti calpestati delle minoranze ha proposto un progetto universalista ed inclusivo. E questa è l’unica strada per evitare, in un mondo globalizzato, lo scontro di civiltà.

Monica Giorgi